Versailles
Il resistibile fascino dell’assolutismo.
Viviamo in un’epoca di instabilità globale e mancanza di certezze. Moltissimi, in giro per il mondo, dagli Stati Uniti alla Russia, passando per Turchia e Brasile e finendo nella vecchia Europa, sono alla ricerca di protezione. E chi, più di un uomo forte può dunque difendere il popolo impaurito e confuso? Questo il pensiero di una fetta consistente della popolazione mondiale (spesso e volentieri bianca e impoverita).
C’è una serie che sembra perfetta per andare incontro a questa ricerca di figure forti. Stiamo parlando di “Versailles”, una produzione franco-canadese ambientata nell’epoca d’oro dell’assolutismo monarchico che parla dell’ascesa al potere di Luigi XIV di Francia, della sua idea di costruire un gigantesco palazzo simbolo della sua potenza e magnificenza in un paesino alla periferia dell’infida Parigi e del percorso che lo porterà a divenire il Re Sole.
La storia si divide in tre serie da dieci episodi l’una e si può trovare su Netflix.
La prima considerazione che si può fare è che, se il mondo anglosassone rimane irraggiungibile per capacità di narrare storie e “mestiere” nel narrarle, il resto del mondo sta facendo dei passi da gigante per cercare di colmare il gap. “Versailles” è un’ottimo esempio di questa dinamica (come del resto anche Babylon Berlin). Se si può affermare con una certa sicurezza che l’opera non riesce a raggiungere le vette di Games of Throne, Black Sails (siamo d’accordo con Wired nel considerarla una delle serie più sottovalutate dei nostri giorni) o Vikings, tuttavia è altrettanto vero che la qualità è sicuramente alta.
La serie in costume è ambientata nell’Europa della seconda metà del Seicento. Un’Europa inquieta e attraversata da mille tensioni e contraddizioni che forse vale la pena ricordare e riassumere in qualche riga.
La Riforma Protestante del Cinquecento ha ulteriormente minato l’unità del Cristianesimo e il potere del Vaticano nel continente. La Controriforma lanciata con il Concilio di Trento ha tentato di imporre nuovamente l’egemonia cattolica sull’Europa con esiti disastrosi. Ovunque si sono scatenate guerre di religione che, come sempre accade, si sono mescolate a conflitti politici. Il tutto ha trasformato il continente in un campo di battaglia con la sanguinosissima Guerra dei Trent’anni. Un “tutti contro tutti” che ha lasciato nella devastazione e nella miseria intere zone dell’Europa, soprattutto centrale, lasciando la bilancia di potere europea sostanzialmente immutata e anzi, incrementando il potere e il prestigio del protestantesimo.
La Francia era stato uno dei campi di battaglia delle tensioni religiose esplose nel XVI secolo, con il sanguinoso scontro tra cattolici e ugonotti (come venivano chiamati i calvinisti francesi). L’Editto di Nantes sulla libertà di pensiero e di culto emanato da re Enrico IV (quello della frase “Parigi val bene una messa”) nel 1598 aveva posto fine a trent’anni di scontri feroci.
La situazione di tensione era però perdurata con l’esplosione della Fronda a metà Seicento. La Fronda fu un movimento di rivolta nobiliare (e in misura minore parlamentare) contro il cardinale Mazzarino (successore di Richelieu) e la reggente Anna d’Austria, madre proprio del protagonista della serie Luigi XIV. Le motivazioni della Fronda erano sostanzialmente da ascriversi all’insofferenza della nobiltà francese al crescente potere della monarchia. Alla fine dello scontro i nobili uscirono sconfitti e il giovanissimo Luigi XIV, diciottenne appena incoronato re, traballante (per il momento) vincitore.
Ed è proprio in questo momento che inizia la nostra serie.
Veniamo introdotti alla figura di un giovanissimo re preoccupato per le trame dei nobili e impaurito dalla prospettiva di fare la fine di Carlo I d’Inghilterra, mandato a morte a Londra (primo re ucciso con pronunciamento legale) da Cromwell e dai rivoluzionari repubblicani nel 1649.
Come ricondurre dunque all’obbedienza una nobiltà riottosa? L’idea del re, grandiosa e mostruosa allo stesso tempo, è quella di costruire un gigantesco palazzo a Versailles e trasferirvi tutte le famiglie nobili di Francia. Una sorta di enorme prigione dorata dove rinchiudere tutti i nobili per controllarli meglio.
Facile a dirsi, ma difficile a farsi. Se è vero che, alla fine delle prima serie il re risulterà vincitore della battaglia ingaggiata per spostare tutta la corte a Versailles è altrettanto vero che tutte le inquietudini di una nobiltà costretta ad abbandonare i propri possedimenti di provincia esploderanno in altro modo: depravazione morale, dissimulazione costante e complotti continui.
Altro elemento caratterizzante della prima parte della serie è lo scontro, quasi personale, tra Luigi di Francia e il giovanissimo Guglielmo d’Orange d’Olanda. Divisi dalla fede (Luigi cattolico e Guglielmo protestante) e dagli obiettivi politici, ma uniti da un ego smisurato e da una sorta di reciproco rispetto nel considerarsi l’uno l’unico degno avversario dell’altro. Sarà Luigi a dar fuoco alle polveri invadendo l’Olanda, ma perdendo via via per la strada tutti i suoi alleati preoccupati dell’aumento della potenza francese nel continente. Guglielmo non solo riuscirà a incrementare il suo potere in Olanda, ma nel giro di pochi anni riuscirà anche nell’incredibile impresa di diventare re d’Inghilterra passando alla storia come “il Conquistatore”.
La seconda serie che si concentra nella guerra con l’Olanda, ha come secondo elemento cardine il cosiddetto “Affare dei Veleni”. Uno dei tanti scandali che attraverserà la corte nei decenni e che, tra il 1670 e il 1680, scuoterà il potere francese con il proliferare, tra una nobiltà di corte inquieta e annoiata, dell’utilizzo di pozioni e veleni per cercare di ottenere il favore del monarca e avvelenare di nascosto i propri nemici. Lo scandalo diventerà pubblico scuotendo le fondamenta del potere francese cui seguirà una dura repressione che risparmierà la cerchia più intima del re, ma porterà alla cruda scena di un rogo per stregoneria.
La terza e conclusiva stagione avrà come palcoscenico storico le vicende delle pretese di Luigi sul trono di Spagna (che porteranno alla Guerra di Successione spagnola di inizio Settecento) e della revoca dell’editto di Nantes nel 1685 che porterà al culmine la repressione contro i protestanti, iniziata nei primi anni di regno del Re Sole con la sua pretesa di compattare i propri sudditi sotto un unico credo per ingraziarsi la Chiesa di Roma come alleato politico. Una persecuzione che costringerà a fuggire dal Paese centinaia di migliaia di persone, soprattutto esponenti dei ceti borghesi più produttivi, causando alla Francia ingenti danni economici (e infatti, nella serie, colui che più si oppone alle persecuzioni è il Ministro delle Finanze Colbert consapevole che i conti del Paese, già stremati dalle spese per le guerre, sono sull’orlo della bancarotta). In questi capitoli Luigi mostra il suo volto più odioso.
In questa ultima parte della serie fa irruzione sulla scena un altro protagonista che, cent’anni dopo farà molto parlare di sé: il popolo di Parigi. Un popolo vessato da sempre nuove tasse e dalle persecuzioni religiose e ancora diviso tra lealtà a quella che veniva comunque ritenuta una figura divina (“Il re è stato scelto da Dio. Se il mondo è stato fatto così un motivo ci sarà!”) e una progressiva presa di consapevolezza del proprio ruolo, forza e diritti.
Ecco una breve analisi dei due personaggi principali della serie.
Luigi XIV di Francia
Interpretato dall’ottimo George Blagden (l’Athelstan di Vikings) mostra un monarca costantemente combattuto tra la spinta alla grandezza divina derivante dal suo ruolo e la sue gigantesche debolezze umane. Grande manipolatore a sua volta manipolato dalle diverse “favorite” (le sue amanti) di corte che si alternano nel racconto, alterna momenti di pietà e tolleranza a ira funesta e tirannia (soprattutto nella persecuzione contro i protestanti). Esprime molto bene la solitudine che accompagna i ruoli di grande potere poiché molti gli sono fedeli, ma pochissimi, anzi nessuno, veramente amici. L’unica certezza nella vita del sovrano è il fratello minore con un rapporto assolutamente ambiguo. Luigi tiene “legato” Filippo a Versailles per dimostrargli costantemente la propria superiorità in quanto re, ma è conscio della propria inferiorità umana e morale.
Filippo I d’Orleans
Fratello minore del re e abituato sin da bambino a vivere nel cono d’ombra del monarca tanto che, nell’infanzia, veniva vestito con abiti femminili. Vive un rapporto “malato” di odio e amore verso il fratello, fuggendo costantemente da lui ma trovandosi sempre al suo fianco nei momenti decisivi. Apertamente omosessuale (ma comunque ligio a quelli che venivano chiamati “i doveri coniugali”), libero pensatore e grande soldato è in qualche modo la “buona coscienza” del re che lo spinge, a volte, a fare anche del bene. Disprezza l’ambiente di Versailles, ma non riesce mai a rompere il filo sottile di dipendenza che ha con il fratello e il suo palazzo. Nell’ultima serie lo vedremo in veste di “investigatore” per le vicende legate alla famigerata “maschera di ferro”.
C’è poi una platea di personaggi, ben caratterizzati, che ruotano attorno al Re Sole. Si va dalla regina Maria Teresa d’Asburgo, sorella del sovrano di Spagna, che ha sposato Luigi all’epoca in cui impazzavano in Europa i matrimoni per ragioni politiche e dinastiche e che pur soffrendo per un matrimonio puramente simbolico e privo d’amore, sopporta con grandissima dignità le varie “favorite” del sovrano: dalla sensualissima Marchesa di Montespan alla doppia e scaltra Marchesa di Maintenon. Da sottolineare come, dalla prima alla terza stagione, vi sia un alternarsi ma anche un mantenersi di figure femminili che, pur mettendo ben poco in discussione, se non a livello di presa di coscienza, il ruolo subalterno cui sono soggette, risultano capaci di determinare in maniera incisiva il corso degli eventi con i pochi ma spesso efficaci mezzi a loro disposizione. C’è poi la figura del Chevalier de Lorraine, amante di Filippo d’Orleans. Introdotto come personaggio subdolo, infantile e privo di morale capace di muoversi con grande maestria nell’ambiente vizioso di Versailles, nel corso della serie sarà sicuramente il personaggio capace di una crescita maggiore, mostrandosi infine coraggioso e misericordioso. C’è poi tutto l’apparato di potere della corte del Re Sole fatto di figure di gregari interessanti: dal valletto del re Alexandre Bontemps simbolo di fedeltà assoluta a Fabien Marchal, capo della polizia di Versailles (oggi si sarebbe detto dei servizi segreti) che per il re arresta, tortura, mutila e uccide, ma che nel corso della serie riuscirà a far emergere la parte migliore della sua coscienza.
Andando verso la conclusione e si può dire che, nel momento in cui Luigi XIV celebra il suo trionfo allontanando la nobiltà dalle sue terre e rinchiudendola nella reggia da lui ideata, sega anche il ramo su cui il potere reale si basava. La nobiltà messa in “cattività” accelera il suo declino portando al collasso del 1789.
Se è vero poi che l’attenzione ai dettagli è eccellente con l’utilizzo di splendidi costumi storici, è altrettanto vero che le vicende storiche vengono narrate in modo quantomeno fantasioso con assai poco rigore storiografico.
Un capoverso conclusivo meritano le scene finali che sembrano decretare la vittoria totale di Luigi e l’imporsi del suo potere assoluto. Noi avremmo lasciato qualcosa in sospeso. Un’immagine o un frase capace di far presagire il futuro di rovina che in meno di 100 anni avrebbe travolto la monarchia francese. Se è vero che il Re Sole rese la Francia una potenza mondiale con cui fare i conti è altrettanto vero che, alla notizia della sua morte avvenuta nel 1715, il popolo festeggiò ritenendo che egli avesse speso tutte le ricchezze del Paese per farlo grande all’esterno mettendo alla fame la sua gente e mandando in bancarotta le finanze statali. Da lì a 74 anni la dinastia dei Borbone sarebbe stata spazzata via nel sangue dalla Rivoluzione francese. Una rivoluzione che Luigi, con il suo dispotismo e disinteresse alle esigenze del suo popolo, aveva contribuito a innescare.
“Tu sei re perché Dio ti ha scelto” dice il Re Sole rivolgendosi al figlio nel monologo finale.
La storia si è incaricata di smentirlo.
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