“Il giovane Karl Marx” – A proposito di amicizia, amore e rivoluzione

In occasione dei 200 anni dalla nascita di Karl Marx (Treviri, 5 maggio 1818), esce nelle sale “Il giovane Karl Marx”, a firma congiunta di Pascal Bonitzer e Raoul Peck, già nominato agli Oscar per il film ispirato alla vita di James Baldwin “I Am Not Your Negro”.
Un film che, nonostante il titolo, racconta più la genesi del pensiero e dell’idea comunista, a partire dalla figura di un ancora giovane Marx alle prese con la vita quotidiana di giornalista dissidente nella Germania del Diciannovesimo secolo: esiliato a Parigi e in seguito a Bruxelles e Londra, sempre alla ricerca di un lavoro per mantenere le due figlie e la moglie, Jenny von Westphalen, aristocratica di Treviri che ha rotto con la famiglia e rinunciato a tutto per seguire il suo compagno di vita e il proprio rigore etico e morale.

Il focus centrale, tuttavia, non è tanto una ricostruzione intimistica della figura del filosofo tedesco – che in ogni caso vediamo invecchiare visibilmente e assai rapidamente nel corso della proiezione mentre si avvicina ai trent’anni e alla formulazione di quelli che saranno i principi cardine del pensiero comunista – quanto piuttosto il profondo rapporto d’amore e di scambio intellettuale con la moglie Jenny e la nascita della fraterna amicizia e della collaborazione con Friedrich Engels, a sua volta profondamente influenzato dalle posizioni dell’amata Mary Burns, attivista proletaria irlandese, ex dipendente nella fabbrica tessile di proprietà di Engels Senior.

Ampio spazio viene infatti riservato a tutti e quattro questi personaggi, evidenziando una complementarietà di pensieri e approcci che vanno infine a convergere nel Manifesto del Partito Comunista, uno dei testi più rivoluzionari della storia moderna, in grado di influenzare generazioni e generazioni di lavoratori nel mondo.
Se dunque la discussione politica tra Marx ed Engels rappresenta il fulcro della narrazione, fondamentale risulta al contempo il ruolo delle due donne sopra ricordate, che in poche ma significative scene esprimono la loro posizione e rivendicano le proprie scelte di ribellione con una determinazione e una schiettezza che supera addirittura quella dei due compagni. “Sono scappata dalla noia mortale, sì. Non c’è felicità senza ribellione. Ribellione contro l’ordine dominante, contro il vecchio mondo. È questo quello in cui credo. E spero che il vecchio mondo crolli presto”, afferma Jenny in risposta alle lodi di Engels per aver avuto il coraggio di abbandonare i privilegi della sua classe sociale d’origine e seguire il suo compagno. Risposta alla quale fa eco Mary, che con poche e incontestabili parole spiega il suo rifiuto di beneficiare del “sudicio denaro” della famiglia Engels e di conseguenza la rinuncia a costruirsi una famiglia: “Voglio essere libera. Voglio lottare. E per lottare devo rimanere povera”.

In generale, l’intera pellicola sembra voler esprimere il senso di ciò che, agli esordi di quel 1848 conosciuto come Primavera dei popoli e che ha dato la prima e fondamentale spinta a eventi rivoluzionari come la Comune di Parigi del 1871, significava “fare politica”, realpolitik.
Pensare, scrivere e, soprattutto, discutere. Tutto questo per agire, ma non c’è azione senza pensiero e il messaggio principale del film sembra proprio essere la necessità che l’azione politica si basi su concrete e strutturate basi teoriche condivise. Così, nel film Marx si scaglia con fervore contro l’ignoranza nella quale viene mantenuta la classe lavoratrice, non soltanto dalle classi dominanti ma dagli stessi membri dei movimenti per i diritti dei lavoratori, affermando la necessità di fornire strumenti teorici al proletariato affinché esso possa prendere in mano la propria esistenza autonomamente dando vita alla Rivoluzione. “Credo che pretendere di mobilitare i lavoratori senza offrire loro una dottrina che sia costruttiva sia un gioco falso e calcolato, con un profeta da una parte e una massa di imbecilli incapaci di proferire parola dall’altra”.

Ugualmente, fin dall’inizio viene sottolineata la forte influenza che ha avuto la dialettica hegeliana, approfonditamente studiata e reinterpretata, sullo sviluppo del pensiero e della modalità di concepire la politica e la filosofia materialista marxianamente intesa, e la necessità del confronto continuo risulta più e più volte rimarcata. Fondamentale appare, in tal senso, il rapporto di confronto/scontro con Pierre Joseph Proudhon. Nel film, l’anarchico francese viene dipinto, anche in maniera eccessivamente caricaturale ma non certo del tutto errata, come un grande intellettuale borghese, del quale Marx rispetta profondamente il pensiero ma critica contemporaneamente la lontananza, fisica e intellettuale, dal mondo proletario, imputandogli una mancanza di “materialismo reale”. D’altra parte, poco o nessuno spazio viene concesso invece al rapporto e al successivo importante dibattito con Michail Bakunin, che al contrario sviluppò il suo pensiero in ambiti ben meno confortevoli.

A proposito di utilizzo pungente della dialettica, in questo caso presentata più nella forma di giovane entusiasmo rivoluzionario, ultimo colpo di scena del film è l’abile conquista della maggioranza da parte di Engels e Marx i quali, invitati all’incontro annuale della socialista Lega dei Giusti, sosterranno e otterranno la ricostituzione della suddetta come Lega dei Comunisti, sostituendo al vecchio motto “Tutti gli uomini sono fratelli” il celebre “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi”. In contemporanea, la stesura e la successiva stampa, nel febbraio 1848, del Manifesto del Partito Comunista.

In chiusura del film, i due registi propongono una carrellata di immagini raffiguranti il “cosa è stato dopo”, vale a dire una rassegna dei principali eventi politici del Ventesimo secolo: dal Che al crollo del Muro di Berlino, da Nelson Mandela, a Margaret Thatcher, fino al movimento Occupy. Il suggerimento vuole forse essere quello che molti dei temi e delle lotte sociali del tempo sono ancora più che mai attuali, così come il dibattito sulla validità o meno del concetto di “classe”. In questa carrellata si nota però la mancanza, forse voluta e discutibile, di un richiamo a quelle che sono state le esperienze concrete del comunismo nel mondo: dall’URSS di Lenin e Stalin alla Cina di Mao fino alla Cuba di Castro.

Nel complesso, nonostante qualche scivolata, si tratta di un film profondo e intelligente che, anche in virtù della bravura degli attori, della scenografia e dell’ottima fotografia, ricostruisce gli albori del comunismo e prova ad avvicinare il pubblico al pensiero originale di Karl Marx senza al contempo farne una figura mitizzata, forse una critica velata alle derive che il marxismo e il comunismo hanno intrapreso con il procedere della storia.

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