Da Piazza Fontana ad Ankara, quando lo Stato è contro il cambiamento
A dare calore all’umido autunno milanese ieri è stata una piazza composita, convinta e colorata.
Circa 2000 persone hanno attraversato il centro cittadino in sostegno alla mobilitazione promossa dalla Comunità Kurda milanese per denunciare l’ennesimo attentato alla democrazia partecipata, alla pace e alla libertà.
“Ankara: strage di Stato”, questo lo slogan della manifestazione e dello striscione di testa.
Un messaggio chiaro che non lascia spazio a dubbi. Un messaggio che la Milano di Piazza Fontana sa bene cosa comporti. Momento solenne infatti il passaggio proprio davanti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, a dimostrare che oggi, come ieri, la strategia della tensione è uno strumento nelle mani di governanti e poteri forti quando la direzione che prende un paese non è quella dell’accentramento del potere nelle mani di pochi, non è quella dell’oppressione , non è quella del tacito silenzio per mantenere lo status quo.
La manifestazione, tra cori, canzoni, bandiere curde e della Rojava ed interventi agguerriti, si è conclusa in Piazza Duomo, luogo di raccolta finale dove la Comunità, le associazioni, i numerosi collettivi studenteschi medi ed universitari e gli spazi sociali di Milano hanno preso parola confermando una prospettiva distante rispetto a quella dei media e della stampa: la strage di Ankara in cui sono morte 128 persone e ne sono state ferite 516 non è opera del fondamentalismo islamico firmato Isis.
Nella capitale di uno stato all’erta come quello turco, una falla del genere nel sistema di sicurezza non è credibile, come non è credibile la falsa guerra al Daesh che il governo turco finge di portare avanti mentre in realtà strizza l’occhio ai fondamentalisti e massacra la popolazione kurda.
Non regge la versione quindi che mira a togliere le responsabilità al governo Davoutoglu diretto da Erdogan.
La destabilizzazione del paese arriva, caso strano, proprio nel momento in cui per la prima volta un partito che rappresenta le istanze del popolo kurdo ha registrato consensi tali da superare la soglia di sbarramento per entrare in parlamento e compromettere letteralmente la possibilità per Erdogan di raggiungere quella maggioranza assoluta che gli avrebbe consentito di sancire un governo che di democratico avrebbe avuto solo il nome.
Ma è quindi Erdogan il mandante diretto di questa strage?
Sicuramente in passato non ha avuto alcun problema a sporcarsi le mani di sangue per fermare l’opposizione, che fosse ai tempi di Gezi Park o oggi con l’HDP.
Sicuramente il presidente dell’AKP è il principale colpevole del clima di terrore che vige ora nel Kurdistan turco e in quello siriano.
Sicuramente ha il potere di indirizzare l’intelligence turca dove più e’ strategico per i suoi scopi dittatoriali.
L’evidenza schiacciante, però, che questo attentato sia in linea con quanto vuole Erdogan lascia un dubbio sull’ immediatezza della sua impronta.
No, non è innocente, ma è strano un tale autogoal.
Questa strage porta la firma dello Stato turco e dei poteri forti, ma potrebbe essere stata organizzata oltre il controllo diretto di Erdogan.
Sia chiaro, parlare di servizi segreti o di servizi segreti deviati non è un dibattito interessante o determinante…sempre di Stato si discute.
Tuttavia, se la politica di terrore di Erdogan fosse uscita dal suo controllo, si presenterebbe una situazione ancora più pericolosa e complicata.
Quello che è certo è che le imminenti elezioni si insinuano in una spirale omicida che fanno temere la possibilità di altri attacchi sanguinari.
Il dovere di tutti ora è non restare in silenzio e continuare a scendere in piazza proprio come ieri, perché il silenzio uccide di più delle bombe, e il tanto tacere ha già compromesso troppe vite.
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