Liceo Voltaire – Piccole rivoluzioni provinciali aspettando il ’68

Saint-Jean-d’Angély, Nuova Aquitania, Francia profonda, anno scolastico 1963-64. Questo il palcoscenico spazio-temporale nel quale si svolgono le vicende narrate dalla serie transalpina Il liceo Voltaire (ma sarebbe stato meglio mantenere il titolo in lingua originale, Mixte).

Le otto puntate della produzione narrano una piccola, grande rivoluzione: l’introduzione, in un liceo della sonnolenta, rurale e conservatrice provincia francese, delle classi miste. Quello che noi oggi diamo per scontato, fino a pochi decenni fa era infatti ritenuto quantomeno sconveniente se non letteralmente vietato, soprattutto nei Paesi di tradizione cattolica.

Coloro che hanno amato le ambientazioni scolastiche francesi che sono state un leitmotiv di libri di successo (e di formazione) come La guerra dei bottoni e Le Petit Nicolas o di film generazionali come La Boum, da noi universalmente conosciuto con il titolo Il tempo delle mele, non rimarrà deluso.

Tra il film del 1980, che vedeva la giovanissima Sophie Marceau protagonista assoluta, e gli episodi narrati in Il liceo Voltaire sono passati solo sedici anni, tuttavia tra le due storie e le due società sembrerebbe essere trascorsa un’intera era geologica. L’arrivo di undici ragazze all’interno di una scuola che, fino a quel momento, aveva ospitato solo maschi sarà una vera e propria esplosione atomica che altererà completamente il vecchio ordine, mettendo in moto il mutamento anche tra gli adulti.

Protagoniste assolute del racconto sono tre ragazze: Michèle, figlia di macellai di ristrette vedute e sorella di Jean-Pierre, il belloccio e miglior mente della scuola; Simone, vulcanica ragazza appena rientrata dall’Algeria per studiare, che vive ospite della zia; Annick, tanto brava a scuola quanto riservata e dai trascorsi misteriosi.

I temi trattati sono diversi: dal rapporto complicato tra ragazzi e ragazze all’omosessualità (a volte nascosta con matrimoni di facciata), dall’aborto al divorzio considerati ancora, in un Paese pur avanzato come la Francia, gravi macchie morali. L’aspetto che dà credibilità alla narrazione è che le avventure che settimanalmente si sviluppano tra i corridoi del liceo non sono nulla di incredibile o clamoroso come avviene spesso nelle teen-serie attuali, continuamente alla ricerca di colpi di scena sempre più spericolati. Qui si parla di vicende semplici e per questo credibili, come ad esempio una scazzottata nei corridoi, il ritrovamento di una rivista pornografica in classe di cui non si trova il “proprietario”, il furto dal laboratorio delle rane da utilizzare per l’allora “di moda” e assolutamente inutile vivisezione, una festa danzante improvvisata in casa in assenza dei genitori.

Seguendo tutte queste vicende di vita si assiste alla progressiva perdita di autorevolezza di un ceto insegnante ancora ancorato a un passato più autoritario che autorevole. Un ordine che verrà travolto dalla rivolta del ’68 e che qui iniziamo a vedere scricchiolare. E con molta probabilità tra queste ragazzi e ragazzi, qui ritratti come giovanissimi liceali, ci potrebbe essere anche qualche futuro protagonista del maggio parigino.

La Francia raccontata e che cogliamo da alcuni piccoli spunti e frasi (che forse sarebbe stato interessante approfondire) è quella del redivivo Presidente De Gaulle. Un Paese reduce da due sanguinose (e perdenti) guerre coloniali: quella d’Indocina e quella d’Algeria, quest’ultima che ha da poco ottenuto l’indipendenza. Con una provincia ottusa pronta a guardare con disprezzo i “diversi”, che siano orfani e “teppisti” come Laubrac, altro co-protoagonista della narrazione, o figli di franco-algerini (quelli che venivano chiamati pieds-noirs) come Simone.

Consigliata per gli amanti degli anni Sessanta, delle serie adolescenziali…ma non solo.

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