The Boys – Sventurato quel paese che ha bisogno di (super)eroi

“Io sono il Patriota e posso fare il cazzo che mi pare!”. O forse no.

Ci sembra giusto aprire la recensione di “The Boys” – la serie Prime Video di cui da poco si è chiusa la prima stagione – con una citazione di uno dei personaggi più iconici della storia, che riassume in sé molto del senso di questa produzione che non ci è per nulla dispiaciuta.

“The Boys” è una serie americana basata sull’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson prodotto a metà anni Duemila.

Il racconto è ambientato ai giorni nostri e narra le vicende di un gruppo di supereroi – i Sette – le cui vite e avventure vengono totalmente gestite da una potentissima multinazionale: la Vought. Qualsiasi dettaglio, anche un battito di ciglio dei Sette, viene accuratamente pianificato e studiato con un uso smodato dei social e dello storytelling. Nulla di nuovo, direte voi. Sì e no.

In aggiunta al fatto di essere eterodiretti dal capitalismo in uno dei suoi volti più odiosi, i nostri supereroi hanno un’altra caratteristica fondamentale e, qualcuno potrebbe dire, ovvia: dietro ai sorrisi da selfie, alla retorica da protettori della patria e alle azioni eroiche si nascondono…degli esseri umani, e degli esseri umani spesso non della miglior specie. Anzi, fin dalla prima puntata la narrazione insiste sul lato “oscuro” della maggior parte di loro. Le imprese dei Sette, portano infatti con sé una scia di disastri, abusi, prepotenze e vittime (che fanno tanto pensare ai “danni collaterali” dei bombardamenti occidentali fatti per “portare la democrazia”) che vengono puntualmente coperti e insabbiati dalla Vough.

Tutto questo per ricordare come a giganteschi poteri si accompagnino sempre altrettanto mastodontici difetti. Il che ci riporta alla mente i nostri studi liceali e le bizzose divinità greche. Come la maggior parte degli esseri umani, i Sette, una volta conquistato il potere non tardano ad abusarne. Scordatevi insomma la celebre frase: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Qui forse si potrebbe dire: “Da grandi poteri derivano grandi disastri”.

Ma vediamo di approfondire la conoscenza di questi supereroi.

Il capo assoluto è Patriota: biondo, occhi azzurri, mascellone volitivo. Il tipico American hero, un mix tra Superman e Capitan America. Dotato di poteri eccezionali, va in giro per gli Stati Uniti e per il Mondo a castigare i cattivi. Una citazione che rende bene l’ideologia che sta dietro al personaggio è questa: “La gente ha paura. Non si fida di Washington né dell’élite della Costa e odia gli stranieri. Chiedono solo un po’ di giustizia alla John Wayne, che è proprio ciò di cui mi occupo io…”. Vi ricorda qualcosa o qualcuno?

Patriota fa coppia con Queen Maeve, inizialmente l’unica donna del gruppo. Dai poteri eccezionali, tra cui una forza inaudita, ci fa pensare subito a Wonder Woman. Da giovane, si è rotta un braccio per fermare un autobus che stava per precipitare nel vuoto. Oggi, sembrerebbe rassegnata ad accettare il suo ruolo in quella che ha ben presente essere nient’altro che una commedia. O forse no.

C’è poi Black Noir, un misterioso personaggio vestito di nero e mascherato che non parla mai. È forse il suo mutismo a renderlo estremamente interessante. Non si sa assolutamente nulla di lui. Né la sua storia, né cosa pensi. Sappiamo che suona pezzi di musica classica al pianoforte e che è “fedele” a Patriota, ma nulla di più.

Ci sono poi i super più giovani tra cui A-Train, l’uomo più veloce del mondo, ma anche irrimediabilmente tossicodipendente; Abisso, vero e proprio re dei mari, ma frustrato perché incapace di portare a termine un’azione senza sbavature quando decide di fare del bene e che si macchierà dell’accusa di violenza su una donna; Translucent, uomo invisibile arrogante e sessualmente depravato. Una bella compagnia insomma!

L’ultima arrivata è la giovanissima Starlight, tipica brava ragazza tutta casa e chiesa, amata dal pubblico e capace di utilizzare l’elettricità come arma devastante.

Possibile che in questo scenario di arroganza, impunità e prepotenza tutto passi liscio? Ovviamente no!

C’è una simpatica canaglia, tale Billy Butcher, che arruola una vera e propria banda per inchiodare i supereroi alla responsabilità delle loro nefandezze. Ecco appunto i Boys, tra cui una delle figure di spicco sarà il giovane Hughie che, a inizio serie, vediamo impiegato in un negozio di elettronica e subito colpito da una terribile tragedia personale causata proprio da uno dei Sette.

Ma non è finita. Perché il vero filo nascosto che guida la narrazione è l’intenzione da parte della Vough di inserire i supereroi nella difesa nazionale degli Stati Uniti. Come dire: la privatizzazione del complesso militar-industriale (qualcuno si ricorda il celebre discorso del Presidente Eisenhower?) ovvero la gallina dalle uova d’oro. Per raggiungere questo scopo, la dirigenza è pronta a tutto. Anche a creare dei superterroristi nella tipica logica della creazione di un nemico esterno per fare il bello e cattivo tempo in casa propria.

Via via che la narrazione avanza, ci si rende conto che l’odiosità dei supereroi non solo ha cause profonde, ma che ne giustificano addirittura i comportamenti deviati. La verità è, come sempre, molto più complessa di quanto appaia. In fondo, questi eroi non sono che burattini creati ad hoc e manovrati da personaggi ancora più privi di scrupoli e umanità, fatto che poco a poco li trasforma in figure sfaccettate e tragiche di antieroi. Da carnefici a vittime o, perlomeno, carnefici perché vittime.

Man mano, Patriota e Billy Butcher diventano i due colossi della serie, pronti a scontrarsi e non poi così dissimili l’uno dall’altro. Se nelle prime punatte il ruvido Billy risulta immediatamente simpatico e viene inteso come personaggio positivo, lentamente si comprende come abbia trasformato una tragedia privata in una questione di principio e questo lo svuota un po’ della sua umanità iniziale, o al contrario forse lo rende più umano e meno “Paladino della giustizia”. D’altro canto, scoprendo la vicenda umana di Patriota non si può che riconsiderare la sua figura. Vittima del ruolo per cui è stato plasmato dalla Vough, non può essere nient’altro se non quello che è.

Se si può muovere una critica alla serie, è che forse i personaggi appaiono un po’ stereotipati, ma la derivazione fumettistica potrebbe aver pesato in questo senso. Il tutto, in un racconto assolutamente splatter in stile – passateci il paragone – tarantiniano, intervallato da continue battute che vanno contro il politicamente corretto.

Da vedere insomma. In attesa della seconda stagione.

 

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