Un piccolo grande movimento. No Tav e quadro politico italiano
Il No Tav è stato fin qui un grande piccolo movimento. Grande per la sua convinzione e generosità, per la sua inclusività, per la capacità forse senza pari in Europa di anticipare i nodi generali della crisi del debito. Ma, dato il sostanziale isolamento e nonostante tutti gli sforzi in contrario, ancora costretto dalla controparte a un terreno in prima battuta specifico e “locale”. Bene, oggi si può dire che il No Tav è diventato un piccolo grande movimento.
Grazie alla marcia Bussoleno-Susa e alla reazione messa in campo contro l’allargamento del non cantiere la questione alta velocità è diventata a tutti gli effetti una questione nazionale e generale. Su più piani distinti ma intrecciati.
Innanzitutto, e per la prima volta in maniera così chiara, chi si è mobilitato nelle città grandi e piccole non ha semplicemente dato solidarietà alla valle militarizzata ma ha sentito che in gioco è il futuro di tutti/e. E se a scendere direttamente in piazza sono stati soprattutto giovani, segnale di per sé eloquente, è tutta l’opinione pubblica che è stata richiamata a prendere posizione su un punto semplice quanto cruciale. Alta velocità: con i soldi di chi e per fare cosa dentro la crisi?
E anche la manifestazione Fiom avrebbe avuto la stessa risonanza senza la sconvolgente settimana No Tav? Siamo convinti di no e speriamo che la Fiom ne prenda positivamente atto andando oltre i limiti oramai non più sostenibili di una risposta chiusa nei limiti del “sindacale”.
Ma passiamo al variegato fronte avversario, quello che si dice convinto e compattissimo.
Per intanto, il governo sedicente dei tecnici nella miseria della risposta che (non ) ha saputo dare alle questioni poste dal movimento – che non fossero le manganellate – ha iniziato a disvelare la sua natura tutta politica di governo del “partito preso”. Non è poco averlo costretto a questo. Soprattutto se mettiamo in fila un paio di fatti.
Primo: è sempre più evidente a tutti che c’è un patto (tacito? chiederlo a Napolitano…) tra il Monti dei banchieri da un lato e il berlusconismo dall’altro. E questo patto passa non contro ma anche attraverso (parteimportante del)la magistratura: vedi processi Mills e Dell’Utri. E non si tratta solo di vicende giudiziarie con annesse neo-mafie (a proposito, signor Caselli: chi lotta veramente contro la mafia là dove essa si annida, ovvero nei meccanismi dell’economia delle grandi opere e del debito?), ma di reti mediatiche, capitali da proteggere, interessi da non toccare ecc.
Secondo: mentre qualcuno ha ricominciato impunemente a farsi gli “affari suoi”, Monti sa andare giù secco solo sui soliti noti, dalle tasse sulla casa all’attacco a diritti e ammortizzatori sociali di chi lavora come dipendente o piccolo produttore o, ancor più, di chi il lavoro lo perderà nella recessione che avanza, e senza nulla dare ai precari.
Terzo: sembrava almeno che questo governo avesse recuperato in prestigio internazionale in modo da limitare i danni dello spread. La doppia vicenda dei marò in India e dello schiaffo inglese in Nigeria (al di là di ogni valutazione in merito, che non può accodarsi al meanstream) dicono il contrario. Dunque, se la tempesta finanziaria si è momentaneamente calmata è solo perché è Monti che sta “calmando” banche e mercati con i soldi presi alle pensioni, con le garanzie statali ai debiti finanziari, con i provvedimenti prossimi sul fronte del lavoro. Fino a quando?
Se il change di Obama è finito dopo pochi mesi nelle grinfie della finanza, da noi non si vede neanche un minimo accenno di cambiamento.
C’è poi il triste piano dei partiti. Il movimento No Tav le sta suonando di santa ragione all’apparato Pd, porta scompiglio tra la sua base elettorale, costringe a riposizionarsi chi si colloca, per lo più solo verbalmente, alla sua “sinistra”. Anche questo non è poco: è il movimento a porre la sua agenda costringendo gli altri non solo ad esprimersi su di essa ma facendone una cartina di tornasole di molte altre questioni, dentro il quadro della crisi. E non vale solo per il centro-sinistra. Parodiando si potrebbe dire: Lega ladrona, la Valsusa non perdona…
Insomma, il movimento non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità che la trasversalità del partito dell’alta velocità si è rovesciata in una mezza débacle per lor signori. Sta a indicarlo anche qualche timido segnale di dubbio che traspare qua e là financo nelle pagine della schieratissima Repubblica (nelle parole del suo patròn De Benedetti, nelle uscite di Saviano e di Curzio Maltese…). Non si tratta certo qui di un ripensamento ma della presa d’atto minima di un dato fondamentale: lo scollamento crescente tra l’insieme della popolazione italiana e le istituzioni, il vacillare anche nel ceto medio “riflessivo” (che qualche attesa verso il primo governo postberlusconiano ce l’ha avuta) della credibilità in un piano di sacrifici “equi”, la delusione di fronte alle ricette economiche e sociali di sempre, proprio quelle che ci hanno condotto nel baratro della crisi, l’(ab)uso sciagurato del patrimonio di conoscenze accumulato.
Tutto ciò non vuol dire che la strada per il movimento sia in discesa, e tanto meno che si possa fare affidamento su possibili ripensamenti o italici giri di valzer di qualche avversario disorientato. Vuol dire però che le forze e le modalità fin qui messe in campo – quell’equilibrio ricercato ogni volta tra la ricerca di consenso largo e l’efficacia della resistenza, tra la radicalità e l’inclusività crescente – questo equilibrio va nella giusta direzione. Così come sta pagando la risolutezza e la dignità messe in campo nel non stare con le mani in mano di fronte all’illegalità palese di leggi e misure ingiuste.
Questa può essere l’arma vincente non solo in Valsusa ma in ogni situazione in cui la crisi porterà all’alternativa: o la borsa o la vita. E non saranno poche, queste situazioni, in futuro…
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La Val Susa sarà anche un’ottima palestra ma, rispetto agli assalti al palazzo degli anni scorsi, è un arretramento. Gli arresti fatti a casaccio, le cariche a freddo in stazione e il tentativo di tirare Luca giù dal traliccio servivano proprio a portare il movimento in un cul de sac tra le alpi mentre a Roma si riforma il mercato del lavoro.