“All’arme! All’arme! I priori fanno carne!”, alla scoperta delle rivolte popolari medievali con Alessandro Barbero
Terminiamo il 2023 con la recensione dell’ultima opera di Alessandro Barbero All’arme! All’arme! I priori fanno carne! Il medievista piemontese ha finalmente messo nero su bianco con diversi arricchimenti e approfondimenti una serie di lezioni che già si potevano trovare in rete sulle tante rivolte popolari che hanno costellato il Medioevo e in particolar modo quello che, per antonomasia viene definito il “secolo buio” ovvero il XXIV secolo.
Il professor Barbero negli ultimi anni è diventato una vera e propria star. Chi durante i duri mesi della pandemia non ha mai ascoltato almeno un suo podcast o una delle tantissime registrazioni presenti su Youtube dove ha un’infinita fanbase? Chi scrive deve però confessare di conoscerlo già da tempo avendo molto apprezzato in tempi non sospetti Bella vita e guerre altrui di Mr Pyle, gentiluomo capace di vincere il Premio Strega nel 1996 e ambientato durante le guerre napoleoniche.
La prima osservazione da fare è che, per chi ha una certa concezione del mondo e della storia, già la copertina dell’opera è sfiziosissima. Si tratta della riproduzione di un quadro che mostra dei contadini armati di asce intenti a fare a pezzi un cavaliere con tanto di cavallo e armatura.
Barbero, da ottimo divulgatore qual è, ha avuto il merito di contribuire a sfatare il mito del Medioevo visto come periodo buio seguito ai fasti dell’Impero romano. Il Medioevo, oltre a essere una fase storica lunghissima è un epoca estremamente complessa e ricca di contraddizioni con un dinamismo culturale, economico e sociale molto elevato, soprattutto dopo l’anno 1000. Un’epoca molto meno oscura e bigotta di quanto si pensi dove, a confronto di epoche più vicine a noi, c’era molto maggiore libertà di pensiero e parola e si affrontavano con ben pochi pudori e molta ironia (vedi Boccaccio) temi che in seguito sarebbero diventati scabrosi. E anche la società feudale che, dai nostri ricordi di studio, sembrava immobile, immutabile e autoritaria era molto più dinamica e conflittuale di quanto potesse sembrare con una vita comunitaria estremamente interessante e la politica fatta a ogni livello sociale.
Anche il Trecento, se da un lato è inevitabilmente un secolo di crisi caratterizzato com’è dal calo della temperatura con conseguente crisi della produzione agricole, la gigantesca pestilenza di metà secolo e le guerra (soprattutto quella dei Cent’anni tra Inghilterra e Francia) dall’altro, anche grazie al calo demografico causato dalla peste nera è un’epoca di aumento notevole dei salari e di rilancio costante degli investimenti. Non è un caso che il Rinascimento ponga le sue radici in quella fase.
In tutto questo va a inserirsi una vitalità delle classi sfruttate che porta a una serie continua di rivolta che Barbero ci insegna, non sono tali perché prive di obiettivi politici che, anzi, erano molto chiari nella testa dei ribelli, ma perché sono state sconfitte.
Da qui conosciamo quindi quattro rivolte che hanno caratterizzato l’Europa del XIV secolo. Tre molto conosciute e una meno.
Si tratta della Jacquerie francese del 1358, della rivolta dei ciompi a Firenze del 1378, della rivolta dei contadini inglesi del 1381 e infine della rivolta dei tuchini nel canavese a fine 1300.
Tratto unificante delle rivolte, con l’unica eccezione dei ciompi fiorentini, è che si tratta di rivolte contadine. In Francia e Inghilterra si tratta di due rivolte di massa che, come spesso capita, vedono nella nobiltà e nell’alto clero i nemici diretti e invece prendono come referente delle proprie rivendicazioni la figura del sovrano visto nel mito del re buono che deve riparare ai torti. Le due rivolte, avvenute nei due paesi dissanguati dalla lunghissima guerra che li vedeva contrapposti, la Guerra dei Cent’anni (1337-1453) dopo aver fatto tramare il potere costituito ed essere riuscite ad ottenere brevi concessioni vengono represse nel sangue. La rivolta dei tuchini nel canavese è una rivolta delle comunità locali contro lo strapotere e l’arroganza dei feudatari locali. Durata diversi anni ha visto i grandi feudatari Savoia giocare d’astuzia su diversi tavoli interessati com’erano da un lato all’indebolimento dei loro pretenziosi vassalli e dall’altro al contenimento delle comunità locali.
Diversa è invece la rivolta dei ciompi che è una vera e propria rivolta del proletariato cittadino nella già ricca Firenze dei commerci del XIV secolo. I ciompi erano sostanzialmente gli operai addetti alla parte meno qualificata della lavorazione della lana. Il grosso problema è che questa vasta categoria di lavoratori, nel sistema delle corporazioni delle arti e dei mestieri in cui era organizzato il mondo del lavoro dei comuni italiani medievali, non aveva di fatto rappresentanza. Il diritto alla rappresentanza fu una delle prime e più importanti richieste dei ciompi durante i due mesi di rivolta. L’ago della bilancia del conflitto fu il cosiddetto popolo minuto ovvero la piccola borghesia che inizialmente si alleò con i ciompi del popolo magro salvo poi cambiare alleanza passando dalla parte del popolo grasso ovvero la grande borghesia per la paura dell’aumento della radicalità politica del proletariato fiorentino.
Tutte le rivolte sono state quindi sconfitte. E tutte vengono generalmente raccontate dal punto di vista dei vincitori. Questo a dimostrazione di come i media e la narrazione siano quasi sempre nelle mani di chi detiene il potere. Altro aspetto interessante è che più una rivolta è lontana nel tempo più aumenta la simpatia trasversale per i ribelli. Questo perché questa diventa politicamente innocua e la si può tranquillamente museificare. Più invece una rivola è vicina ai giorni nostri più i giudizi si fanno complicati e ribelli passano spesso e volentieri per i cattivi della situazione nonostante la storia si farà poi carico di rivelare la giustezza delle loro posizioni.
Insomma, una lettura interessante per queste vacanze natalizie di fine 2023
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