Sul #14N, la violenza e l’austerity
Il primo bilancio della giornata è l’incredibile partecipazione di gente. In Italia e in Europa l’adesione allo sciopero è stata massiccia, sicuramente più di quante certe poltrone si aspettassero. Infatti il livello internazionale è stato subito tralasciato dai media, per concentrarsi su una dinamica più nazionale.
Nello stesso momento in tutta Europa si susseguivano manifestazioni e scontri con le stesse parole d’ordine: no all’austerità, no ai diktat europei della troika, no al governo attraverso il debito. Forse per la prima volta dall’esplosione della crisi europea c’è stato un momento condiviso di opposizione alle politiche centrali dettate dalla troika, che una per una si stanno abbattendo sugli stati europei, partendo dalla Grecia, passando per Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia. Finalmente è risultato chiaro che, come l’attacco subito, anche la risposta debba essere obbligatoriamente transnazionale.
Questi fattori sui mezzi di comunicazione main stream si sono persi, andando a sostituirsi a un argomento ben più semplice da affrontare per i media nostrani: la cronaca. Infatti è la cronaca a fare da padrona, la dinamica degli scontri, la “mappa degli scontri”, il filmato dei manifestanti e il filmato della polizia. Dinamiche di piazza fini a se stesse e utili alla spettacolarizzazione della rivolta.
Però il ragionamento dev’essere anche e soprattutto sulle motivazioni dello scontro. E sull’utilizzo e il significato della violenza. La violenza dello scontro di piazza è una violenza “spettacolare”; il blocco nero, il fumo, le “truppe” che si muovono. Per una cultura ricchissima di film di guerra è sicuramente uno spettacolo da non perdere dalla televisione. Ma nient’altro è che una logica conseguenza a una violenza che è molto più sottile, è molto più infima e si nasconde nella vita di tutti i giorni.
E’ la violenza delle rinunce, la violenza dei sacrifici, mantra a cui l’attuale governo tecnico ci sta abituando. “Ce lo chiede l’europa” è la formula utilizzata per attuare i diktat europei che mirano al completo smantellamento dello stato sociale. La disoccupazione cresce quasi più velocemente del debito sovrano, i soldi diminuiscono e le persone hanno sempre meno autonomia. E l’altra faccia del governo tecnico, o meglio, la nostra faccia, perchè quella dei guadagni la vedono solamente le banche, le agenzie interinali, le grosse finanziarie.
Non siamo poveri, i beni di prima necessità ce li abbiamo tutti (almeno nella maggioranza, perchè alcuni iniziano a perdere anche quelli, altri non li hanno mai avuti), abbiamo però dovuto subire delle enormi privazioni in nome del risparmio, ma non siamo noi che dobbiamo risparmiare, non siamo noi che dobbiamo ripagare i debiti.
Questo è il fattore della rabbia. Per questo motivo gli studenti puntavano su banche, interinali, enti governativi e uffici europei, perchè sono i reali responsabili dell’enorme crisi economica e ce la stanno scaricando sulle spalle.
In mezzo però c’è la polizia. Soldatini al servizio dei poteri forti, in cui nella vita è stato insegnato a obbedire e picchiare. E questo fanno, a Milano a Roma, a Torino e in molte altre città. Difendono quello che gli hanno detto di difendere e picchiano indistintamente la controparte come se si trattasse di un avversario da sterminare.
C’è chi ha detto di questo 14N che “è stata una guerra”, ci permettiamo di dissentire. E’ stato un fuoco di rivolta, è stato il segnale che abbiamo gli occhi puntati nella direzione giusta e che non abbiamo paura della repressione.
Una guerra prevede due eserciti che si fronteggiano: il 14N ce n’era uno solo di esercito in piazza. Dall’altra parte c’erano studenti, lavoratori, precari che provavano a riconquistarsi il futuro, con ogni mezzo necessario.
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