Estelada bella: la Catalunya che odia la Guardia Civil
Dopo l’intervista di ieri ospitiamo una nuova interessante riflessione sulla situazione in Catalunya.
Conto alla rovescia verso una delle vicende politiche più imprevedibili della storia europea degli ultimi anni, peraltro non priva di colpi di scena. Come la Scozia che voleva secedere dal Regno Unito, la Catalogna vuole votare in un referendum il 1° Ottobre se separarsi dalla Spagna (una monarchia) e diventare uno stato indipendente (una repubblica). In base alla costituzione postfranchista del 1978, la Catalogna gode di sostanziale autonomia nell’amministrazione della regione: uso della lingua catalana negli atti pubblici, protezione della cultura catalana, rappresentazione percentualmente maggiore del proprio peso demografico al parlamento di Madrid, una forza autonoma di polizia, i Mossos de Esquadra; anche se ha minori competenze di quelle attribuite nei sistemi pienamente federali.
L’indipendentismo catalano si ritrova in tutti i momenti chiave della storia spagnola, dal 1821 (pronunciamento democratico contro i Borbone) al 1936 (inizio della guerra fascista contro la Repubblica, con il repubblicano Companys primo presidente della Catalogna autonoma). E’ aperto il dibattito se la proclamazione dell’identità catalana non abbia finito per indebolire la sinistra iberica in momenti chiave, proprio come oggi mette in difficoltà il movimento Barcelona En Comù guidato dalla carismatica sindaca di Barcellona Ada Colau e la formazione cui è alleata alle Cortes di Madrid, vale a dire Podemos, il partito guidato da Pablo Iglesias che è l’unica novità a sinistra in Europa degli ultimi anni, che attualmente governa la capitale spagnola.
Ciò che è importante rilevare è come il movimento indipendentista abbia subito un’accelerazione dopo la crisi del 2008 e soprattutto dopo le elezioni regionali del 2015 che hanno dato la maggioranza dei seggi, anche se non dei voti, alle formazioni indipendentiste, nell’occasione unite in un unico cartello elettorale chiamato Assemblea Nacional Catalana, da cui proviene l’attuale presidente della Generalitat, il governo catalano, Carles Puidgemont, un ex giornalista molto a suo agio coi media in lingua inglese. L’arco dell’indipendentismo è molto ampio, va dalle formazioni centriste che hanno tradizionalmente governato la Catalogna sotto la lunga gestione di Jordi Pujol (1980-2003) e che rappresentano la borghesia mercantile della città, alle formazioni localiste come Esquerra Repubblicana (sinistra repubblicana, in verità piuttosto moderata, piccolo-borghese e forte fuori dalle principali città), fino ai marxisti-leninisti della CUP (Candidatura de Unitat Popular) e gli anarco-catalani della Directa che hanno tanti spazi occupati a Barcellona. E’ importante notare che Podemos andò male alle elezioni regionali del 2015, perché la sua lista fu vista come centralista. Viceversa la lista espressa dai los comunes di Barcellona per le elezioni parlamentari spagnole del 2016 fu un successo, anche perché la CUP decise di non presentarsi dato che non riconosce lo stato spagnolo, e questo aumentò lo spazio politico a sinistra di En Comù, che comunque nella capitale catalana è più forte degli integralisti della CUP (che hanno fatto penare Ada Colau con il loro appoggio sempre in bilico alla sua innovativa giunta ecofemminista basata sulla partecipazione popolare).
Alla fine degli anni zero, ricorda Manuel Castells, ci fu l’opportunità di riformare lo statuto catalano con la mediazione socialista, ma la riforma fallì per l’opposizione dei popolari che tornarono al potere con l’arcicattolico Rajoy nel 2011, una vera doccia fredda per le acampadas indignadas di quell’anno. Da quel momento è stato un continuo gioco al rialzo fra governo castigliano e governo catalano, con le Diadas il giorno dell’indipendenza catalana che hanno visto la partecipazione di più di un milione di persone a partire dagli anni ’10, tale per cui i giovani sono in maggioranza per l’indipendenza mentre la popolazione è divisa a metà. Vi è stato un precedente referendum consultivo per l’autodeterminazione nel 2014 in cui ha votato meno della maggioranza degli elettori, vinto dagli indipendentisti, che Rajoy scelse di ignorare. Ma ora è diverso perché con il 1° Ottobre si potrebbe arrivare alla proclamazione unilaterale della Repubblica Catalana da parte di Puidgemont, cosa che il centralismo spagnolo vuole assolutamente impedire. E’ per questo motivo che il 20 Settembre ha sguinzagliato centinaia di sbirri della Guardia Civil (l’equivalente dei Carabinieri – il corpo che giura lealtà allo Stato, non alla democrazia) contro le istituzioni catalane, compiendo numerosi arresti e sequestrando 10 milioni di schede per impedire che il voto avvenga. Dal canto suo il popolo di Barcellona, già duramente provato dalla strage della Rambla del 17 Agosto, ha invaso le strade sventolando l’Estelada, la bandiera dell’indipendentismo repubblicano, circondando i poliziotti spagnoli che assediavano giornali e amministrazioni catalani. Altre migliaia di gendarmi della Guardia Civil sono adesso in partenza per Barcellona, spesso accompagnati da manifestazioni di incoraggiamento alla repressione da parte dei nazionalisti spagnoli, come è avvenuto l’altro giorno in Andalusia. I portuali di Barcellona cercano di sabotare la logistica della repressione rifiutandosi di prestare assistenza alle navi da crociera che stanno portando le truppe della Guardia Civil a Barcellona.
Podemos, En Comù e i baschi stanno cercando una mediazione istituzionale per fermare l’escalation di tensione, ma i socialisti del PSOE non ci sentono e si rifiutano di intervenire per fermare Rajoy, il quale non ha formalmente dichiarato lo stato d’emergenza e quindi non ha bisogno del voto parlamentare per sospendere la democrazia in Catalogna ed eventualmente imprigionare Puidgemont. Nel caso la Guardia Civil impedisca fisicamente ai cittadini catalani di votare domenica prossima, non è chiaro se le persone continueranno con la strategia non-violenta e neppure come reagirebbero i Mossos, la polizia catalana che è tanto odiata dagli attivisti quanto quella spagnola, ma la cui fedeltà va alla bandiera ufficiale catalana (la Senyera, che simboleggia il passato aragonese della Catalogna). Insomma, diventerebbe Yugoslavia se ci fosse una sparatoria fra i due corpi di polizia, ma anche una sollevazione di popolo se i Mossos di Trapero, il comandante che ha neutralizzato il commando Daesh del 17 Agosto, decidessero alla fine di sottomettersi allo stato spagnolo. Dal canto suo Rajoy ha messo in atto un’odiosa opera di repressione, oscurando a più riprese i siti catalani legati al referendum, di modo che Puidgemont ha dovuto replicare in una cyberwar che vede Assange dalla parte della democrazia catalana contro il centralismo borbonico. Tre quarti dei catalani vogliono votare, non necessariamente per l’indipendenza, la quale però sospetto sia ormai diventata maggioritaria sopratutto fra i giovani dopo l’aggressione di Rajoy. Bisogna ricordare che dei sette milioni e mezzo di persone che vivono in Catalogna, solo quattro milioni circa sono di madrelingua catalana, il resto sono migranti (1,1 milioni) oppure sono di madrelingua spagnola, perché migrati per ragioni economiche dal resto della Spagna durante l’età franchista o in epoca più recente.
Per quanto mi riguarda credo che sia importante dare solidarietà alla Catalunya libera e sovrana sventolando anche a Milano l’Estelada il 1° Ottobre e oltre, in particolare se Rajoy intensifica la repressione. D’altro canto penso che l’affinità politica dei movimenti italiani sia con Barcelona/Catalunya En Comù e Unidos Podemos, piuttosto che coi fondamentalisti m-l della CUP, e quindi spero che si troverà una soluzione istituzionale che riporti la dialettica politica entro una logica di classe (gli indignati di Spagna e Catalogna contro le élite politiche e finanziarie) invece di una logica di nazione, dove i valori di una sinistra postcomunista e modernamente populista – uguaglianza, solidarietà, ecologia, cosmopolitismo – hanno molto da perdere.
Alex Foti
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