[DallaRete] Riflessioni sul tema della sicurezza a Pisa
“Per il potere qual è l’essenza della città? Essa fermenta, piena di attività sospette, di delinquenza; è un focolaio di agitazioni. Potere dello stato e grandi interessi economici non possono concepire molto di più di una strategia: svalorizzare, degradare, distruggere la società urbana.”
(H. Lefebvre, Il diritto alla città)
Giornalismo e barbarie
La questione sicurezza, nell’accezione più securitaria del termine, è diventata centrale nel dibattito pubblico. Ad aprirle la strada, un giornalismo sempre più dedito a esaltare fatti di cronaca minore, a dare spazio alla narrazione del furto, dello scippo, del minimo atto illecito. I protagonisti di questi racconti ormai inflazionati sono spesso cittadini appartenenti alle fasce più povere e marginalizzate, verso le quali è più semplice catalizzare l’odio e il razzismo, che permeano larga parte dell’opinione pubblica.
Il giornalismo del quale ogni giorno si nutre la popolazione sembra aver abdicato a ricoprire qualsiasi ruolo autonomo e d’inchiesta. Celeri a scagliarsi contro i meno abbienti – i reati minori commessi generano odio e l’odio è amico dell’audience, del marketing – è frequente che i mass media spesso contribuiscano alla creazione di un nemico pubblico che incarna tutti i mali della crisi economica, tacendo la complessa articolazione della stessa. E sono gli stessi mass media a farsi portavoce di un certo linguaggio della politica.
Strumentalizzare la legalità, favorire i potenti
A Pisa l’amministrazione comunale, invece di sottrarsi alle suddette logiche, le alimenta attraverso l’abuso e l’ostentazione di una parola assai cara anche a chi combatte quotidianamente le diseguaglianze sociali, ossia la legalità. Legalità, per chi amministra la città, non è più un concetto denso di contrapposizione ai soprusi e alla sottrazione dei diritti, ma un parola-jolly da utilizzare a sproposito, soprattutto nella ricorrente formula che recita “occorre ripristinare la legalità”. Ci chiediamo di quale legalità si stia parlando se essa viene richiamata senza una contestualizzazione, se essa viene evocata nella modalità per cui tutto è uguale a tutto, se non viene affiancata alla descrizione del crimine violento, o di altro genere, che si starebbe verificando. A fare le spese di questa strumentalizzazione del discorso pubblico – guarda caso – sono ancora una volta i più deboli, i più poveri, chi manifesta dissenso, chi propone l’alternativa.
Di quale legalità parliamo quando solo nelle ultime settimane è scoppiata prima l’inchiesta su Andrea Bulgarella, poi il caso delle fideiussioni tossiche e dei casi di mega evasione di ICI e IMU da parte di alcuni grandi costruttori di questa città, mentre prolifera il mercato degli affitti al nero e migliaia di case vengono lasciate volutamente vuote per drogare il mercato? È davvero possibile sviluppare una similitudine tra il timore di infiltrazioni mafiose a danno della cittadinanza tutta e un cittadino che vende per strada senza autorizzazione o che transita sul territorio nazionale senza regolare permesso? Sono esempi di legge lesa che è davvero possibile mettere in paragone rispetto alle ricadute sulla collettività?
Quello finora descritto ci sembra un gioco retorico crudele e straniante dalla realtà che occorre scardinare tempestivamente agendo su due fronti: da un lato raccontando e informando il più possibile le ambiguità che sottendono il governo della città, dall’altro ripristinando uno stato di diritto dal quale sia estromessa l’idea e la concretizzazione dell’impunità dei forti.
Fondare paure per governare la città.
Pisa città insicura: un sentimento che ha ormai carattere inter-generazionale, che attraversa tutti i quartieri, da quelli centrali e quelli più periferici, complici le scelte urbanistiche e sociali che caratterizzano lo sviluppo del territorio cittadino.
La paura trova sicuramente terreno fertile nella crescente crisi che ha colpito il paese e che adesso mette in ginocchio anche molti abitanti di questa città: le scelte del governo Renzi colpiscono sempre più i beni collettivi, il welfare, la sanità, il lavoro. Pisa si sta dunque trasformando e l’incertezza in cui ognuno di noi vive, qualsiasi sia l’età, la cultura, la provenienza, è aumentata.
Ecco che in questo clima di timori assortiti – per la possibile perdita del lavoro, per l’impossibilità di accedere facilmente alla cure, per la difficoltà a portare avanti il proprio percorso formativo, per la mancanza di prospettive per sé e per le proprie famiglie – si attiva la ricerca di un facile nemico: lo straniero, senza distinzione tra migranti, profughi, cittadini comunitari o extra-comunitari. Il solo udire lingue di provenienza diversa fa scattare la paura mista alla rabbia, si prospetta una fantomatica colonizzazione straniera nel nostro territorio, si moltiplicano le discriminazioni più subdole così come gli atti di razzismo vero e proprio, si incolpano i venditori ambulanti di contribuire al nostro impoverimento, ai clandestini di sottrarre i nostri posti di lavoro, allo straniero di inquinare la nostra cultura.
A fronte di queste manifestazioni di irrazionale paura che arrivano a toccare la xenofobia, le istituzioni rispondo con l’emanazione di una serie di ordinanze e altre amenità: anti-borsoni per i venditori ambulanti delle zone turistiche, anti-bivacco nelle strade del quartiere della stazione, alcune inammissibili dichiarazioni dell’Ass. alle Politiche Sociali Sandra Capuzzi quali “i rom devono diminuire ancora”. Atti, questi, che distraggono i cittadini dai veri problemi che affliggono la città, che sono capaci soltanto di favorire l’individuazione del nemico e di acquisire consensi a partire proprio dalla stigmatizzazione di porzioni di popolazione opportunamente scelte. La facilità con cui attecchiscono queste operazioni prettamente propagandistiche ci fa comprendere la natura culturale della crisi che stiamo vivendo, perché una cittadinanza consapevole dovrebbe avere la capacità di distinguere tra il potente che delinque indisturbato e chi viene marginalizzato, sfruttato, bistrattato, invece precise scelte politiche spostano l’attenzione.
Noi abbiamo ben chiaro che cosa s’intenda per vita sicura ai tempi della crisi, immaginiamo una condizione di esistenza in cui i diritti sono accessibili a tutti, lavoriamo affinché si possano affrontare seriamente i tagli ingenti al welfare, al sistema sanitario nazionale, o l’ultimo atto dell’attacco al mondo del lavoro, il Jobs Act.
Una vita sicura è una vita al riparo dalla precarietà, non dalla diversità che esprime il nostro vicino di casa, il nostro collega, il passante che parla un italiano un po’ meno fluente del nostro o che lo parla benissimo, con tutte le inflessioni dialettali del caso, ma magari ha la pelle di un colore più scura. Un quartiere sicuro non è quello dove non abitano persone straniere, ma quello ben illuminato, ricco di spazi aggregativi dove le relazioni, i contatti e la solidarietà la fanno da padroni, dove il senso di comunità è diffuso e facilita l’aiuto e la protezione reciproci. Zone spente, abbandonate, ghettizzate, invece favoriscono soltanto forme di sussistenza ai limiti del possibile, il disagio sociale giovanile e non, la micro-criminalità.
Sicurezza è Pacificazione (?): che non si muova una foglia
Che cosa accade però a chi tenta di invertire la tendenza rispetto alle proposte di governo della città attuate dalla vigente amministrazione comunale? Quale risposta per centinaia di cittadini e cittadine, per la cittadinanza studentesca, per i vasti mondi dell’associazionismo e dei movimenti sociali che elaborano quotidianamente delle risposte concrete alla crisi socio-economica, provando ad aprire una breccia nelle contraddizioni della governance unicamente securitaria della città?
Torniamo ai concetti chiave di questa riflessione – Percezione della sicurezza – Sicurezza – Legalità – per svelare il filo conduttore lungo il quale corre la repressione e la criminalizzazione di coloro che, banalmente, alzano la testa per rivendicare i propri diritti, magari di fronte al malaffare, alla speculazione sul territorio e sulle vite delle persone. La pesante repressione del dissenso, caratteristica che troviamo nel governo di Filippeschi così come ormai in tutta Italia, ci riporta a quell’operazione di svuotamento del concetto di legalità funzionale alla claque che si agita quando il sindaco inneggia al ritrovato dominio della norma.
Ci domandiamo se lo scandalo delle “fideiussioni tossiche” che ha investito prepotentemente il comune di Pisa e che ha seminato il dubbio in tutta la città sulla possibile e sistematica accettazione di questo tipo di dispositivo da parte dell’amministrazione a garanzia di lavori pubblici riceva lo stesso violento disprezzo che riceve un povero costretto a vivere di espedienti per sopravvivere, per tenere in vita una famiglia e la speranza di un futuro più dignitoso. E ci chiediamo se i crediti per quasi 20 milioni di euro che il comune vanta nei confronti di intoccabili società per azioni pisane – una tra tutte il gruppo Bulgarella – saranno riscossi con la stessa celerità con cui si espelle chi resta senza permesso di soggiorno o con cui si sfratta una famiglia “colpevole” di non potersi più permettere un affitto.
La formula del “Due pesi e due misure” torna prepotentemente a ridefinire la sfiducia della cittadinanza nelle istituzioni ed è forse è proprio questo l’obiettivo a cui si mira: allontanando la prospettiva di un coinvolgimento attivo della cittadinanza nella vita di questa città, aumenta la libertà di azione istituzionale, la possibile discrezionalità di intervento, fino all’autoritarismo.
Crediamo che questa città abbia bisogno di una radicale inversione di tendenza su questo tema.
Quando si parla di legalità si metta al centro la lotta all’evasione fiscale dei grandi costruttori, dei grandi proprietari di case e terreni e dei commercianti, quelli che rubano alle casse dello stato e del comune ingenti risorse destinate alla comunità, non per necessità di sopravvivenza, ma solo per aumentare il mero profitto personale. Che sia chiaro che l’impatto sociale per la collettività tutta di chi sfrutta il lavoro nero e chi abusa degli affitti in nero per esempio, piaghe sociali che colpiscono in particolare le fasce più deboli della popolazione perdendo dignità e tutele, è certamente più rilevante che in altri fatti che invece riscuotono maggiormente dell’indignazione istituzionale.
Quando si parla di sicurezza si pensi prima di tutto a incrementare le risorse destinate al welfare: diritto alla salute, alla casa e al lavoro incrementando le azioni volte all’integrazione e l’inclusione sociale.
Progetto Rebeldia – Pisa
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