SAP – Lasciateci torturare in pace!
Niente, anche questa volta la speranza di un ragionevole e dignitoso silenzio è risultata del tutto vana. D’altra parte di dignitoso hanno ben poco sia il Sap, sedicente Sindacato Autonomo di Polizia tristemente noto per frasi come “Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie” (commento a caldo del segretario generale del Sap Gianni Tonelli dopo la lettura della sentenza di assoluzione degli imputati del caso Cucchi) che per gli applausi ai poliziotti condannati per aver massacrato a morte Federico Aldrovandi, sia Matteo Salvini, che come un Alberto da Giussano moderno a cavallo di una ruspa non perde mai occasione per dire una minchiata. Ma proprio mai. L’ultima in ordine cronologico suona così “Ci vuole libertà di azione assoluta per polizia e carabinieri. Se devo prendere qualcuno per il collo e se si sbuccia un ginocchio o si rompe una gamba, cazzi suoi” (i media a destra e a manca hanno censurato “cazzi” con degli eloquenti puntini, perché il contenuto può anche essere disumano, ma guai ad essere scurrili). Matteo, diverse volte c’è scappato pure il morto, ma immaginiamo sempre cazzi loro per te, è evidente che le forze dell’ordine abbiano dovuto soffocarli a morte con tutto il loro peso, spezzargli la colonna vertebrale o rompergli addosso dei manganelli. Dovevano. Comunque sta sereno, lo sappiamo che ogni occasione è buona per prender voti, quindi mettiamo anche questa nel calderone delle tue inutili quanto oscene dichiarazioni.
La questione che ha scatenato la reazione del Sap e del segretario leghista è il recente ddl sull’introduzione nel Codice Penale italiano del reato di tortura, a seguito della sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che, dopo aver qualificato come tortura le violenze compiute la notte del 21 luglio 2011 alla scuola Diaz di Genova, ha sollecitato le istituzioni italiane a dotarsi di norme adeguate in merito. A dirla tutta, l’Italia avrebbe già dovuto attivarsi in tal senso in occasione della ratifica della convenzione Onu contro la tortura, avvenuta nel 1989 con la pubblicazione della relativa legge sulla Gazzetta Ufficiale. Son passati giusto 26 anni, ma si sa come vanno le cose da ste parti.
I punti nevralgici delle norme in corso di approvazione sono, sostanzialmente, reclusione da 4 a 10 anni per chi commette il reato di tortura (salvo nel caso cui il torturatore si un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, circostanza aggravante che porta ad un aumento della cornice edittale da 5 a 15 anni), istigazione alla tortura specifica vale solo per pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, prescrizione in 30 anni (per i pubblici ufficiali, 24 per i comuni mortali), nessuna immunità diplomatica, divieto assoluto di espulsione o respingimento verso paesi che praticano la tortura, inutilizzabilità di qualunque dichiarazione o informazione estorta con tortura.
Il testo dell’art. 613bis, rubricato Tortura, ora nuovamente al vaglio del Senato, per ora recita così “Chiunque, con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni. Ai fini dell’applicazione del primo e del secondo comma, la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dal fatto deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate. Se dal fatto deriva una lesione personale grave le pene sono aumentate di un terzo e della metà in caso di lesione personale gravissima. Se dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta, le pene sono aumentate di due terzi. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.”
Apriti cielo. La prima questione contro la quale si scagliano i membri del Sap è quella relativa alle sofferenze psichiche, la cui prova contraria è secondo loro “diabolica” e costringerà le povere forze dell’ordine ad abbandonare i bravi cittadini italiani a loro stessi, perché ogni delinquente potrà sporgere denuncia in tal senso. I nostri eroi sono preoccupatissimi che, minacciando una qualunque persona sotto la loro custodia di ricevere una sberla se non parla, possano essere indagati per averle causato sofferenze psichiche. Aldilà del fatto che si tratta comunque di una minaccia di violenza fisica, che di per sé è vietata, a noi torna in mente altri esempi ben più emblematici. Pensiamo a costringere degli arrestati a cantare faccetta nera, a mettersi carponi e abbaiare come cani, a stare in piedi ore faccia al muro e ossa spezzate, alle minacce di violenza sessuale. Chi ha vissuto l’inferno di Bolzaneto queste cicatrici le ha ancora profondamente scolpite nell’anima.
Fossimo in loro, però, non ci preoccuperemmo troppo né dell’aspetto fisico, né di quello psichico della tortura. Nei tribunali abbiamo visto vittime della più brutale violenza poliziesca morire di infarto o denutrizione. O al massimo si son menati da soli.
Al Sap non piace nemmeno l’art 613ter, in cui è previsto che il pubblico ufficiale che istighi altro pubblico ufficiale a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta o è accolta ma il delitto non viene commesso, è punito con la reclusione da 1 a 6 anni.
Allarme! La polizia è sotto attacco! la domanda sorge spontanea, se le forze dell’ordine sono così integerrime, come loro sostengono, in ragione della divisa che indossano e del solenne giuramento fatto allo Stato, di che hanno paura esattamente? A prescindere dall’introduzione di questa norma, alcun ordine contra legem può essere mai dato ad un proprio sottoposto, quindi cosa cambia? Poco e nulla, ma qualunque scusa è buona per osteggiare queste norme, guardandosi bene dal dire qual è, a parere nostro, il vero grande timore.
Semplice. Il reato di tortura si prescriverà in trent’anni, non sei come per l’abuso d’ufficio, non sette come per lesioni gravi. In sostanza, se nel Codice Penale del 2001 fosse già stato previsto il delitto di tortura, probabilmente alcuni degli sbirri coinvolti nei fatti di Genova sarebbero ancora sotto processo per aver massacrato centinaia di persone. E probabilmente, alla fine, sarebbero stati condannati per tortura.
Non vogliamo essere fraintesi, la nostra non è una deriva legalitaria e giustizialista, ma riteniamo che sia fondamentale dare ad ogni cosa il proprio nome. Se una persona, in stato di arresto o fermo, viene massacrata di botte, terrorizzata, minacciata di violenza dal proprio carceriere, non è abuso d’ufficio, è tortura.
In fin dei conti, però, non siamo degli illusi. Storicamente, la verità che viene scritta nei tribunali, spesso e volentieri, non corrisponde alla verità dei fatti. Probabilmente casi evidenti di tortura diventeranno casi incredibili di autolesionismo, ma questa è un’altra storia.
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[…] della legge sulla tortura arrivi durante il quindicesimo anniversario del G8 di Genova. Lo scorso anno l’Italia è stata condannata per tortura della Corte Europea dei Diritti dell&#… A breve potrebbero arrivare nuove condanne internazionali per la vicenda delle violenze sui fermati […]