“Ombre digitali sul lavoro sociale” – Socioanalisi narrativa sulle derive del Terzo settore

Esce in questi giorni questo prezioso lavoro editoriale.
Un libro che mette in luce la fine del mito della cooperazione sociale.
Una ricerca socioanalitica condotta da Renato Curcio con un gruppo di lavoratori e lavoratrici del Terzo settore.
Un’esplorazione collettiva autogestita che mette a fuoco alcuni temi cruciali di questo delicato e importante ambito lavorativo, un settore stravolto dalle tecnologie digitali e dai meccanismi di finanziamento, rendicontazione e monitoraggio.

Mercoledì 29 giugno alle ore 19 verrà presentato in anteprima al C.S.O.A. Cox 18, in via Conchetta 18, Milano, con Renato Curcio e gli operatori e le operatrici che hanno partecipato al cantiere socioanalitico.

Pubblichiamo una parte della prefazione del libro scritta da Paolo Bellati, da vent’anni operatore sociale, che ha partecipato attivamente a questo lavoro.

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Con Renato Curcio nel 2009 ho condiviso, insieme ai miei colleghi di allora, un cantiere socioanalitico con una cinquantina di giovani migranti (e non) che vivevano nelle strade di Milano e frequentavano il centro diurno in cui lavoravo. Un cantiere che è diventato poi un libro, Respinti sulla strada. Attraverso le storie di quei ragazzi ci siamo interrogati sul lavoro che stavamo facendo e su quello che stava succedendo a migliaia di giovani viaggiatori che attraversavano l’Europa e vivevano a Milano e in Italia. Tra il 2013 e il 2014, sempre con Renato e una quarantina di lavoratori del sociale di diverse città e regioni, abbiamo realizzato un altro cantiere socioanalitico sulla condizione di chi lavora nelle imprese sociali. Anch’esso diventò un libro, La rivolta del riso. In quella occasione emersero una serie di criticità dell’esperienza lavorativa in questo specifico settore e la necessità di ridefinire il ruolo effettivo che queste imprese, al di là dei loro miti originari e promozionali, svolgevano (e svolgono) effettivamente dopo la liquidazione di quello che eufemisticamente veniva definito Stato sociale.
Negli ultimi anni il cosiddetto Terzo settore, come d’altronde qualsiasi contesto lavorativo e di vita, ha subito notevoli e ulteriori trasformazioni. Siamo alla fine di un’epoca, siamo all’inizio di una nuova era digitalizzata ed edificata su crisi ed emergenze che diventano l’ordinario.
Nei lavori socioanalitici fatti con Sensibili alle foglie, sopra citati, le implicazioni digitali non avevano assunto una significativa rilevanza.
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Nella primavera 2021 con L’Almanacco de La Terra Trema, trimestrale cartaceo autoprodotto, abbiamo pubblicato un inserto in cui si provava a mettere in discussione l’imprenditoria sociale e l’industria umanitaria, in piena “emergenza Covid”. Era il periodo in cui le istituzioni, le organizzazioni caritatevoli che si occupano della raccolta di generi alimentari, delle eccedenze produttive agroindustriali e della grande distribuzione organizzata, e della loro ridistribuzione a persone indigenti, lanciavano, coralmente, preoccupanti allarmi per una crisi economica intollerabile, una povertà esponenziale crescente con milioni di persone in difficoltà nell’accedere (anche) al cibo. Ne derivò un susseguirsi di campagne di crowdfunding e il propagarsi di centinaia di nuove esperienze e progettualità organizzate per il recupero, il confezionamento e la distribuzione di generi alimentari e pasti alle persone bisognose. Nell’articolo si affrontavano gli stessi meccanismi che si stanno verificando per la guerra in Ucraina, dove non si contano gli appelli, le campagne promozionali attraverso i social, gli IBAN per raccogliere soldi, le raccolte di fondi sulle piattaforme digitali e i punti di raccolta di cibo, vestiti e scatolame. In quel testo si provava a porre delle domande sulla relazione di aiuto e l’azione solidale organizzata. Domande e dubbi che nella proclamazione delle emergenze diventano quasi impossibili da porre.
Agli inizi di aprile del 2021 ho iniziato uno scambio epistolare con Renato Curcio sulle mie osservazioni lavorative (e non). Raccontavo dell’ingresso massiccio e ingombrante, con vertiginosa velocità, della tecnologia digitale e delle derive aziendalistiche nel lavoro sociale a suon di raccolta fondi, bilanci, finanziamenti, monitoraggi e rendicontazioni. Registravo e riportavo a Renato come un lavoro basato sulla relazione in presenza, sul contatto con persone fragili e in difficoltà, stesse traghettando in modo sempre più rilevante il proprio tempo nella dimensione online.
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A giugno 2021, partendo dall’inserto pubblicato su L’Almanacco, con gli amici della rivista e casa editrice Monitor abbiamo organizzato un incontro al Folletto 25603 di Abbiategrasso (MI) provando a dare delle prime risposte a queste domande: “Di cosa parliamo quando parliamo di no profit, volontariato, associazionismo? Qual è e quale sarà il ruolo di queste organizzazioni dopo la polverizzazione dello Stato sociale nell’era digitale delle emergenze? Che rapporto stanno attivando con il modello sociale dominante? Dove e quando danno spazio a una posizione di critica del potere e di se stesse?”. L’incontro fu molto partecipato e la discussione molto intensa. Girai la registrazione audio dell’incontro a Renato che con entusiasmo si propose di sbobinarla velocemente aggiungendo dei commenti su quanto ascoltato e trascritto.
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Agli inizi di settembre con Renato e un primo gruppetto di interessati ci siamo visti di nuovo al Folletto25603 con l’idea di condividere le riflessioni e il percorso fatto fin lì e ragionare su fattibilità e modalità di istituire un cantiere socioanalitico sul lavoro sociale prendendo come analizzatore principale l’ingresso in questo settore delle tecnologie digitali. In quell’incontro, di fatto, si istituì formalmente il cantiere che ha portato fino alla stesura del libro che avete tra le mani. A quell’incontro ne seguirono altri quattro di cinque ore ciascuno che si sono svolti, tra gli ultimi mesi del 2021 e i primi mesi del 2022, presso l’Ambulatorio Medico Popolare di via dei Transiti a Milano.
Nella restituzione di questo cantiere troverete una prima mappa con le strade di un percorso di esplorazione ancora da completare, con l’auspicio che sia utile, a chiunque voglia iniziare un’esplorazione ancora più articolata. Personalmente, partendo della mia esperienza e in quanto lavoratore nel sociale, ritengo che la modalità socioanalitica e i risultati che attraverso di essa sono stati acquisiti mi abbiano quantomeno aiutato ad affrontare la mia vita di lavoratore. Credo che il settore sociale produca fatiche e torsioni sia in chi ci lavora, che in chi vi entra in relazione come beneficiario. È un contesto quantomeno contraddittorio, molto faticoso, a mio avviso anche cruciale rispetto al mondo in cui stiamo vivendo e alle sue tendenze.
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Questa attività di ricerca sociale e confronto è frutto di solo lavoro autogestito, autoprodotto e autofinanziato. Per la sua realizzazione non abbiamo ricevuto donazioni e finanziamenti, né pubblici, né privati.

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