Un sabato speciale per la grande distribuzione
Striscioni, bandiere, palloncini colorati, fischietti e volantini e l’immancabile sorriso di chi deve sorridere al pubblico ogni giorno anche se di motivi per sorridere ne ha ben pochi: oggi è un sabato un po’ speciale per la città della moda e dello shopping. Fuori dai principali negozi della grande distribuzione tante lavoratrici e lavoratori hanno incrociato le braccia contro Federdistribuzione per il mancato rinnovo contrattuale ormai scaduto da ben due anni.
Sorprendentemente alta l’adesione ha visto coinvolte le grandi insegne: Zara, Coin, Ikea, Decathlon, Ovs, Esselunga, Carrefour, Leroy Merlen, solo per citarne alcune.
Il quadro generale
Per comprendere l’importanza di questo sciopero dobbiamo premettere due cose che purtroppo spesso vengono dimenticate e cioè che il settore del commercio è il settore più grande d’Italia e che è quello che più degli altri in questi ultimi anni ha risentito della crisi economica. Molto spesso sentiamo parlare dei metalmeccanici o degli insegnanti ma mai tv, giornali e mezzi di comunicazione si occupano delle migliaia di persone che lavorano per il settore del commercio, dei servizi e del turismo che pure in Italia è largamente diffuso. La maggioranza di questi lavoratori sono donne che si dividono fra orari impossibili, stipendi al limite della decenza e precariato dilagante.
La storia
Forse oggi vale rimandare la memoria al 2011 quando Federdistribuzione esce da Confcommercio fondando così un nuovo Soggetto Datoriale. All’interno di Confcommercio, la storica associazione datoriale, ci sono molte spaccature, tutte riconducibili alla divergenza d’interessi fra piccoli negozianti e grande distribuzione. La goccia che fa traboccare il vaso è la nuova legge del governo Monti sulla deregolamentazione degli orari di apertura che vede i piccoli negozi a gestione famigliare in forte difficoltà rispetto alle aperture domenicali contro la grande distribuzione che ormai punta all’apertura 365 giorni l’anno e con fasce orarie sempre più ampie. Nasce così Federdistribuzione che come primo atto pensa bene di disdettare il Contratto del Commercio con un anno di anticipo rispetto alla scadenza prevista al 31 dicembre 2013.
I tavoli
Le maggiori sigle sindacali si sono sedute ai tavoli con Confcommercio e Federdistribuzione con la stessa piattaforma politica, le richieste dalle controparti sono le medesime: minor costo del lavoro, maggiore flessibilità, minore agibilità sindacale, aumento salariale solo se autofinanziato dagli stessi lavoratori. I tavoli proseguono per quasi due anni. Ad aprile 2015 finalmente si arriva a un accordo fra sindacati e Confcommercio e arriva, con la firma, anche il tanto sperato aumento contrattuale di 85 euro.
Resta invece ancora aperto il tavolo con Federdistribuzione che non retrocede di un millimetro rispetto alle proprie posizioni.
Fin qui la cronaca.
Ne viene fuori un quadro disastroso nel quale pur facendo lo stesso lavoro, con le stesse mansioni e nello stesso settore, la commessa del piccolo negozio ad oggi ha un contratto che la tutela e un aumento salariare se pur minimo mentre la collega dipendente di un grande negozio è completamente scoperta dal punto di vista normativo e salariale. E come se non bastasse la contraddizione nella contraddizione è che neanche tutte le insegne della grande distribuzione fanno parte di Federdistribuzione. Un esempio? H&M e Feltrinelli fanno ancora parte di Confcommercio. Ecco dunque che fra la commessa di H&M o di Feltrinelli e quella di Coin o Zara è in atto un gap contrattuale che si fa veramente difficoltà a comprendere.
Oggi lo sciopero ha avuto molte adesioni e perfino i più restii hanno incrociato le braccia ormai esausti dopo anni in perdita durante i quali diritti e tutele sono stati polverizzati in nome della tanto vituperata Crisi.
Queste grandi aziende sono aziende potenti e con bilanci positivi: sembra assurdo che un accordo sia stato fattibile con i piccoli negozianti e non lo sia con le grandi catene.
E’ di qualche giorno fa la notizia riportata dal Sole 24 Ore che colloca il Patron di Zara come l’uomo più ricco del mondo, l’OVS a marzo 2014 si è quotata in borsa e solo in fase di collocamento ha raccolto 414 milioni di euro con una capitalizzazione pari a 930,7 milioni di euro, Esselunga ha chiuso l’anno con utili a 212 milioni e vendite oltre i 7 miliardi. Non è difficile immaginare lo sdegno delle lavoratrici e dei lavoratori che oltre a vedersi negato un minimo aumento salariare devono difendere dagli attacchi alcuni automatismi contrattuali che ormai erano dati per assodati quali gli scatti di anzianità, il passaggio automatico dal V al IV livello, i permessi retribuiti o la sospensione dell’incidenza della Tredicesima e Quattordicesima sul TFR. I grandi squali si sono uniti e fanno la voce grossa.
In attesa di capire le reazioni di Federdistribuzione, Cgil, Cisl e Uil che per una volta sembrano unite, hanno già indetto un altro sciopero per il 19 dicembre, che a ridosso delle festività natalizie sarà tutt’altro che indolore. Aspettando la manifestazione del 19 dicembre oggi le lavoratrici e i lavoratori hanno fatto presidio davanti agli Store, invitando clientela e passanti a non fare acquisti in questo sabato un po’ speciale.
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