Il nostro desiderio è senza nome. Ma il maggio di Nina non farà a meno di molto coraggio
“Al giorno d’oggi gli uomini compiono imprese
che l’umanità ha sognato per secoli,
dando ai propri sogni forma di favole,
di irrealizzabili chimere”
La citazione sembra attualissima, ma viene dallo straordinario romanzo “L’ultima favola russa” di Francis Spufford. È attribuita a Nikita Krusciov, 28 settembre 1959.
Non si parla quindi di “intelligenza artificiale generativa”. Ci dice però che quando il comunismo è crollato non si è dissolta solo un’ideologia, ma è anche scomparso un sogno che era prometèico, era modernista, intriso di futuro, voleva la trasformazione totale della società umana. Ora l’idea di futuro è demandata nelle mani – quasi solo – di grandissimi misogini, razzisti, fascisti, tutta gente che estrae enormi ricchezze da i dati che forniamo loro tutti i giorni e grazie a queste ricchezze alimenta e giustifica guerre, genocidi, deportazioni, disperazione.
La fase che viviamo, che Mark Fisher aveva descritto come “realismo capitalista”, è segnata dalla diffusa accettazione del fatto che non esistono alternative al capitalismo. Tradotto nel 2025 non esistono alternative alla tecnologia che ci propina la Silicon Valley, che ora è sinonimo di Trumpismo.
Come N.i.n.a. diciamo che il campo della tecnologia è un campo contendibile e esistono nuove potenziali, percettive, cognitive e libidiche alternative. Vogliamo connettere desideri, competenze e risorse per far emergere possibili soluzioni alternative alle attuali tecnologie del dominio.
Ad esempio DeepSeek ha distrutto la narrativa esclusiva e elitaria dell’AI in mano a pochi oligarchi e ha aperto una possibilità non solo tecnica e strutturale, ma anche politica. Abbiamo bisogno di nuovi desideri, di raccogliere e attuare idee che realizzino un uso divergente/biforcante della tecnologia rispetto al dispositivo estrattivo che viene narrato come inevitabile e unico possibile.
Le logiche culturali del tardo capitalismo, Fredric Jameson l’ha scritto tempo fa, sono ormai ubique: il futuro che il capitale può fornire è solo un futuro tecnologico.
Il realismo capitalista, di dieci anni fa, è diventato il “capitalismo del controllo” per dirla con Ippolita e molti altri, ma lo schema è sempre lo stesso: per alimentarsi deve creare una società fondamentalmente depressa. Ognuno di noi che legge questo articolo può posizionarsi attraverso alcune soglie:
-ci attendiamo pochissimo dal futuro, non succederà davvero mai niente di nuovo
-poi iniziamo a pensare che le cose successe in passato, anche militanti e belle, in fondo non erano così importanti
-alla fine alcuni accettano che in realtà non è mai successo niente, né mai potrà succedere più
-la depressione si normalizza e alla fine diventa anche difficile identificarla
K-punk ce l’aveva detto chiaro: “oggi il nostro desiderio è senza nome”. Questa livella del tempo ci pare inaccettabile. Ridimensionare radicalmente le aspettative ci pare inaccettabile.
Gli algoritmi sono tessuto sociale, influenzano in profondità la vita delle persone, determinano inclusioni ed esclusioni, tracciano confini e disuguaglianze. Esiste un tecno-feudalesimo sorretto dalla narrazione – che vogliamo demolire – dell’inevitabilità di un determinato progresso tecnologico. Un progresso presentato come neutrale, ma controllato da pochi attori (per lo più uomini bianchi) dotati di enormi risorse. Gli algoritmi attuali – spesso invisibili e pieni di bias – costituiscono infrastrutture di potere organizzato; riconoscerli come tali è il primo passo per poterli contestare e trasformare.
Questo primo passo visualizzare, spiegare e giudicare male non deve però essere l’unico scopo. Perché gli abusi dell’AI non sono nati ieri. Riconoscerli non è sufficiente, una sensibilità diffusa sugli abusi che la tecnologia può perpetuare c’è. E forse è anche mainstream, ma non si dà nella pratica.
Non è un saggio sulla decomposizione della solidarietà questo. Non è una tirata wannabe ri-compositiva tra gramsciani rimasti sotto con l’approccio egemonico e chi con Deleuze e Guattari sulle labbra cita la politica del desiderio. Sono false scelte.
Lo stare dentro “i nessi amministrativi” è imprescindibile QUANTO ragionare sul desiderio: il desiderio è sempre processo di costruzione libidica. Nel momento attuale è manipolato da eserciti di comunicatori e infrastrutture, malate, sostenute da enormi capitali. L’intelligenza artificiale, così come le finte arene pubbliche tipo facebook – e la sua produzione di dopamina – sono un’idea, un’infrastruttura, un’industria, capitale altamente organizzato, una forma di esercizio di potere e un modo di vedere le cose. Per questo dobbiamo confrontarci con l’AI come forza politica, economica, culturale e scientifica.
Abbiamo necessità di produrre meccanismi autonomi di desiderio. Sembra un terreno sfavorevole, il capitale ha molte più risorse per catturare i nostri desideri. MA il capitalismo, in quanto tale, non ha alcun desiderio da offrire. Per questo la missione del capitale, tramite i social prima, e dopo la shittification, con l’AI poi, in sostanza è distrarci, deprimerci, farci sentire soli. Solo così può mantenerci in uno stato di subordinazione.
Quello che vogliamo iniziare a fare, tutti assieme, è rinunciare a definirci in termini negativi. Il nostro desiderio guarda al futuro e assieme proviene dal futuro, dalle nuove percezioni che abbiamo dal futuro.
Ci sottraiamo a chi porta avanti quella che Stiegler chiama “miseria simbolica”, cioè perdita di capacità di produrre e trasmettere simboli e saperi, causata dalla standardizzazione industriale e dalla perdita di “savoir-faire” e “savoir-vivre”. La “proletarizzazione generalizzata”, che è una perdita di autonomia e creatività sia individuale che collettiva.
Crediamo nella possibilità politica e tecnica di rispondere al potere costituito (“potere sostantivo”) con il potere come verbo, cioè con l’azione collettiva concreta. Abbiamo fiducia nell’intelligenza collettiva e nella “ribellione felice”, nei colpi di genio ispirati dall’amore per il bene comune. Crediamo nelle alleanze con chi sta là fuori, perché ne incontriamo quasi tutti i giorni. Infine crediamo in noi e in una comunità ampia di alleati: la vittoria per N.i.n.a. significa iniziare a demolire un immaginario fatto di concentrazione di potere e di strumenti concepiti per aumentare le diseguaglianze (cioè l’AI contemporanea).
Dove ci trovate per andare avanti insieme?
In un festival, in una presentazione di un libro, in un’iniziativa.
Il festival si terrà venerdì 9 maggio e sabato 10 maggio tra Nuovo Armenia e Rob de Matt. Parliamo a una città zeppa di designer, videomaker, artisti. Cercheremo di capire lo stato dell’arte dell’impatto dell’AI nel mondo dei video, del design e della musica, ma ci saranno anche proiezioni di corti, mostre e concerti, perché senza ballare non è la nostra rivoluzione.
Il 13 maggio presenteremo un libro bello e importante, vicino a noi come temi, si chiama “Tecnologia della rivoluzione” scritto Diletta Huyskes, saremo a Librosteria. Lo faremo in collaborazione con Sinistra Italiana, con molti invitati informali, perché diciamolo, la nostra è un’alzata di cresta, è una scommessa andata un po’ in là e la politica è sempre il sortire insieme.
Il 20 maggio, a Scomodo, parleremo di AI e mondi della salute, ma chi vi scrive per fortuna, ne sa abbastanza poco, dentro N.i.n.a. nessuno sa veramente tutto quello che si fa ;)
In fondo avrete capito non è questo il tempo per dirvi tutto,
ma presto lo sarà,
alcune cose che facciamo sono, per ora, segrete.
Possiamo intravedere il futuro solo a sprazzi. Costruirlo dipende da noi anche se, sinceramente, nel nostro piccolo, lo stiamo già costruendo: un nuovo tipo di soggetto collettivo che parla in prima persona plurale. Nel corso di questo processo, iniettando di idee un campo fertile, il nome di questo nuovo desiderio emergerà e noi tutti lo riconosceremo.
Federico De Ambrosis
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