Mim e il voto: una tragedia greca?

PROLOGO

Angela

Ragazzi, tra poco ci sono le elezioni, secondo me non possiamo non parlarne. Troviamo un modo intelligente per farlo, che sia in armonia con i diversi punti di vista che ci caratterizzano.

STASIMO I

Coro

Angela ha ragione: la campagna elettorale tappezza la città di manifesti, i giornali mainstream plaudono ai propri candidati, le piazze sono invase di gazebo di gruppi politici di ogni genere e specie e gli innumerevoli canali televisivi scagliano nelle case dibattiti propagandistici più che in ogni altro periodo dell’anno. E Mim? Cosa facciamo?

 

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EPISODIO I – CHE COSA VOGLIAMO DIRE SU QUESTE ELEZIONI?

 

Angela

A me Ambrosoli non piace, ma ancora meno mi piace Maroni, per questo penso vorrei che mettessimo in luce le schifezze che ha fatto la Lega in questi decenni.

Vale

Sì, Angela ha ragione, sulla Lega dobbiamo pestare!

Anna

Sì, parliamo dei provvedimenti approvati da Formigoni&Co in questi decenni… Mi concentrerei soprattutto su sanità, casa, territorio e suola pubblica. Il meno possibile con retorica e il più possibile portando dei dati. Farei tutto il contrario di quello che ha fatto Santoro con Berlusconi, tanto per intenderci.

Vale

Io vorrei parlare di elezioni su Mim, ma non vorrei fare una roba “imparziale”, ci pensano già i media mainstream a fare finta di agire in questo modo… Io vorrei esprimere un’idea di regione, di città, vorrei esprimere cosa sarebbe bello fare, cosa vorremmo per questa regione…

Rebecca

Per parlare delle elezioni si potrebbe scrivere un articolo utilizzando il “cerchiobottismo”, cioè più opinioni (in questo caso presentando le varie persone e le varie idee differenti) che vengono raccolte per permettere al lettore di farsi la sua: normalmente questo tipo di tecnica elude il compito di schierarsi del giornale, essendo che nel caso di MiM ciò non serve, si può mantenere la tecnica in modo differente, non so bene come, ma comunque dando magari una visione ampia del fatto.

Franz

Prendo spunto dalla mail di Rebecca e mi lancio in una proposta forse un po’ azzardata ma, credo, anche stimolante: perchè non facciamo un editoriale che contenga uno scambio mail tra noi sul tema elezioni???

 

STASIMO II

Coro

Partendo dal presupposto che siamo convinti che la politica vera, quella che si occupa della polis e quella che facciamo portando avanti MilanoInMovimento, non parte di certo dalle urne, avviamo un dibattito sulle elezioni, perché, che ci piaccia o meno, sono una cosa che ci riguarda.

 

EPISODIO II – VOTO E MILITANZA SONO INCOMPATIBILI?

Anna

Voglio prima di tutto essere un po’ severa: trovo anacronistiche le affermazioni che si sentono in giro nel mondo di movimento in questo periodo – del tipo “non votare, spara”- e non condivido il pensiero di chi è convinto che andare a votare sia inconciliabile con il percorso che si può portare avanti al di fuori delle istituzioni, ad esempio, nei centri sociali.

Nives

Io sono cresciuta con l’idea che votare rappresentasse il momento più alto di partecipazione alla vita politica.

Poi ho scoperto la militanza. Ho iniziato a partecipare alle lotte reali e a “sporcarmi le mani” cercando di costruire progetti concreti. Ho iniziato a capire che per me la politica è altro, che preferisco lavorare sul tessuto sociale piuttosto che ambire ad una seggiola nel salotto del potere.

Questo non significa che io sia contro la politica istituzionale di per sé, ma che per come stanno oggi le cose quel piano non mi rappresenta né credo sia in grado di portare a cambiamenti radicali reali. Mi sento parte del movimento e in esso il mio agire politico si delinea ogni giorno.

La mia paura è un’altra: se prendere atto della non conciliabilità tra gli organi di governance e i nostri concetti di diritto e giustizia sociale significa rinchiuderci a far parte di una minoranza alienata e incompresa, non abbiamo già perso in partenza? Anche per questo credo il lavoro da fare sia lungo e complesso e che debba ripartire dalla trasversalità, dalla capacità di arrivare a tanti, anche con idee differenti, e costruire insieme consapevolezza, pensiero critico e partecipazione.

Angela

Semplificando al massimo: perché fare politica attiva non a livello istituzionale, sul territorio mettendo in essere pratiche di partecipazione attiva etc. è per forza un percorso in contraddizione ed inconciliabile con la politica istituzionale, con il voto etc.?

Fare politica in gruppi istituzionali vuol dire precludersi percorsi di partecipazione attiva sul territorio e viceversa scegliere di fare politica nel movimento vuol dire auto precludersi la possibilità di utilizzare gli strumenti della partecipazione alla politica delle istituzioni?

Io penso che i due piani non siano in contraddizione per default, penso che siano due piani differenti che possono correre paralleli e autonomi.

Se faccio politica nel movimento, nei centri sociali, nei gruppi extra istituzionali che credono che il generare conflitto non abbia una valenza necessariamente negativa, che alzano il livello di radicalità sia nelle pratiche, sia nei contenuti, vuol dire che non posso, anche esercitare il diritto al voto ed affermare pubblicamente cosa/come e perché dovrebbero muoversi i gruppi che hanno scelto di fare politica istituzionale?

Vuol dire che mi devo auto precludere la possibilità di indicare e spingere verso la strada che vorrei che percorressero le politiche istituzionali?

Para

Io il mio voto l’ho sempre legato, più che a scelte di campo ideologiche, al sentirmi rappresentato: quindi ho votato (spesso) quando mi sentivo rappresentato, e non ho votato (raramente) quando non mi sentivo rappresentato da nessuna delle parti in causa.

Molto spesso mi sono pentito del mio voto, mai del non voto.

Non sono mai stato un sostenitore del “tanto peggio, tanto meglio“, e credo che essere rappresentato da qualcuno di cui “mi fido” all’interno delle istituzioni, al di là della mia scarsa fede in esse, mi faccia “comodo” nel breve-medio termine.

Il percorso istituzionale non mi appartiene ma, quando posso fare in modo che sia il più possibile parallelo al mio, cerco di farlo. Non vivo il voto come un “far parte” del percorso istituzionale, né come una sua accettazione, ma come una possibilità di modificarlo secondo i miei desideri, pur sapendo benissimo che non sarà mai coincidente col mio.

Franz

Se ragiono in astratto il mio pensiero è semplice: il sistema di voto a suffragio universale, dentro uno Stato (borghese? capitalista?… definitelo come meglio vi aggrada, ci siamo capiti!) non può prescindere dal contesto stesso in cui è inserito, ovvero quello per cui vi è un esercizio non democratico del potere da parte di una classe sociale nei confronti delle altre. In questo senso le elezioni non sono altro che la foglia di fico con cui questo sistema di potere maschera il suo esercizio di comando.

Ne consegue che qualsivoglia intento radicale di cambiamento non possa passare attraverso questo tipo di strumento.

Però…però devo aggiungere alcune cose.

1- Mi piace avere delle idee, anche generali e complessive, ma le vivo più come una “guida interiore” che come un indicatore quotidiano. Cioè credo che la cosa sensata sia trovare il modo di mettere in relazione queste idee, questi riferimenti generali con la vita e la realtà di tutti i giorni (diciamo che per certi versi quanto ho appena detto è per me il senso che do al concetto di “far politica”).

2- Nella posizione espressa prima non a caso parlavo di “cambiamento radicale” e i cambiamenti più “piccoli”, parziali, secondari o semplicemente non complessivi? Cosa facciamo, li schifiamo perché non sono “generali”? Io no, non lo voglio fare.

Io voglio inseguire un cambiamento radicale dell’esistente e se nel frattempo posso “accumulare” piccoli pezzi e singole parti di questo cambiamento non lo rifiuto ne disdegno e se questi piccoli pezzi passano attraverso un voto (un referendum, un’elezione) non mi sento in contraddizione coi miei principi e riferimenti generali.

3- Per questo considero il voto, in generale, uno strumento. Uno strumento eventuale del mio agire politico. Uno strumento al pari del corteo, della raccolta di firme, dell’occupazione di spazi, del comitato di cittadini, della sede fascista da bruciare, del picchetto di fabbrica, dello sciopero generale, della controinformazione… Uno strumento che come quasi tutti gli altri strumenti bisogna saper usare, sapere quando usare (e quando no), uno strumento che non è che siccome lo usi tu ciò esclude che altri lo usino contro di te (così come non è che siccome altri lo usano contro di te allora tu non devi usarlo).

Il movimento della Pantera veniva chiamato “il movimento dei fax” perché per la prima volta uno strumento “nuovo” veniva utilizzato dai movimenti. La rete web se non erro nacque come progetto militare…

E le telecamere sono quelle che ci sorvegliano ogni giorno, ci filmano ai cortei ma anche le stesse che ci mostrano il pestaggio di Rodney King o la morte di un cittadino inerme fermato dalla polizia nei pressi di piazzale Cuoco…

Gli strumenti sono strumenti. Non sono nemici di per sé, non sono amici per forza. Non eleggo nessun strumento a mio principale ed unico salvatore, non mi privo della possibilità di utilizzarne nessuno a priori (il che non significa che lo utilizzi per forza).

Anna

Mi piace quanto scrive Franz sugli strumenti, faccio però una precisazione. Io penso che i cambiamenti radicali, più che “non passare” attraverso il voto, non PARTANO da esso. Ma che a un certo punto possano passare anche attraverso il voto, non lo credo impossibile (penso soprattutto ad alcuni referendum). Per questo, non mi riconosco del tutto nel paragone della foglia di fico.

Franz

Mi piace la precisazione di Anna, nella prima parte la condivido.

Credo cioè che i cambiamenti radicali non partano in alcun modo dal voto, possono, se non proprio “passare”, sicuramente averci a che fare, intrecciarvisi e anche io, mentre pensavo a ciò, avevo in mente soprattutto i referendum (o le elezioni locali, soprattutto in dimensioni locali “piccole”).

Vale

Sono cresciuta in una famiglia che si è sempre definita di sinistra.

Dai principi capi saldi datimi dai miei, le mie idee si sono estremizzate, ho iniziato a leggere libri sul pensiero anarchico, su Marx, sulle teorie della giustizia come equità sociale…

Con la crescita e lo scazzo generazionale, ho iniziato a trovare molte delle idee con cui sono stata cresciuta conservatrici, chiuse, ottuse e bigotte.

A 18 anni quando ho votato, lo ammetto, ero emozionata. Emozionata perché non vedevo l’ora di votare per qualcuno che avesse le mie idee… E poi tutti gli anni che seguirono… L’insoddisfazione aumentava ed aumenta sempre di più. Oggi poi…

Furio

Per me questo non è un argomento facile.

Il voto in parte mi fa paura, in parte lo considero importante.

Mi spiego. In famiglia mi è sempre stato insegnato che il voto è un momento di partecipazione importante. Che anche tapparsi il naso, e votare il meno peggio, è sempre meglio che regalare il tuo voto a un signor nessuno. Sono cresciuto con questa idea, e dal primo momento in cui ho potuto votare, ho sempre votato.

Durante tutto questo tragitto, ho attraversato in vari momenti la vita militante, in principio da studente del liceo.

Poi con l’Onda, i Corsari e tutto quello che ne è seguito mi sono rimesso completamente in gioco, forse anche con una consapevolezza maggiore.

Ho sempre pensato che il mio agire politico fosse dettato da alti valori. Giustizia, uguaglianza, libertà. Penso che se dovessi trovare delle parole che mi definiscono penserei a queste enormi che vogliono dire tante, forse troppe cose. E che il mio impegno come militante significasse anche sacrificare il mio stato di benessere personale, per poter permettere rendere il mondo un posto migliore.

Detto così sembra dire “la pace nel mondo”, ma in parte è proprio così: l’obiettivo a cui aspiro è il massimo, ignorando anche in parte la realtà.

Voglio citare un insegnamento degli scout che da bambino mi ha fatto molto riflettere: “L’esploratore agisce sempre con disinteresse e lealtà”

Da allora il concetto di disinteresse è rimasto molto impresso nella mia mente ed è al centro del mio approccio alla militanza, anche se sicuramente, oltre a dare, ricevo anche tanto.

Tutto questo per dire che vedo invece il voto come la vittoria dell’interesse. Il voto è a una persona, e per quanto animata da buonissime intenzioni io dentro una candidatura ci vedo anche e soprattutto un interesse personale, e questo non mi piace. Non sto dicendo che tutte le persone che si candidano lo fanno per poter guadagnarci qualcosa, ma il mio agire politico è legato all’ambito collettivo, alla vita di tutti giorni, alle discussioni e alla partecipazione perché solo in questo modo me lo riesco a immaginare.

Per me la politica parte dal basso, si basa su confronti e sui dibattiti, per ottenere una coscienza collettiva.

Per questo non mi interessa il livello istituzionale, perché penso non debba influenzare quello che faccio, perché la mia politica vuole essere al di fuori dell’istituzione e dentro il contesto sociale, perché penso debba essere il meno personalizzata possibile.

Inoltre volevo ritornare anche sul concetto del meno-peggio. Non sono convinto che il cambiamento debba essere radicale e improvviso, perché nella storia questo tipo di cambiamenti hanno portato solo a movimenti reazionari.

Allo stesso tempo non sono convinto che il modello “meno peggio” sia funzionale a questo. Soprattutto quando questo meno peggio si traveste da noi, si traveste da sinistra. Perché a quel punto va a distruggere un immaginario, un lavoro fatto da chi in queste cose ci crede realmente, facendole diventare pantomime del gioco della politica. Vedere una persona che sbaglia con il vestito del “cattivo”, mi fa incazzare, ma se è vestito da “buono” mi fa proprio uscire fuori di melone. Perché a quel punto va a rovinare, e inficiare su quel lavoro quotidiano che per me è fondamentale, ed è fragile, estremamente fragile.

STASIMO III

Coro

Storie personali, emozioni, contraddizioni e non contraddizioni, politica e non-politica, strumenti, disinteresse, rappresentanza, partecipazione, cambiamento, ma… Quindi? Votare o non votare?

 

EPISODIO III – CHI VOTA PER IL VOTO?

Angela

Vi dico: io ho sempre votato, con gran schifo, ma l’ho sempre fatto. E quest’anno sono in fortissimo imbarazzo. Per la regione voterò Muhlbauer perché stimo la persona singola, il suo passato politico, il suo presente, lo reputo persona trasparente, corretta e intelligente, voto la persona singola, niente più.

Vale

Anche a me non piace Ambrosoli, e anch’io voto Muhlbauer.

Anna

Io andrò a votare, con una narice tappata e una no. Non mi piace Ambrosoli, non mi piace per le cose che dice e non mi sono piaciute le modalità del suo ingresso in politica. Voterò invece convintamente Muhlbauer come consigliere perché mi è vicino e affine e mi piacciono la sua presenza e la sua capacità di ascolto.

Giulia

Io tengo molto a queste elezioni regionali, perché la rabbia è troppa per tutto quello che abbiamo subito e stiamo subendo per colpa della giunta attuale. Non conosco bene Ambrosoli ed ero in dubbio se votare lui per fare “massa critica” con una ipotetica (spero) maggioranza di centro sinistra. In verità ho scacciato questo pensiero e ho deciso che voterò Mulhbauer. Il motivo è che voglio una persona che sia il più possibile vicino all’idea di politica che vorrei (che dia spazio ai diritti, al sociale, all’ambiente e all’interesse della popolazione). L’esperienza di Pisapia mi ha fatto capire che già le istituzioni in se’ portano a grandi compromessi, e dunque meglio partire da una base solida e più possibile vicina alla propria idea. Quindi voto Mulbahuer. Se vince Maroni vi avviso che emigro a vita.

Nives

Alle regionali mi preoccupa molto che possa vincere la Lega. Il PD non mi preoccupa meno e non voterei Ambrosoli, né lo ritengo un candidato particolarmente credibile per la sinistra. Ma Muhlbauer si è candidato e votare lui mi fa sentire un po’ più in pace con me stessa.

Vale

Voterò alle regionali per Luciano. Solo per Luciano, perché è uno strumento, e ne è cosciente, perché è la figura del politico che vorrei: trasparente, con “il popolo”, si sporca le mani e non ha paura di metterci la faccia… Per i tempi è un coraggioso si può dire! Ambrosoli non mi piace e lì al posto suo avrei preferito fosse Di Stefano… Ma sapendo che c’è anche Luciano, la mia coscienza è più tranquilla e non si sente sporca come è successo in passsato.

Maroni è un incubo. E credo vincerà…

Alle nazionali annullerò la scheda. Ebbene sì, davvero, non c’è nessuno per cui io possa votare… Nemmeno Sel… Davvero non ce la faccio. Non solo non mi rappresentano, ma “li schifo!”, quindi proprio no… Il Tav e le mafie, l’articolo 18 abolito anche grazie a loro, l’appoggio a Monti e la sua ricerca tuttora…No, no.. Proprio no.

Para

Pur essendo contrario a una sovrapposizione dei percorsi militante e istituzionale, non vedo necessariamente una dicotomia insanabile tra impegno militante e voto – come esemplifica la figura di Luciano, che voterò (minchia sta discussione sembra il processo di beatificazione di Muhlbauer…).

Certo il discorso si complica quando si allarga il discorso al livello nazionale, soprattutto con l’attuale legge elettorale che di fatto slega il voto dalla rappresentanza e impedisce al votante qualunque reale influenza. Difatti, alle politiche non voterò, e non voterei nemmeno se ci fosse un candidato paragonabile a Luciano.

 

ESODO

Coro

Fare una sintesi delle varie sfumature di pensiero che colorano questo progetto sarebbe stato possibile, ma per non perdere nemmeno un briciolo della nostra complessità abbiamo deciso di condividere con voi lo scambio che avete appena letto.

Speriamo possa avere dato degli spunti di riflessioni interessanti.

Onore a te che sei arrivato fin qui.

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Una risposta a “Mim e il voto: una tragedia greca?”

  1. Lucia Chessa ha detto:

    Complimenti per la discussione aperta sull’editoriale, la trovo molto utile e anche coraggiosa. Anche a me è servita molto, i miei dubbi somigliano molto ai vostri. Unico dubbio è un voto utile al senato, perché durante questo regime ventennale la qualità della vita, dei rapporti umani ha toccato livelli inammissibili.
    Lucia

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