Secondi a nessuno: i figli di immigrati cittadini di fatto e non di diritto

 

Di Kibra Sebhat

esponente dell’organizzazione “ReteG2 – Seconde Generazioni”

Sapete chi sono le seconde generazioni?

Ne avrete sicuramente sentito parlare ma forse non tutti sarebbero in grado di identificarle.

Le seconde generazioni sono tutti i figli di immigrati, sia quelli nati in Italia, sia quelli arrivati nel nostro paese da minori con i propri genitori.

Conviviamo con i nostri coetanei tutta la nostra vita e condividiamo gioie e dolori di tutti i momenti più importanti: la scuola, i primi amici, l’università e il mondo del lavoro…

Questo fa di noi dei cittadini italiani di fatto, riconosciuti dalla maggior parte delle persone che ci circondano ma non da parte dello Stato italiano che segue ancora una legge obsoleta.

La legge 91 del 1992, che fa riferimento a sua volta alla legislazione stabilita ai primi del novecento, prevede che le persone possano essere o diventare cittadini italiani solo per diritto di sangue, ius sanguinis, perché nati da genitori italiani oppure discendenti da cittadini italiani.

Chi ha origini straniere e nasce in Italia o ci arriva da piccolo e vive tutta la sua vita qui non solo non ha un percorso agevole ma più di ogni cosa deve seguire un iter che quasi sempre complica la sua vita e spesso rischia di farlo finire nell’illegalità.

I nati in Italia da genitori stranieri possono fare la domanda per la cittadinanza tra i diciotto e i diciannove anni: ma se saltano questo unico anno, oppure non sono in grado di dimostrare che hanno avuto una residenza registrata in Italia per tutti i diciotto anni, non sono più nella condizione di seguire questo percorso.

Il caso più noto è quello di Sumaya Abdel Quader che dopo essere nata e cresciuta nel nostro paese, a diciotto anni non ha potuto chiedere la cittadinanza perché all’anagrafe non risultavano tre mesi di residenza. Un vuoto che l’ha costretta a cercare più modi, costosi e difficili, di rimanere in Italia con la sua famiglia e il suo mondo di affetti. Inoltre, nonostante una circolare ministeriale ora imponga agli uffici di non tenere conto dei vuoti di residenza nelle domande dei nati di origine straniera, c’è ancora troppa poca formazione ed informazione nelle sedi amministrative.

Chi invece arriva da piccolo con i genitori stranieri, beh, ha una strada ancora più difficile da percorrere.

Fino alla maggiore età la sua condizione dipende da quella dei genitori: questo vuol dire che il suo stato e la sua possibilità di rimanere in Italia dopo che ci ha vissuto per una vita dipende dal permesso di soggiorno dei genitori. Dopo i diciotto anni, questa “abilità” dipende da lui.

Molti riescono ad ottenere un permesso di soggiorno per studio, pochi per lavoro per le note difficoltà dei giovani italiani ad ottenere un contratto regolare e conforme.

Si apre, quindi, una stagione della loro vita di grande e dura instabilità.

Potete leggere le loro storie, tante e tutte diverse sul sito della Rete G2.

Purtroppo è in gioco la possibilità di studiare quello che si desidera, perché senza cittadinanza, ad esempio, non puoi partecipare ai concorsi pubblici, e fare il lavoro per il quale hai le competenze, perché la cittadinanza spesso fa da discrimine.

Si tratta, quindi, di permettere alle persone, indipendentemente dalle origini, di vivere a pieno la loro vita.

Vorrei concludere parlandovi della risposta attiva, concreta e costruttiva con cui le seconde generazioni hanno risposto a tutto questo: una su tutte è la campagna “L’Italia sono anch’io”, che prima è stata in grado di mettere assieme diciannove associazioni molto diverse fra loro a favore del diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati; poi di raccogliere attorno a sé una moltitudine di altre realtà a supporto della causa; infine è riuscita a presentare al Parlamento una proposta di legge di modifica della vecchia legge 91 del 1992 di cui vi parlavo, forte delle 100.000 (quando ne bastavano la metà) firme a sostegno dell’iniziativa popolare.

Si tratta di un diritto di cittadinanza per nascita temperato, ovvero, secondo determinati criteri: cittadinanza a chi nasce e a chi cresce in Italia, purché i genitori possano vantare cinque anni di residenza in Italia, oppure che si possa vantare un percorso scolastico continuo in Italia.

Ora aspettiamo tutti insieme che ottobre, mese in cui verrà discussa la proposta, ci porti finalmente giustizia riconoscendoci per i cittadini italiani che siamo, da sempre.

 

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