Appunti su COP24 , i cambiamenti climatici e il futuro della razza umana

Il cambiamento climatico è “una questione di vita o di morte”.

Con queste parole Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha deciso di aprire Cop24, la conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), a Katowice in Polonia. Cosa può portare il segretario generale delle Nazioni Unite a pronunciare delle parole così preoccupate?

Dal 1979, l’anno in cui abbiamo cominciato a fotografare i poli dai satelliti, la superficie dei ghiacci artici è diminuita del 40 percento, pari a circa 3 milioni di chilometri quadrati di superficie ghiacciata, causando un innalzamento del livello del mare stimabile a circa 25 centimetri. L’analisi istopica delle “carote” di ghiaccio antartico ha messo in luce due fatti. Il primo è che la concentrazione di alcuni gas serra come l’anidride carbonica (CO2) nell’ultimo secolo era sempre rimasta tra 180 e 280 ppm, mentre oggi abbiamo superato i 400 ppm: il nostro pianeta non ha mai visto concentrazioni così alte. Il secondo è che la Terra ha conosciuto un alternarsi di periodi più caldi e periodi più freddi caratterizzati da un aumento medio di circa un grado ogni 500-1000 anni. Secondo uno studio americano se adesso, in questo stesso istante, rinunciassimo ai combustibili fossili e bloccassimo ogni ulteriore emissione di anidride carbonica, entro fine secolo il pianeta diventerebbe comunque più caldo di 1,3-1,5 gradi; altri studi prevedono un aumento di 4-4.5 gradi entro la fine del secolo. Il clima sulla terra è cambiato anche in passato, ma mai con questa velocità e in queste proporzioni.

Secondo il centro studi tedesco Adelphi, in un indagine commissionata dal G7, sarebbero 79 i conflitti nel mondo dovuti al clima. Inoltre le Nazioni Unite prevedono che nella sola Africa i cambiamenti climatici creino il potenziale per il movimento forzato di circa 70 milioni di persone da qui al 2030. Secondo una proiezione di Norman Myers di Oxford, successivamente rilanciata anche dall’IPCC, nel 2050 si arriverà a 200 milioni di migranti climatici nel mondo. Negli ultimi 10 anni 1,7 miliardi di persone sono state colpite da disastri naturali e 700.000 sono morte. Negli stessi anni una media di 26,4 milioni di persone all’anno sono spinte a migrare da disastri naturali,dei quali l’ 80% è collegato ai cambiamenti del clima. In questo arco di tempo si stima che i cambiamenti climatici abbiano causato più di 100 miliardi di dollari di perdite sull’economia mondiale all’anno, cifra che si prevede raddoppiare entro il 2030.

Chissà quale tra questi e i tanti aspetti di questo complesso quadro preoccupa maggiormente Antonio Guterres e gli altri ministri e ambasciatori impegnati in questi giorni a discutere in Polonia.

Ciò che sappiamo è che il cambiamento climatico non è un fenomeno solo naturale ma ha un impatto diretto sulla società con conseguenze che vanno dalla povertà, alle migrazioni, fino ad arrivare alle guerre ed i conflitti armati. Ciò che è evidente da questi dati è che i cambiamenti climatici non sono solo una delle tante questioni sociali, ma rappresentano la questione sociale, della quale tutti dovremmo prendere coscienza. Infatti sono proprio i più poveri ad esserne maggiormente colpiti: quattro persone che vengono colpite su cinque da tragedie climatiche provengono da paesi a “basso reddito”.

Nel 2015, a Parigi, tutti i paesi presenti a Cop21 hanno convenuto sulla causa artificiale del cambiamento climatico e si sono impegnate, senza alcun vincolo, a ridurre le emissioni di gas serra e a cercare restare di ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, e a “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi”. Da quell’accordo il contesto politico mondiale è cambiato molto: alcuni dei paesi più importanti, in termini di impatto ambientale, come gli Stati Uniti di Donald Trump o il Brasile di Bolsonaro (che ha dichiarato di voler ridurre sensibilmente la Foresta Amazzonica) hanno avuto una svolta negazionista. Negando quindi che il climate change sia una minaccia per la vita sulla terra causata dall’uomo e dal suo modello di sviluppo.

In questo contesto a partire dal 3 dicembre emissari di 200 paesi si stanno incontrando in Polonia per integrare gli accordi di Parigi del 2015 con nuove, e più efficaci, misure per ridurre il climate change. Ma le parole di Antonio Guterres con cui si apre l’articolo non sono state le sole parole a scaldare i negoziati di Katowice. Egli avverte anche che “non arriveremo al 2020 avendo raggiunto quanto promesso a Parigi” e, allo stesso tempo, “ciò che è stato promesso a Parigi non è stato abbastanza”.

L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) ci aveva già ammonito a riguardo sostenendo nel suo studio “Special Report on Global Warming of 1.5°C” che anche rispettando gli accordi di Parigi potremmo raggiungere l’aumento di 1,5° in appena 11 anni, e di sicuro entro 20, se non metteremo in pratica tagli importanti nelle emissioni di anidride carbonica. Agendo ora, riusciremmo comunque solo a ritardare, ma non prevenire, il riscaldamento globale di 1,5°C. Secondo lo stesso studio è necessario tagliare l’utilizzo di combustibili fossili del 50% entro 15 anni ed eliminarli in 30. Cosa significa? Niente case, imprese o industrie scaldate con gas o petrolio; nessun veicolo alimentato a diesel o gasolio; tutte le centrali elettriche a carbone e gas chiuse; l’industria petrolchimica interamente convertita a chimica verde; l’industria pesante, come quella per la produzione di acciaio e alluminio, convertita all’utilizzo di fonti senza emissioni di carbonio o all’impiego di tecnologie che catturano e accumulano in modo permanente le emissioni di CO2. Non solo. In base a quanto rapidamente si riuscirà a tagliare le emissioni, tra uno e sette milioni di chilometri quadrati di territorio dovrebbero essere convertiti alla produzione di bioenergia e bisognerà piantare fino a 10 milioni di chilometri quadrati di foreste. Tutto questo non sarà comunque abbastanza, arrivati al 2045 o al 2050 ci sarà ancora troppa CO2 nell’atmosfera. Più foreste saranno fondamentali per stabilizzare l’aumento delle temperature globali a 1,5°C, dice il report.

Nonostante le misure prese a Parigi nel 2015 risultino insufficienti, in Polonia ci sono alcuni paesi che stanno minando le trattative: in particolare Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait, che hanno rifiutato di inserire nella bozza di conclusioni finali parole che possano lasciar intendere un sostegno al rapporto dell’IPCC, dimostrando con questo che la lotta al climate change non è un patrimonio comune all’intera umanità.

Dunque dovremo rassegnarci? In realtà ci sono almeno due ragioni per non farlo. L’ONU ha stimato in 12 anni il tempo limite che abbiamo per salvare il pianeta e non rendere questo cambiamento irreversibile: siamo ancora in tempo! Sappiamo che le mutazioni del clima sono causate dall’azione umana quindi possiamo agire per cercare di arrestare il processo! Paradossalmente è un bene che i negazionisti come Trump abbiano torto: infatti se il riscaldamento globale che stiamo vivendo fosse un effetto naturale non ci sarebbe davvero nulla da fare.

E’ inoltre necessario uscire dalla logica dell’emergenza. Veniamo bombardati da politici e media con emergenze di ogni tipo: emergenza maltempo, emergenza inondazioni, emergenza flussi migratori. Dobbiamo prendere coscienza che a partire da ieri questi fenomeni sono (e saranno) parte strutturale della nostra vita sulla terra e che se si vuole agire su questi processi non si può vederli in un ottica emergenziale.

Mentre in Polonia si svolge Cop 24 in 115 città al mondo l’8 di dicembre sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone per chiedere un’inversione di rotta sui cambiamenti climatici e un ripensamento radicale del nostro modello di sviluppo. Anche in Polonia non sono mancate le proteste. L’Italia non è stata da meno con le grosse manifestazioni di Torino, Padova e di altre città italiane.

Spetta a noi quindi prendere consapevolezza di ciò che sta accedendo e agire nell’immediato per cercare di porvi rimedio.

Sergio Tonetto di Corrente Alternativa, Collettivo del Dipartimento di Fisica
Milano , 11 dicembre 2018

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