Aiuto al suicidio, Cappato assolto: «Il fatto non sussiste»

La decisione della Corte d’assise di Milano segue la sentenza della Consulta: ora una legge.

La sentenza è stata accolta da un applauso: assolto perché il fatto non sussiste. Quando nel febbraio del 2017 Marco Cappato accompagnò Fabiano Antoniani (noto come dj Fabo) in una clinica svizzera per morire non commise alcun reato.

L’assoluzione sentenziata ieri dalla Corte d’assise di Milano era in qualche modo attesa dopo che a settembre la Corte Costituzionale aveva decretato la non punibilità di Cappato, a completare il quadro cominciato il 14 febbraio del 2018, quando la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano aveva chiesto l’assoluzione piena per l’esponente radicale. «Dj Fabo è stato libero di morire con dignità», ha detto la pm in aula. Lo stesso Cappato, prima della camera di consiglio che ha portato alla sentenza, aveva pronunciato davanti ai giudici una dichiarazione spontanea: «In piena sintonia e assonanza con le motivazioni che avete prospettato rimettendovi alla Corte Costituzionale la mia è una motivazione di libertà, di diritto alla autodeterminazione individuale, naturalmente all’interno di determinate condizioni, è per questo che ho aiutato Fabiano».

Soddisfatta anche Valeria Imbrogno, la compagna di Antoniani. «Fabiano mi avrebbe chiesto di festeggiare, siamo arrivati alla vittoria per lui – ha detto -. Ha sempre combattuto, sono felice. La battaglia continua per tutti gli altri, quando ha iniziato voleva proprio che fosse una battaglia di libertà per tutti e oggi ci è riuscito».

Prima di tutto questo, l’udienza è stata anche interrotta a un certo punto della mattinata a causa della notizia della morte della madre di Cappato, ricoverata in ospedale a Milano da qualche giorno. Il radicale è uscito dall’aula dove è stato consolato dalla moglie e poi, con gli occhi rossi e la faccia decisamente provata, è tornato a sedersi in prima fila per assistere al dibattimento.

Secondo Siciliano, comunque, la scelta di Dj Fabo è avvenuta in maniera del tutto conforme alle condizioni che la Consulta aveva individuato per escludere che il solo fatto di accompagnare un malato a morire possa essere un reato. «Antoniani soffriva di una patologia irreversibile che gli procurava gravi sofferenze fisiche e psicologiche – ha detto la magistrata -, dipendeva dalle macchine che lo tenevano in vita ha preso una decisione libera e consapevole».

È quello che Cappato ha sostenuto dall’inizio di questa storia. «Fino alla mattina in cui è morto – ha spiegato – gli ho prospettato la possibilità di scegliere una via alternativa». Evidentemente, però, il dolore di Dj Fabo era troppo grande e l’unica possibilità dignitosa era quella di rivolgersi a una clinica svizzera.

«E’ una giornata storica e un grande risultato – ha detto poi Siciliano al termine dell’udienza – perché la decisione della Corte realizza pienamente il significato dell’articolo due della Costituzione che mette l’uomo al centro della vita sociale e non anche lo Stato. Ora è compito del legislatore colmare le lacune che ancora ci sono».

Malgrado le tante sollecitazioni, tra cui anche quella della Corte Costituzionale, il parlamento continua a non voler prendere in considerazione qualsiasi ipotesi di legge sul suicidio assistito: l’azione di Cappato e il suo successivo processo hanno messo a nudo tutte le fragilità italiane su questo campo, un paese incapace di prendere una decisione, completamente fermo mentre i cittadini chiedono risposte e sono costretti a ottenerle solo nelle aule dei tribunali.

Mina Welby, moglie di Piergiorgio ed esponente di primo piano dell’associazione Luca Coscioni ha accolto con felicità la sentenza: «Cappato è innocente per quello che ha fatto, la Corte d’assise di Milano lo ha detto chiaro: il fatto non sussiste. Adesso il parlamento deve essere più coraggioso per fare una legge sul suicidio assistito che superi le discriminazioni». Serve insomma una legge precisa anche in Italia perché le questioni in sospeso restano tante. «Antoniani ha fatto tanta fatica a muovere il bottone che ha sprigionato la medicina per morire – ha aggiunto Welby -, credo che serva una legge che dia la possibilità a ciascuno di una morte opportuna evitando discriminazioni nei confronti di chi quel bottone non lo può spingere. Quindi un aiuto medico diretto».

di Mario Di Vito

da il Manifesto del 24 dicembre 2o19

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