Il Lambretta fa pensare

Come ogni buon animale anche l’essere umano, che pur cerca di sottrarsi a questa classificazione, sente dei richiami ancestrali oggi comunemente chiamati esigenze. Queste poi, nel momento in cui sono condivise e sentite dai più, diventano diritti. E come farebbe qualsiasi animale che difende il suo territorio, così anche l’uomo difende ciò per cui ha lottato e che ha conquistato.

 

La particolare fase storica che stiamo attraversando, immersa in un contesto di crisi, ha fortemente messo in discussione assetti ed equilibri che sembravano ormai stabili e inattaccabili, e nello stesso momento ha fatto sì che quei diritti faticosamente divenuti patrimonio comune fossero rimessi in discussione per fare in modo che l’impatto di questo momento storico ed economico venisse sentito il meno possibile da chi per una ragione o per l’altra si è ritrovato a essere all’apice di questo sistema a discapito  di chi invece si trova alla base.

 

Ogni giorno o quasi si leggono e sentono notizie che vanno in questa precisa direzione, e sempre di più la parola diritto viene svuotata del suo vero senso e spesso anche della memoria della lotta a cui spesso questa viene affiancata.

 

In questo ultimo periodo, complice la residenza in una città come Milano, mi ero illuso che molte di quelle cose che non sono andate negli ultimi vent’anni per via di una bieca amministrazione di destra, potessero cominciare a funzionare per la vittoria di una (a conti fatti) timida amministrazione di sinistra, che in un primo momento, con parole altisonanti, aveva dimostrato l’intenzione di portare un vento nuovo a Milano, di farle vivere un rinascimento culturale e sociale; insomma di far ricordare ai milanesi quella faccia che un tempo era un valore per la città stessa.

 

Niente di più falso: la realtà è che un sindaco sostenuto da un forte movimento popolare ora si trova ostaggio di logiche politiche e partitiche. Questo non significa certo che si possa sentire scaricato delle sue responsabilità e che stia venendo meno a tutte le aspettative che tanto era stato abile a vendere al suo elettorato, creandosi un immaginario così forte da riuscire a sbaragliare non solo i suoi diretti avversari politici interni ed esterni ma anche a mettere a sedere un partito, quello Democratico, che per non perdere la chances di poter rientrare a Palazzo Marino dalla porta principale e con il tappeto rosso ha dovuto per forza appoggiarlo. Ma si sa, vincere una battaglia è un conto, vincere una guerra è un altro e ora che il Pd ha potuto riorganizzare le sue truppe sta cercando di imporre la sua scontata e perdente linea anche a Milano.

 

Così, improvvisamente capita che questa città sia stata messa sotto assedio da imponenti eserciti di barbari, tutti in uniforme, che con metodica precisione e solerzia attaccano case occupate, luoghi di aggregazione e di cultura, e portano nuovamente l’ombra del medioevo culturale sulla città dei Navigli.

 

Capita così che quattro villette vuote da anni, di proprietà Aler e ora occupate e riqualificate dal collettivo Lambretta, in questi ultimi mesi diventate un punto di riferimento per il quartiere, per i cittadini (dai più giovani ai più anziani), per associazioni di ogni sorta e genere, vengano messe sotto assedio per mere logiche politiche e nulla più, considerato che l’alternativa sarebbe l’abbandono e il degrado.

 

Capita che quelle esigenze di aggregazione, cultura e socialità sentite, sostenute e volute da un quartiere intero e trovate in questo luogo, vengano messe in discussione da quattro burocrati e politicanti, e capita che chi invece dovrebbe difendere la voce e la volontà della sua base faccia orecchie da mercante, perchè non conviene alterare gli equilibri politici all’interno della maggioranza. E capita che i tempi non siano maturi per prendere pubblicamente posizione su un luogo che è una risorsa e un valore per il quartiere e la città, facendo si che certi meccanismi si ripetano e non si spezzino.

 

Capita dunque che esigenze ormai facilmente identificabili come diritti – aggregazione, socialità, cultura e abitazione – siano messi all’indice perchè nervi scoperti di una parte di amministrazione che fa di vecchie logiche e mentalità ancora più logore e inefficaci il suo modo di risolvere i problemi, ovvero non affrontarli per risolverli ma spazzarli via per non pensarci più.

 

Capita quindi che il sogno di una città nuova e lanciata verso una dimensione europea si trovi a essere invece più vicina alla dimensione di un paese di campagna di metà anni 60 dove l’innovazione e gli innovatori vengono visti come eretici e pertanto devono essere messi al bando, dove i diritti diventano una concessione che va abilmente dosata per evitare che la pentola a pressione della società porti all’esplosione della stessa, perchè la valvola non si è aperta al momento giusto…

 

Capita infine che il vento e le illusioni portate con questo sogno non si riducano ad altro che a una lieve brezza e a dei germogli che forse un giorno matureranno, ma non oggi.

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