Dall’altra parte.
La vergognosa operazione di Repubblica di cercare di restituire una faccia presentabile e una credibilità alle forze dell’ordine, dopo la gestione cilena del #14n con cariche e violenze arbitrariamente compiute sugli studenti, continua con un’intervista dell’aficionado delle questure Bonini a un celerino pubblicata sull’ultima trovata multimediale del quotidiano di Mauro (ormai tanto più tecnologicamente avanzato quanto più allineato con i tecnicismi politici del Governo Monti).
Un ex-operaio che in quanto tale “figuriamoci se non ascolto la disperazioni dei cassintegrati della Fiat, dell’Alcoa” (che ripetutamente picchia però ndr), “che capisce e solidarizza con le ragioni dei ragazzi che hanno l’età dei miei figli”. Un’intervista che quindi sin dal principio, oltre a cercare di dare lustro a un corpo discreditato in questi anni dalle vicende di Cucchi, Aldovrandi e Bianzino, mette in atto il tentativo di dare un’umanità a coloro che ogni volta che scendono in piazza danno invece prova del contrario, accecati dall’odio e dall’arroganza di chi “è la legge”.
Con una buona dose di retorica pasoliniana ecco quindi che il celerino è colui che sta dalla stessa parte dei manifestanti. D’altronde ciò che sembra trapelare all’inizio dell’intervista è che l’uomo dello Stato sembra non aver avuto scelta: il celerino (non il poliziotto, differenza non trascurabile, caro Bonini) come via d’uscita da un’esistenza misera.
Ma qui emerge chiaro ed eloquente il nodo della questione. Sono proprio le forze dell’ordine, e in particolare i reparti celere, che, con la loro violenza quotidiana nelle strade(la loro sì che è violenza), costituiscono l’anello terminale della catena di comando che impone esistenze precarie e indegne a milioni di persone nel nostro paese. Le forze dell’ordine sono complici e corresponsabli dell’esproprio a intere generazioni dei propri diritti e del proprio futuro, condannando ampie fette, sempre crescenti, della popolazione a povertà e sfruttamento. Svolgono una funzione fondamentale: mantenere lo stato di cose presenti, garantire che l’ordine sociale, politico ed economico resti tale. “Il giuramento che ho fatto è contenere quella rabbia”, parole chiare ed inequivocabili. Senza però volersi ricordare che poca, se non nessuna, differenza c’è fra chi contiene una rabbia giusta di chi vuole decidere della propria vita e chi nega la democrazia. Perché la democrazia è una parola svuotata di senso quando “i luoghi sacri della democrazia sono inviolabili”, quando sono istituite zone rosse a difesa di chi decide sulle teste di chi poi vedrà tradursi queste leggi in precarietà e povertà. La zona rossa, oggi, come il 14 dicembre, è il simbolo della distanza incolmabile fra la classe politica e “dirigente” di questo paese e gli studenti e i precari che hanno deciso di prendere in mano le proprie esistenze e di determinare il proprio futuro. E’ l’evidenza che il sistema della rappresentanza è arrivato al capolinea e questo ben spiega l’acuirsi della violenza dei celerini. Non vi è altro modo per mantenere in piedi questa concentrazione di potere e ricchezza volta unicamente alla propria riproduzione e a quella delle disuguagliaze esistenti. Come si fa a chiamare democrazia, l’imposizione di misure decise nei Consigli di Amministrazione dei grandi fondi di investimento mondiali e delle dieci società che controllano oltre il 70% dei flussi finanziari globali cui poi viene data una parvenza di democrazia mettendoci sopra il bollino UE? Questa è tutto fuor che democrazia. La democrazia è sapersi mettere in gioco, avere il coraggio di sfidare chi ci impoverisce per trasformare l’esistente, utilizzando le nostre intelligenze e i nostri corpi (e i caschi sì, perché i caschi salvano la vita anche a noi, non solo ai celerini). Consapevoli che nessun cambiamento radicale può avere luogo senza conflitto sociale. E questo vale anche in Italia, cari Saviano e Giannini, non solo quando avviene in Egitto, in Tunsia, o in qualunque altro paese in cui secondo i canoni di Repubblica vige un regime, e allora è da salutare come la presa di coscienza di un intero popolo, pronto a rischiare la propria vita per liberarsi dal tiranno di turno.
Qui si tratta di sapere da che parte stare. I celerini hanno scelto, dalla parte di chi ogni giorno ci sottrae diritti per far accumulare ricchezza a chi la crisi l’ha creata. Repubblica anche. Noi no.
Noi stiamo dall’altra parte.
Lab.Out – Unicommon Milano
www.labout.org
Tag:
#14nov austerity celere crisi gener strike repubblica repubblica.it scontri