FEMI – Indipendenza dei saperi e resistenze culturali
Il 13 e 14 Ottobre LUMe ospiterà FEMI, il Festival dell’Editoria e della Musica Indipendenti.
Ormai da tempo sentiamo parlare di “crisi del libro”, ed è assolutamente comprovato che negli ultimi dieci anni il mondo dell’editoria si è profondamente modificato. E non tutto dipende dal fatto che le persone hanno smesso di leggere – cosa vera fino a un certo punto – ma piuttosto dai profondi cambiamenti che hanno investito il mercato librario. E proprio quest’ultimo aspetto ha riacceso con forza il dibattito sulla questione dell’indipendenza.
Ma cosa significa, da editore, essere indipendenti? O meglio, è davvero possibile rimanere al di fuori dalle logiche di mercato e contemporaneamente garantire la circolazione dei propri libri e, di conseguenza, la propria sopravvivenza? La risposta, sfortunatamente, è negativa.
Ogni editore che voglia essere distribuito su scala nazionale deve dipendere da un distributore e da un promotore, sottostando alle loro regole e ai loro costi (peraltro minacciato da onerosissime more e penali qualora le prime non vengano rispettate), e rientrando in una dinamica capitalista della gestione del libro che viene considerato una merce alla pari di un qualsiasi altro bene di consumo. Lungi dall’affermare che in passato tutto funzionasse alla perfezione, è innegabile come trent’anni fa fosse ancora possibile per un editore essere completamente indipendente dalle grandi logiche di mercato, sopravvivendo delle vendite dirette ai propri lettori e attraverso il rapporto diretto con i librai. La vita di una casa editrice era garantita dalla qualità, non solo di lavorazione, ma soprattutto di contenuto dei libri da lei pubblicati.
Per rendere l’idea, fino al decennio scorso le librerie indipendenti vendevano circa il 60% dei libri di un piccolo editore, oggi la quota di mercato è scesa al 35% circa. Che cosa è cambiato? Quello che è accaduto è che il mercato editoriale è stato completamente stravolto dall’avvento della vendita online attraverso colossi come Amazon, che insieme alle grandi catene librarie ha completamente abbattuto le percentuali di vendita nelle librerie indipendenti.
Tralasciando in questa sede la critica ai modelli di gestione e alle condizioni di lavoro dei dipendenti di questo tipo di aziende, quello che qui vale la pena prendere in considerazione per quanto riguarda la possibile sopravvivenza del mondo della piccola e media editoria è il fatto che i bookshop online e le catene non prevedono la figura del libraio: se l’online permette di acquistare qualsiasi libro pubblicato in Italia e all’estero con pochissimi click senza alcuna forma di mediazione, nelle grandi catene i librai vengono sempre più considerati dei semplici commessi privi di qualsivoglia competenza.
Come salvaguardare un mercato editoriale piccolo e sano, ma soprattutto la “bibliodiversità” garantita dal lavoro di editori che operano ogni giorno per far circolare idee e pensieri fuori dal coro della narrazione dominante? E ancora: come tutelare non solo la pluralità e l’eterogeneità dei saperi, ma anche l’insieme di soggetti vivi ( autori, editori, librai, lettori, docenti e bibliotecari) che il concetto di “bibliodiversità” racchiude e il loro ruolo all’interno della nostra società?
Fondamentale è ripartire da quel rapporto diretto tra editore, libraio e lettore che è andato sempre più disgregandosi negli anni. Bisogna creare dal basso una collettività consapevole, una comunità etica di resistenza culturale che abbia come scopo di pretendere la qualità e la libera circolazione dei contenuti che i libri trasmettono. E che non si nasconda tra le pieghe del web o viva di brevi entusiasmi d’eventistica occasionale, ma che si coaguli intorno ad una concezione del libro come bene comune e che si batta per la sua autonomia rispetto a logiche di consumo avvilenti e degradanti. Se poi molti editori si nascondono dietro l’etichetta di indipendenti, senza fare alcuno sforzo per rivoluzionare lo stato del mercato (anche perché spesso questi sono gli editori che possono contare su una base economica in grado di competere con quella delle grandi catene), alcuni altri stanno lavorando per far sì che il rapporto diretto e la comunicazione con i librai e i lettori diventi il centro del loro operato.
E questo impegno non sta emergendo in maniera univoca. Diverse librerie indipendenti, che hanno puntato sulla figura del libraio esperto e conoscitore dei cataloghi, stanno facendo la differenza soprattutto per i piccoli e medi editori, riacquisendo il ruolo di mediatrici e lavorando sempre più alla ricerca di libri di qualità da proporre ai propri lettori, che stanno ritrovando il piacere di avere una libreria di riferimento e una persona di fiducia in grado di consigliarli.
Quando si è Davide di fronte a Golia, l’unica forma di resistenza possibile è quella di creare dal basso una collettività cosciente del suo ruolo e delle sue azioni.
Per questo festival come FEMI rappresentano dei momenti fondamentali nella costruzione di una collettività informata, di una rete di contatti diretti che non si limiti solo a contenere dinamiche economiche ostili ma che sappia allargarsi per aggredire le lunghe filiere distributive dei colossi culturali.
Dobbiamo ricordarci della natura politica, oltre che etica, di un gesto quotidiano come l’acquisto di un libro, del processo di creazione, distribuzione e partecipazione che lo può vedere protagonista, della sua capacità di essere veicolo di idee e visioni altre del mondo in cui viviamo.
Dobbiamo ritornare a popolare di corpi e voci le presentazioni di libri e le librerie di quartiere.
Dobbiamo sostenere con pragmatismo e coraggio l’editoria indipendente e l’insieme di competenze, passioni e soggetti che la incarnano.
Dobbiamo remparare a lottare, in tante maniere e modalità, collettivamente e come individui.
Non solo per evitare di perdere ciò che abbiamo ma perché è necessario, ora più che mai, ricostruire e alimentare le utopie.
Luca_Collettivo LUMe
Sara_Collettivo elèuthera
Grafiche di: Giovanni_Collettivo LUMe
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