Milano si ammala, scenari di un possibile lockdown
Ora ad avere paura è Milano. A differenza della prima ondata, questa volta il grande malato lombardo è il capoluogo. È nelle corsie degli ospedali milanesi che si vede il ritorno del virus.
«La pressione negli ospedali sta salendo rapidamente e bisogna stare molto attenti, la situazione a Milano è critica» ha detto Massimo Galli, responsabile malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano. «I nostri pronto soccorso cominciano a essere pieni di persone con polmoniti da Covid», conferma la direttrice di virologia degli ospedali San Carlo e San Paolo di Milano. Che aggiunge: «Mi sembrano cittadini di Milano città, nell’ondata precedente invece erano principalmente non milanesi».
Il pensiero comune, tra chi lavora con i malati Covid negli ospedali milanesi, è che ci sia poco tempo per intervenire e invertire la tendenza. Nessuno ufficialmente tra i politici milanesi e lombardi vuole parlare ora di ulteriori restrizioni, lo ha fatto invece a Radio Popolare il direttore sanitario dell’Ats di Milano Vittorio Demicheli: «Dobbiamo già pensare a delle azioni di riduzione della probabilità di infettarsi riducendo le attività sociali». Demicheli fa parte anche del Comitato Tecnico Scientifico della Lombardia, parla da Milano guardando al contesto regionale. «Milano questa volta è interessata in maniera diretta dal Covid, mentre durante la prima ondata era stata solo lambita». La prossima riunione del Cts lombardo sarà venerdì e all’ordine del giorno ci sono le misure restrittive per Milano e anche per le province di Varese e Monza e Brianza.
Il sistema di tracciamento e isolamento con i tamponi sta già entrando in crisi, lo testimoniano le code ai punti drive-in dove vengono effettuati i test in macchina. «Quello che preoccupa di più non è tanto il numero quanto la velocità di crescita» ha detto ancora il direttore sanitario dell’Ats milanese. «Il lavoro di prevenzione sta diventando difficile da contenere». Questo sistema, aggiunge, «probabilmente non basta più. Dobbiamo già pensare a delle azioni di riduzione della probabilità di infettarsi riducendo le attività sociali. I provvedimenti dell’ultimo dpcm non sono sufficienti per proteggere una metropoli come questa. Dobbiamo occuparci di diradare l’uso dei mezzi di trasporto, di limitare le attività che io chiamo superflue, non perché non siano importanti, ma dobbiamo limitare le attività che sono meno fondamentali in questo momento».
Il virologo Fabrizio Pregliasco, anche lui membro del Cts lombardo, dice che stanno immaginando lo scenario di un lockdown per Milano. L’Ats milanese proporrà di dividere e distinguere le attività in base al loro livello di essenzialità e rischio. Tra le proposte sul tavolo ci sono una maggiore differenziazione degli orari d’ingresso e uscita da scuola e dal lavoro, la chiusura anticipata di bar e ristoranti e un ritorno massiccio al lavoro da casa. Cosa che per non impattare troppo sull’economia cittadina il sindaco Sala aveva invece chiesto di limitare lanciando un appello per tornare a lavorare in città. Ai dipendenti comunali milanesi che avevano sperimentato lo smart working, circa 8 mila, ora sono concessi solo 6 giorni al mese di telelavoro. Una scelta che probabilmente il sindaco Sala dovrà rivedere. A chiedere di ampliare i giorni di smart working è l’assessore al lavoro del comune di Milano Cristina Tajani: «Abbiamo ripreso il confronto coi sindacati per ampliare le giornate di lavoro agile, il confronto è su quantità e tempi, salvaguardando la funzionalità degli uffici».
Massimo Galli dell’ospedale Sacco, suggerisce anche un’altra chiave di lettura per capire perché a Milano la situazione si sta aggravando: «Nei mesi scorsi molti milanesi hanno viaggiato, alcuni si sono infettati e il virus ora sta circolando nel capoluogo». I numeri dei nuovi positivi a Milano città confermano l’aumento: 236 l’altro ieri, 504 ieri. Il contesto dentro cui si muove Milano è quello di una regione, la Lombardia, dove troppo poco è stato fatto per potenziare i trasporti e la medicina territoriale. Si rischia una nuova ospedalizzazione della malattia. «A preoccuparci è l’andamento dei ricoveri» ha detto a Sky Tg24 Emanuele Catena, direttore della terapia intensiva dell’Ospedale Sacco. «Se immaginiamo di proiettare questo trend nei prossimi giorni e nelle prossime settimane potremmo trovarci dalle attuali poche decine di pazienti ricoverati alle centinaia. Questa situazione potrebbe potenzialmente diventare molto esplosiva e allarmante».
Ieri in Lombardia i ricoverati non in terapia intensiva sono aumentati di 99 unità. I morti sono stati 17. I nuovi positivi sono quasi raddoppiati con 12 mila tamponi in più: + 1.844, erano poco più di mille il giorno precedente. «Il 92% dei positivi manifesta pochi sintomi o addirittura nessuno» prova a rassicurare il direttore generale Welfare Marco Trivelli. La Regione però sta pensando di riaprire l’ospedale in Fiera secondo quanto detto dal coordinatore dell’Unità di crisi della Regione per le terapie intensive Antonio Pesenti: «In Lombardia sono 150 i posti letto in terapia intensiva previsti nei vari hub Covid, se si dovessero riempire tutti il progetto della Regione è di riaprire l’ospedale della Fiera di Milano».
di Roberto Maggioni
da il Manifesto del 15 ottobre 2020
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