Gaza – Fragole, sangue e diserbante
A Gaza mancano tante cose: libertà di movimento, acqua, luce, strade, ma in strada, nei negozi di frutta è facile trovare le fragole. Israele lo sa bene e infatti per anni ne ha importate dalla Striscia per poi rivenderle a cinque volte tanto.
A Gaza mancano tante cose: libertà di movimento, acqua, luce, strade. Non mancano i falafel, l’humus, i taxi e anche le fragole: ce ne sono in abbondanza, costano molto poco e soprattutto sono molto buone. Certo il confronto non rende paragoni: l’acqua è un bene primario e la libertà è un diritto fondamentale.
Siamo in un campo di fragole vicino Beit Lahiya a Nord della Striscia, nella buffer zone, la zona cuscinetto. Ormai le terre più fertili e coltivabili rimaste sono quelle vicinissime al confine e questo rende sempre più complicato poterle coltivare.
Mohammed appartiene a una famiglia storica di coltivatori: “Per noi la coltivazione delle fragole è come un arte che in passato abbiamo anche insegnato agli Israeliani” ci tiene a farci sapere.
Racconta che, fare questo lavoro nella Striscia, richiede una certa dose di coraggio: è facile infatti essere sotto il tiro dei cecchini, che hanno già fatto tante vittime in passato: “ Su tanti pezzi di terra gli agricoltori non possono lavorare. Gli Israeliani ci sparano dicendo che nei nostri campi sono nascosti i missili e quindi si vendicano su chi va a raccogliere”.
A questo si aggiungono le difficoltà legate alla disponibilità dell’acqua pulita, perché quella dolce viene deviata dagli Israeliani. Durante l’ultima guerra sono stati danneggiati i sistemi di raccolta e di irrigazione. “Questa è una zona particolare, con poca acqua e gli Israeliani ce la prendono. Hanno colpito il serbatoio mischiando l’acqua sporca con l’acqua dolce. Adesso è inquinata. A Jabalia o Jigaia non possiamo far crescere le fragole perché non abbiamo acqua sufficiente. Tutta Gaza in teoria viene a prendere l’acqua che abbiamo perché sembra la più pulita ma non è più così”.
A tutti questi problemi, negli ultimi tempi si è aggiunta una pratica già nota in altri momenti più aspri del conflitto: gli Israeliani hanno sorvolato con degli aerei agricoli le zone al confine spruzzando diserbanti e defloranti rendendo così il terreno incoltivabile e velenoso.
Questa operazione non è stata limitata solo alle terre strettamente limitrofe al confine, ma anche grazie al vento i veleni si sono propagati per qualche kilometro raggiungendo i primi nuclei abitativi ed i loro campi. Chiedendo però a Mohammad se anche il suo campo fosse stato investito dall’operazione, lui ci risponde di no: “Queste fragole interessano a Israele”. Da sempre infatti importano a basso costo il prodotto per rivenderlo a prezzi ben più elevati. “Gli Israeliani comprano da noi a 6/7 shekel al kilogrammo e li vendono 25 shekel”
Se da una parte gli Israeliani con questa operazione “di sicurezza” limitano le risorse del popolo palestinese andando a deturpare l’ambiente e privandoli della possibilità di auto sostentamento, dall’altra parte continuano a garantirsi i propri interessi economici selezionando cosa colpire.
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