Esordio di Moratti tra i fischi, Lombardia allo sbaraglio

Esordio peggiore per Letizia Moratti non poteva esserci e sarebbe stato anche difficile immaginarlo, ma almeno ha avuto il terribile merito di mostrare l’approccio della “presidente di fatto” della Lombardia alla salute: prima i ricchi, una vecchia fissazione della destra neoliberista di Margaret Thatcher da cui Letizia Moratti prende in prestito anche il soprannome di «lady di ferro». La proposta agghiacciante di consegnare i vaccini in base al Pil delle regioni l’ha messa in un angolo e in mezza giornata è stata sommersa di critiche. Da quelle immediate delle opposizioni in Consiglio regionale ai ministri del governo, dai presidenti di altre regioni al Sindaco di Milano, dai sindacati alle le associazioni del terzo settore. Un coro unanime: vergogna.

«Mi cadono le braccia», ha commentato sconsolato via Instagram il Sindaco di Milano Beppe Sala di primo mattino. Affermazioni «a un passo dalla barbarie», per il Presidente della Campania Vincenzo De Luca. «Credo si sia trattato solo di uno scivolone da amnistiare. La Moratti sa bene che Milano è la seconda città della Puglia e quindi se vuole continuare la sua carriera politica smetta di fare dichiarazioni antimeridionali», l’ha liquidata il Presidente pugliese Michele Emiliano. «I vaccini non si distribuiscono in base a dati economici, ma in rapporto al livello di rischio di vita e salute», la Cisl Lombardia. Il primo a stoppare le velleità di Moratti era stato il Ministro della Sanità Speranza: «La salute è un bene pubblico fondamentale garantito dalla Costituzione, non un privilegio di chi ha di più».

Così Letizia Moratti è stata costretta a fare un passo indietro ieri mattina davanti al Consiglio regionale dove ha spiegato di non aver mai pensato «di declinare vaccini e reddito». Ancora: «Il Pil è un indicatore economico-finanziario che attesta l’attività in una regione che, questo sì, l’ho detto, è il motore dell’Italia. In questo senso questa regione ha la necessità di essere tenuta in considerazione, non parlo di piano vaccini ma di zona rossa».

Davanti ai capigruppo di maggioranza e opposizioni le parole erano state altre: «Gli ho proposto (al Commissario Arcuri, ndr) quattro criteri: le zone più colpite, la mobilità, la densità abitativa e il tema del contributo che le Regioni danno al Pil». La nota fatta uscire alcune ore dopo per correggere il tiro confermava sostanzialmente quanto detto, ma in salsa leghista: «Il concetto non è quello di dare più vaccini alle regioni più ricche, ma se si aiuta la ripresa della Lombardia si contribuisce in automatico alla ripresa dell’intero Paese». Roba da «prima ai lombardi» che forse neanche Matteo Salvini aveva pensato in riferimento ai vaccini anti Covid.

L’approccio di Letizia Moratti è quello della destra economica più aggressiva e si accompagna all’altra cosa preoccupante che sta accadendo in Lombardia: nessuno sa cosa stia facendo l’assessore per arginare la diffusione del coronavirus in questa disgraziata regione. Archiviato quanto fatto dal suo predecessore, il capro espiatorio Giulio Gallera, dei cambiamenti immediati nella gestione della pandemia non si sa nulla. Cosa sta facendo per migliorare il tracciamento, i tamponi, il lavoro delle Ats, la sanità territoriale? Cosa sta facendo, oltre a chiedere al governo la fine della zona rossa, per permettere al sistema produttivo lombardo di ricominciare a correre in sicurezza? Nella competizione con il Presidente Attilio Fontana per chi comanda davvero nella giunta lombarda, i piani anti Covid sembrano spariti, si procede ancora con quanto impostato da Gallera.

L’altro banco di prova sarà la riforma della legge Maroni sulla Sanità che il ministro Speranza ha chiesto di riscrivere in 120 giorni a partire dal 16 gennaio. Ci sono tre commissioni varate dal centrodestra, la maggioranza sta discutendo molto, Moratti e Fontana sembrano avere idee diverse a partire dall’accorpamento delle Ats regionali che il ministero ha chiesto.

L’unica proposta attualmente depositata è quella del M5S. «Proponiamo di istituire l’Ats Lombardia come indicato dal ministero per centralizzare le attività burocratiche e lasciare le attività sanitarie alle Ats locali», spiega Marco Fumagalli, primo firmatario della proposta di legge. «Proponiamo anche di istituire le case della comunità per la sanità territoriale, una ogni 15 mila abitanti, dove possano trovare collocazione medici di base, pediatri, l’emergenza-urgenza, le cure primarie per evitare che il cittadino debba andare per forza al pronto soccorso».

di Roberto Maggioni

da il Manifesto del 20 gennaio 2021

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