Per ogni Robin Hood, c’é uno sceriffo di Nottingham
A seguito della propagandatissima operazione di settimana scorsa condotta da Procura di Milano e Carabinieri contro le lotte al diritto all’abitare riprendiamo un comunicato del Comitato Abitanti Giambellino e Lorenteggio. In una Regione, la Lombardia, dove Aler ha una gestione disastrosa (per usare un eufemismo) con 10.000 alloggi lasciati sfitti e dove l’ex-Assessore alla Casa della Giunta Formigoni Zambetti è finito in carcere per voto di scambio con la ‘ndrangheta si decide di criminalizzare chi lotta per un ideale senza guadagnarci un centesimo.
Triste e breve storia di una storica pagliacciata giornalistica.
I giornalisti stanno tutti li fuori pronti a filmare l’uscita delle pattuglie dei carabinieri in fila indiana, che si dirigono al quartiere Giambellino con i valorosi 180 uomini che smantelleranno il pericoloso Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio, colpevole di aver creato una struttura solidale per impedire gli abusi che da anni si perpetuano in quartiere da parte della polizia e delle istituzioni. Un’intercettazione in cui una ragazza parla con un’abitante del quartiere, che chiama per chiedere aiuto perché “la polizia gli è entrata in casa”. L’accusa infame di racket delle occupazioni. Così è cominciata la giornata di giovedì. Dopo quasi 4 anni di intercettazioni e pedinamenti, la procura di Milano e i Ros presentano la loro “inchiesta-capolavoro”: una pagliacciata mai vista prima.
“Occupavano case per creare consensi”
I Carabinieri organizzano un circo, facendosi filmare mentre escono dalla caserma Montello. Fanno una conferenza stampa per presentare l’operazione: difendono la decennale cattiva gestione di Aler e dello Stato nelle periferie e poi accusano il Comitato di quartiere di realizzare azioni politiche per cercare consenso sociale.
La creazione di consenso è uno degli obiettivi alla base di qualsiasi organizzazione politica. Un esempio sono i politici che fanno campagna elettorale: ci ricordiamo di Salvini e di Sala, ai tempi in cui cercavano consensi in Giambellino distribuendo promesse e menzogne per racimolare qualche voto?
Ogni azione del Comitato è volta alla costruzione di organizzazione popolare dal basso; è quest’organizzazione che ha permesso di creare strutture solidali insieme agli abitanti del quartiere. Dietro questo organizzarsi non esistono interessi privati, ma la volontà collettiva di migliorare la nostra vita e quella dei nostri vicini. Il comitato vuole ricostruire un tessuto sociale distrutto, costruire soluzioni all’apatia, all’abbandono e alla solitudine: tre caratteristiche dei sobborghi popolari provocate dallo stesso Stato che oggi ci attacca. Insomma, creare consenso sociale non costituisce nessun reato.
“Sostituendosi di fatto alle istituzioni incaricate per legge di assegnare le case popolari, hanno mietuto consensi da parte di quella fetta di popolazione indigente che, alle prese con una irrisolta crescente richiesta abitativa, ha ritenuto più conveniente rinunciare alle vie lecite e agire illegalmente per il tramite appunto del «Comitato», che a titolo di riconoscenza pretendeva partecipazione alle proprie assemblee e una quota mensile di 10 euro”
Partiamo da una premessa: ci sono più di 10.000 case vuote a Milano e più di 20.000 famiglie che aspettano da anni di avere un tetto sopra la testa. Il comitato del Giambelllino non lavora per Aler né per Metropolitane Milanesi, il suo compito non è quello di assegnare le case; il compito spetta a queste due aziende, che preferiscono però lasciare le case vuote per specularci su. Sono loro i responsabili delle assegnazioni e i colpevoli dell’emergenza abitativa.
Il Comitato, con la lotta e la solidarietà, ha riempito/occupato quegli spazi che Aler, Comune e la (non) politica abitativa di Milano hanno lasciato vuoti. Spazi che siccome abbandonati si riempiono di persone che non hanno casa. Non dobbiamo dimenticare che il destino dell’edilizia pubblica è la privatizzazione, e quindi lasciare una casa vuota per anni ha come fine esclusivo l’aumento del suo prezzo nel mercato immobiliare. La Regione ha anche promulgato una legge per normalizzare questo crimine: perché privatizzare l’edilizia pubblica è, questo sì, un crimine.
L’organizzazione dal basso a Milano e in tutta Italia ha dato una soluzione abitativa a migliaia di famiglie, ha dato tranquillità e felicità a tanti bambini e tante bambine che hanno potuto e possono in questo modo vivere con dignità, invece di finire ad aspettare una casa che non arriverà mai, perché lo Stato, insieme a chi gestisce le case popolari, queste case ha deciso di non assegnarle, ma di speculare sul bisogno primario all’abitare.
Se una famiglia occupa una casa vuota, quando né Aler né MM si prendono la briga di assegnarla, chi è che commette un crimine: chi trova delle soluzioni attraverso l’auto-organizzazione o chi non fa il suo lavoro?
Chi decide di non rispettare le graduatorie?
Chi è che non rispetta il diritto di avere una casa delle famiglie che da anni sono inserite in graduatoria?
Insomma, viene da chiedersi: chi sono i veri criminali?
Le principali testate giornalistiche d’Italia hanno parlato di racket delle occupazioni. Hanno mentito sapendo di mentire, al servizio di un titolone scandalistico. Lo stesso procuratore Alberto Nobile l’ha sottolineato nella conferenza stampa. Ma più che fare inchiesta sui reati, il loro obiettivo è quello di infamare la lotta degli abitanti del Giambellino. Se questi ultimi non traggono profitto nell’occupare delle case, allora perché lo fanno? I borghesi, lo Stato e le Istituzioni non riescono proprio a concepire il fatto che delle persone si aiutino a vicenda senza la mediazione dei soldi.
E allora, a cosa servivano questi 10 euro?
Il Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio non solo sosteneva le occupazioni di chi non aveva un tetto sopra la testa, ma faceva un lavoro sociale molto importante nel territorio. Un doposcuola per i bambini, una squadra di calcio, uno sportello di ascolto per abitanti in difficoltà, una mensa popolare dove si poteva mangiare spendendo molto poco. In passato esistevano anche un ambulatorio medico e una palestra popolare, sgomberata e distrutta dalle “forze dell’ordine” appena finita di costruire. Tutte attività che si autofinanziavano con il contributo degli abitanti del quartiere, con pranzi, cene e feste. L’obiettivo del Comitato è quello di creare reti di solidarietà che permettano agli abitanti e alle abitanti di vivere bene, come ogni essere umano merita di vivere. Per realizzare tutte queste attività, gli abitanti del quartiere si riunivano in assemblea prendendo delle decisioni in modo orizzontale.
Ci dispiace, ma non siamo pagati come lo sono il Pm Piero Basilone e il procuratore Alberto Nobile per fare crociate, crociate contro chi denuncia e si organizza per dare dignità a un territorio abbandonato; o come Andrea Galli, giornalista sensazionalistico, che il giorno dopo l’operazione ha minuziosamente diffamato i 9 arrestati appoggiando l’assurdo castello accusatorio dei carabinieri con un bel condimento di dettagli personali inesatti e sbrigativi. Non dimentichiamo che questi personaggi sono gli stessi che hanno coperto le porcherie che hanno accompagnato l’organizzazione di EXPO 2015.
Lottare a fianco dei meno fortunati per noi è sempre stato un dovere politico, etico e morale.
“Non ci sono stati movimento di denaro, nessuno ha guadagnato soldi, ma non ci si può sostituire allo Stato”. E’ ridicolo: davanti al disastro della gestione immobiliare di Aler non abbiamo mai visto un’operazione mediatica preparata per 4 anni col fine di arrestare e denunciare pubblicamente i dirigenti colpevoli dell’azienda. Non l’abbiamo vista e non la vedremo mai.
Mentre giovedì sbandieravano d’aver sgomberato otto case, hanno preferito metterle sotto sequestro preventivo piuttosto che assegnarle; evidentemente il loro interesse non era quello di ripristinare la legalità e “restituire” le case a chi è in graduatoria, come hanno affermato. Ma questo, noi, lo abbiamo toccato con mano per anni.
Non importa se non hai un lavoro, se non hai niente da mangiare, se dormi sotto un ponte. L’unico che può prendere decisioni sulla tua vita è lo Stato e le sue strutture, con i loro tempi eterni che devono essere per forza rispettati. Che a nessuno venga in mente di organizzarsi per trovare soluzioni collettive! Allora si che lo Stato si fa vedere.
La verità di fondo, e la principale motivazione politica di quest’operazione, è che hanno paura della popolazione che si organizza. Devono difendere i propri privilegi e non possono permettere che qualcuno si organizzi per denunciare l’assenza dello Stato, per trovare delle soluzioni che loro hanno deciso di non trovare. Perché per lo Stato, se sei troppo povero, meriti di stare in mezzo a una strada.
Come abbiamo sempre detto, lo Stato nei quartieri popolari esiste solo sotto forma di vari aspiranti sindaci che vi fanno passerella in campagna elettorale, o sotto forma del poliziotto durante gli sgomberi. Non si può sostituire qualcosa che non c’è, ma si possono sperimentare forme collettive di resistenza all’abbandono e alla violenza dello Stato.
“Centro sociale Base di Solidarietà Popolare”.
Non esiste una divisione tra i/le militanti del Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio e il quartiere, ma delle forme di vita che vivono su uno stesso territorio e che interagiscono per migliorare la vita di tutte e tutti. Abbiamo sperimentato in prima persona le difficoltà che si incontrano sempre quando si tratta di compiere un lavoro politico e sociale nelle periferie milanesi. Abbiamo visto l’odio dei deboli contro chi è ancora più debole, abbiamo visto stranieri candidarsi con CasaPound: abbiamo comunque deciso di vivere in mezzo a queste contraddizioni perché fanno parte del mondo che abitiamo e che vogliamo cambiare.
Per questo motivo nel Giambellino non è mai esistito un centro sociale, bensì una Base di Solidarietà Popolare. Nonostante lo spazio sia stato sgomberato, il nome sarà ricordato dalla gente del quartiere. Una Base di Solidarietà dove ci si riuniva per parlare di come migliorare la propria vita, insieme: li dentro, ogni venerdì, si teneva il doposcuola per i bimbi e le bimbe delle scuole circostanti; e il corso d’italiano per stranieri, la mensa popolare, e ci si organizzavano cene e pranzi per finanziare la lotta collettiva o per sostenere le famiglie in difficoltà. Uno strumento, un’infrastruttura collettiva inserita nella produzione della vita del quartiere.
Non abbiamo niente contro i centri sociali. Sono luoghi che resistono, creano socialità, dibattito e forniscono mezzi materiali alle lotte che attraversano la penisola: semplicemente, crediamo che la Base fosse qualcosa d’altro.
Lo “studente di filosofia”.
Per lo Stato è inconcepibile che uno studente modello, come lo hanno chiamato i giornali, viva in una casa occupata e sia membro di un comitato di lotta popolare. Perché questo strano soggetto, invece di occupare case, non partecipa a qualche “Career Day” universitario e non distribuisce curriculum per multinazionali come la Nestlè o la Monsanto?
Questo governo dovrebbe ricordare che negli ultimi mesi migliaia di studenti di qualunque facoltà sono scesi in piazza contro le politiche razziste e criminali che ha promulgato. I giovani sono e saranno sempre il maggior pericolo per coloro che “stanno in alto”, e sempre esisteranno, cari signori, soggettività non conformi che si schiereranno contro la vostra sete di potere e che decideranno di stare con i più deboli.
Andrea Galli, giornalista del Corriere della Sera, è andato molto oltre, tentando goffamente di “romanticizzare” con il suo linguaggio povero e parecchio subdolo l’arresto di Nic, parlando dei libri che c’erano a casa sua. Ci sarà forse rimasto male per il fatto che, tra i libri del “filosofo laureato col massimo dei voti”, non ci fosse il proprio, dal loquace titolo “Carabinieri per la libertà”? Parla inoltre di pericolose derive: quello che è chiaro è che chi ha preso una pericolosa deriva di leccapiedi degli scranni alti in tutta questa storia è soltanto lui, il buon vecchio Galli. Giornalismo becero da quattro soldi, riflesso di un paese sull’orlo del baratro.
L’ “Associazione a delinquere”.
Che a Milano ci sia un problema nella gestione dell’edilizia popolare, e che Aler sia un’azienda per la quale la trasparenza mai ha costituito una priorità, lo sanno tutti. Non a caso ogni campagna elettorale è sempre caratterizzata da promesse riguardo una nuova e più oculata gestione delle case popolari, garantendo la fine dell’ondata di polemiche su questo delicato argomento.
Nel 2014, Giuliano Pisapia insieme ai vertici di Aler e della questura ha dichiarato guerra alle occupazioni. Hanno cercato di presentare gli occupanti come il problema, quando migliaia di case continuavano ad essere vuote e migliaia di famiglie rimanevano in lista d’attesa. L’operazione fallì perché i quartieri popolari di Milano si organizzarono, si sollevarono e misero tanta pressione che riuscirono a fare cambiare idea all’amministrazione. La lotta e l’organizzazione dal basso hanno sempre pagato.
Nel 2015, Expo: alla vigilia del grande evento del “magna magna” una decina di case furono sgomberate in Giambellino, compresa la Base di Solidarietà Popolare. Il Comitato fu preso di mira e attaccato mediaticamente. L’intento del Comune fallì anche in questo caso grazie al lavoro sul territorio compiuto in precedenza dal Comitato, che invece lì era presente tutti i giorni.
Dopo il fallimento, il Comune ha deciso di recuperare il terreno perduto dando il via ai lavori per la metropolitana, provocando non pochi problemi agli abitanti del quartiere. Si è iniziato, al contempo, a parlare del piano di riqualificazione per il Giambellino, adescando perfino il famoso architetto Renzo Piano, il quale si limitò a presentare un “kit fai-da-te” per “rammendare” i problemi del quartiere: due giornatine in piazza per una distribuzione opuscoli e un’elegante pedana di legno accanto al mercato per racimolare i fondi dell’Unione Europea che avrebbero messo la parola fine all’emergenza abitativa e sociale.
Poco dopo alle nuove elezioni, il protagonista indiscusso è stato senza dubbio Giuseppe Sala, Mr. Expo. Quando si presentò in quartiere fu subito contestato, perché il quartiere non dimenticava gli appalti truccati e i casi di corruzione nell’organizzazione di Expo 2015. Anche lui, usando come sponda una serie di associazioni locali, dichiarò che le periferie sarebbero state la sua ossessione.
Bene, sono passati due anni da quando Sala ha vinto le elezioni e ancora le case continuano ad essere vuote. Di conseguenza, le famiglie in difficoltà continuano ad occupare.
Lo scandalo maggiore riguarda però il ritardo della riqualificazione. Un intero caseggiato è stato abbattuto e tanti appartamenti di via Lorenteggio 181 sono stati svuotati, un civico fatiscente che nell’ultima settimana – tra l’altro – è stato colpito da tre incendi . Ora i lavori di riqualificazione sono a rischio: esiste un concreto pericolo di carattere ambientale. Caso vuole, infatti, che ad Aler e alle istituzioni preposte non sia mai venuto in mente di effettuare i dovuti controlli prima di cominciare i lavori, sebbene a fronte di una riconversione degli spazi così tanto declamata. Un ritardo che mette a repentaglio il progetto, in un quartiere che ormai è diventato un cantiere a cielo aperto. Inoltre, per quanto sia stato esplicitamente chiesto, mai è stato chiarito chi sarebbe andato a vivere nelle nuove case, e se questo piano di riqualificazione avrebbe contribuito a migliorare la vita degli abitanti del quartiere o a cambiarne piuttosto la composizione sociale, costringendo un’intera fetta di popolazione, più povera e poco attraente, a spostarsi ancora più in periferia.
Parecchie volte Aler è finita nel mirino giudiziario a causa delle sue relazioni con l’ex presidente della Regione Formigoni e il sistema di scatole cinesi ciellino chiamato Compagnia delle Opere. Gare d’appalti truccate per milioni d’euro, tutti pescati – manco a dirlo – dai fondi destinati all’edilizia pubblica, investimenti (sconsiderati) di soldi pubblici in Libia e sopratutto il decennale disastro nella gestione delle abitazioni popolari che ha provocato un buco nel bilancio dell’azienda di mezzo miliardo di euro.
Davanti a una gestione tanto corrotta, portata avanti sulla pelle e la sofferenza di migliaia di famiglie, lo Stato trova la sua unica soluzione nel reprimere chi denuncia i problemi e, in mezzo al vuoto politico, cerca di costruire delle risposte per ridare amor proprio a un quartiere usato per fini politici ed economici dalla destra, dalla sinistra e dai grandi speculatori.
Nel Comitato Abitanti Giambellino Lorenteggio non ci sono responsabili, promotori e partecipanti, ma una forza collettiva che si organizza e prende decisioni orizzontalmente.
L’unica associazione a delinquere è quella tra Aler, i suoi dirigenti corrotti, i rappresentati delle istituzioni che hanno lucrato per decenni sull’emergenza abitativa e gli imprenditori che speculano sulla miseria. Di promesse mai mantenute ne abbiamo viste tante: le conseguenze di questo disastro organizzato e premeditato non le subiscono certo i magistrati che oggi ordinano l’arresto di 9 persone coraggiose che hanno deciso di lottare per la giustizia sociale, né tanto meno le istituzioni che in Giambellino, lo ripetiamo ancora, non esistono.
A questo punto, viene spontaneo chiedersi: chi sono gli ipocriti?
Non solo occupazioni
Legalità e giustizia non sono la stessa cosa. Nella storia dell’umanità si sono commesse le peggiori atrocità in nome della legge, proposta e legittimata dagli stessi criminali. La legge non è altro che la cristallizzazione dei rapporti di forza esistenti. Quando le leggi non garantiscono la felicità delle persone e non vanno verso un senso di giustizia sociale è giusto infrangere queste leggi, per ristabilire la giustizia che ci viene negata. Abbiamo visto come hanno trattato il sindaco di Riace, che ha fatto del bene salvando delle vite e integrando centinaia di migranti nella comunità, anche se per farlo ha dovuto andare contro le leggi di uno Stato meschino e sempre più razzista.
Ma in Giambellino non ci sono solo occupazioni. Tutti i progetti collettivi nati negli anni e portati avanti da abitanti e solidali sono progetti che hanno dato vivacità ad un luogo che rischiava di rimanere un non-luogo.
Siamo ciò che facciamo e non ci vergogniamo di niente, al contrario: ne siamo fieri. Il Giambellino, nonostante sia un quartiere difficile e con tanti problemi, è la dimostrazione che quando le persone si uniscono possono davvero cambiare le cose, possono opporsi alla violenza e all’indifferenza dello Stato, denunciando si, ma sopratutto costruendo insieme il mondo che vogliono vivere, riprendendosi la felicità negata, superando insieme le paure e le avversità.
Lo abbiamo fatto insieme e ora siamo forti: è questo il vero motivo per cui ci hanno attaccato. Hanno paura che sempre più persone si organizzino e si ribellino contro le – loro – ingiustizie. Hanno paura di perdere potere su di noi, di non poter più lucrare sulle nostre vite, perché noi ci riprendiamo ciò che per anni ci hanno tolto. Fanno bene ad avere paura, perché così come loro prendono parte e si organizzano per farci del male, ogni giorno più persone cominciano ad organizzarsi e prendono parte alla lotta di classe.
Il Giambellino ha cominciato da tempo e non ha intenzione di fermarsi.
LUNGA VITA AI ROBIN HOOD DEL COMITATO ABITANTI GIAMBELLINO LORENTEGGIO!
Libertà per i/le arrestat*!
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