Genova 2001: dopo e oltre Genova.

11 anni dopo il G8 di Genova.
Dopo le condanne della cassazione per l’irruzione alla scuola Diaz e sul reato di devastazione e saccheggio per 10 compagn@.
Pensiamo sia il momento di aprire un dibattito su quei giorni e su tutti ciò che è stato dopo.
Un dibattito speriamo aperto, franco e dialettico, partendo da Genova, superando Genova e affrontando il futuro.

Pensiamo di dare spazio a Settembre a questo dibattito, ora iniziamo solo a instradarlo con un primo contributo di Andrea Cegna di Milano in Movimento e dare il tempo a chi vuole intervenire di preparare i propri testi

Genova 11 anni dopo ha un gusto amaro, forse più amaro rispetto a quello dell’anno scorso. Spesso le ricorrenze quando arrivano negli anni tondi assumono un valore simbolico forte. Nel luglio 2011 il tentativo c’è stato. Il tentativo artificioso di ricostruire “lo spirito di Genova” è naufragato; poco importa se il 15 ottobre, nel giorno mondiale dell’indignazione, la piazza romana ha provato a riempirsi nuovamente di biografie, pratiche e grammatiche politiche diverse. Non era la stessa cosa, non c’era stata una convergenza difficile e virtuosa di discussione, elaborazione e tentativo di sintesi nell’oggetto del contendere. I numeri possono essere gli stessi ma la coesione e la rivendicazione assolutamente lontana e frammentaria. Manca ad oggi qualcosa che sia capace di essere percorso ricompositivo di massa. Ci sono esempi meravigliosi di costruzione di autonomia e comunità in lotta, forti, ardite e trasversali però molto, forse troppo, legate a un piano locale e territoriale che non permette pervasività e capacità di costruire terreno comune di lotta. Forse anche perchè il proseguimento delle pratiche neoliberiste ha trasformato il mondo, assai più velocemente di quello che si poteva pensare, in un frammentario insieme di “province commisariate” del potere economico. Ma ritorniamo a Genova 2001 e al suo undicesimo anniversario, forse il più doloroso. 11 anni dopo sono finiti quasi tutti i processi legati ai fatti del 20 e 21 luglio. A breve finirà anche quello sui fatti di Bolzaneto che a prescindere da come finirà vedrà i reati cadere in prescrizione. La sentenza della cassazione sul reato di Devastazione e Saccheggio ha riaperto una ferita profonda che parte dalle giornate contro il G8 passando per il ruolo della giustizia, della politica di palazzo e delle forze dell’ordine nel nostro Paese. Si è aperto un dialogo e un dibattito tra diversi soggetti di movimento (gruppi politici e intellettuali) che hanno spaziato tra i concetti di sconfitta e di insegnamento provando a capire se “avevamo ragione noi 11 anni fa”. Oltre a questo si è mosso poco o nulla se non la rabbia e i pensieri singoli di compagn@ di oggi e di ieri. La campagna 10×100 ha avuto il prego di tenera alta l’attenzione sulle cassazioni del 5 e 13 luglio e di riportare i giorni genovesi all’interno del dibattito politico di movimento e non. Anche se non si vorrebbe non si può non ammettere che il 20 e 21 luglio sono e saranno per sempre qualcosa con cui si dovrà fare i conti. Sono un momento storico per la politica italiana e qualcosa con cui bisogna rapportarsi per sempre, e per questo leggere, decodificare e comprendere nella sua interezza e complessità. Non è un discorso reducista ma necessario. E allora è su questo che si dovrebbe spostare l’attenzione della discussione, ovvero tornare a Genova per superare Genova. Troppo ardito è dire “avevamo ragione”. No non avevamo ragione. 11 anni dopo vediamo come la realtà dei fatti ha superato le letture del movimento di allora. Avevamo una giustissima intuizione, talmente giusta da diventare di massa perchè condivsa e condivisibile dalla maggior parte della popolazione e talmente giusta da spaventare in maniera seria chi determinava (e forse ancora determina) le vite dell’intera popolazione mondiale. Una paura che ha determinato volontà repressive inaudite. Se a quelle volontà ci mettiamo un governo, non solo supino al potere neoliberale ma voglioso di mettersi in luce come strumento di proliferazione delle logiche economiche mondiali e attraversato da soggetti che vedevano nel ventennio fascista la loro matrice culturale, possiamo ben vedere che quello che è successo è figlio di uno schema di scontro. Uno scontro tanto forte quanto il tasso di conflittualità tra movimento e potere. La conflittualità è tanto più alta quanto più sono radicali e centrati gli obiettivi, le pratiche sono uno strumento, pensare che conflittualità e radicalità siano dati dalle pratiche, o in maggior parte dalle pratiche, è un grosso errore che sfocia in mera estetica del conflitto. Quel tipo di contrapposizione potrebbe essere un’interessante lezione da studiare e fare propria. Una lezione che deve andare a indagare gli errori da noi commessi e soprattutto le leggerezze nate da una probabile inconsapevolezza della forza radicale che quel movimento trasudava e praticava direttamente. La pratica dei boicottaggi di massa, la creazione di consapevolezza sui consumi e sulle filiere produttive, e quindi di sfruttamento, non nascono attorno al biennio 1999 – 2001 ma lì trovano una forza e una pervasività trasversale e transnazionale. Se eri parte di quel movimento di sentivi parte di qualcosa di molto più ampio dei confini nazionali. Questa sensazione, che si mescolava con reti di condivisione transnazionali, non è stata sconfitta a Genova anzi è andata avanti, ha resistito al tentativo di soggiogamento e si è trasformata nella più grande mobilitazione della storia contro la guerra. Il 15 febbraio del 2003 non sarebbe mai potuto esistere senza le mobilitazioni contro il WTO di Seattle e senza le contestazioni al G8 di Genova. Appunto il 15 febbraio. Quella forse è una data indentificabile con una sconfitta, non il 20 e 21 luglio. Le sentenze della cassazione sono sintomo più della crisi dei movimenti dal 2003 in avanti che della settimana nel capoluogo ligure del luglio 2001. Il movimento “No Global” è uscito da Genova diventando motore del sopracitato movimento contro la guerra che si è opposto con forza prima al conflitto in Afghanistan e poi, in maniera più netta e moltitudinaria, a quello in Iraq. Ma è stato anche capace di costruire tappe del social forum europeo a Firenze e Parigi. Che abbiamo perso è una certezza ed è la perdita costante di diritti, spazio e identità politica a dimostrarlo. Il quando, il come e il perchè sono un dibattito aperto e fondamentale per poter apprendere del tutto il lascito di quella stagione di mobilitazione. Di Genova ci rimane tanto, tanto di positivo e tanto di negativo. Ci rimane l’assassinio impunito di Carlo, ci rimane il massacro della Diaz, ci rimangono le torture di Bolzaneto ma ci rimangono anche le ore di resistenza di via Tolemaide, la resistenza di massa del 21 luglio, ci rimangono i cortei spontanei di Martedì 24 in tutta Italia, ci rimane la forza moltitudinaria che ha resistito alla repressione e ha creato altro, per anni. Ci restano 10 compagn@ condannati assurdamente per un reato di epoca fascista (e questo non può che chiudere il cerchio con la matrice culturale di chi ha gestito l’ordine pubblico in quei giorni), 2 in carcere e a cui non si può non stare vicini in maniera pratica e simbolica, 2 che non si sa dove sono ma ovunque siano sappiano che hanno 300mila persone che li abbracciano, e 5 che aspettano un riconteggio della pena. Ci resta questa misera vendetta dello stato e dell’economia che punisce distruggendo la vita di 10 persone per alcune vetrine spaccate. Una punizione esemplare per tutti, una punizione che intima di non alzare la testa. Nel nostro mondo una vetrina non vale una vita. A Carlo.

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