Fioramonti, addio pluriannunciato

Il racconto di tre mesi a Viale Trastevere: la critica alla valutazione e alle riforme degli ultimi vent’anni, le incertezze e gli atti simbolici,un gesto individuale, la sconfitta finale. I sindacati: se non cambia qualcosa c’è il rischio di un bis. Il 7 gennaio partono i due tavoli di confronto sui concorsi. Il ministro: le risorse non si trovano mai quando si tratta della scuola e della ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni in poche per altre finalità. I tagli certificati da Ocse e il Cun. L’esecutivo era consapevole degli scarsi investimenti. Gualtieri aveva promesso più risorse nel 2020.

Il Ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, del M5S, si è dimesso il 23 dicembre dopo averlo annunciato per 110 giorni. La prima volta è stata il 5 settembre, prima e dopo avere giurato al Quirinale, ma lo aveva fatto già prima, quando ricopriva il ruolo di viceministro a Viale Trastevere con il “Conte Uno”. In poco più di tre mesi questo economista dell’università di Pretoria in Sudafrica, critico del sistema di valutazione adottato con un raro fanatismo neoliberale nel 2011, ha ribadito che avrebbe lasciato la carica da ministro se il suo governo non avesse rifinanziato il sistema con tre miliardi di euro: due alla scuola, uno all’università e alla ricerca. Una cifra giudicata appena sufficiente per mantenerlo oltre la linea di galleggiamento, ma necessaria per inviare un segnale in controtendenza rispetto agli 8,4 miliardi (più di 7 alla scuola, e 1,1 a università e ricerca) tagliati dal governo Berlusconi-Tremonti-Gelmini nel 2008 e mai più da allora rifinanziati. Il governo “Conte Due” ha raggranellato “solo” due miliardi per tutto il comparto nella legge di bilancio approvata prima di Natale.

Le dimissioni più annunciate nella storia dell’istruzione in Italia sono state date nei giorni di Natale per evitare al parlamento chiuso per ferie di discutere il caso. La sola possibilità avrebbe mostrato il nuovo caos che attraversa il governo, su una questione di primo piano, fino ad oggi a dir poco sottovalutata. Alla riapertura delle camere dovrebbe esserci un altro ministro con gli stessi problemi. L’anomalia dei modi, e dei tempi delle dimissioni di Fioramonti, è stata stigmatizzata da Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil, che chiede a Conte di garantire le risorse per istruzione e ricerca: «Altrimenti il rischio è che qualunque ministro che seguirà non potrà fare a meno di seguire le orme di Fioramonti». Conte è lo stesso premier che dopo avere siglato un’intesa con i sindacati sugli aumenti “a tre cifre” degli stipendi dei docenti il 24 aprile scorso ha parlato di una «fase due del governo». Era quello precedente con Lega e Cinque Stelle caduto in agosto. In quello attuale ha appena perso un ministro. A viale Trastevere si attende qualcuno che il 7 gennaio diriga il primo tavolo di confronto sullo svolgimento di due concorsi, uno ordinario e uno straordinario, per 50 mila docenti della scuola secondaria, elaborati sotto il Conte Uno e finalizzati dal suo successore.

Le ragioni delle dimissioni sono politiche e riguardano le priorità scelte dal governo in questi tre mesi. Le ha evidenziate lo stesso Fioramonti in un post pubblicato su Facebook: «Pare che le risorse non si trovino mai quando si tratta della scuola e della ricerca, eppure si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore da destinare ad altre finalità quando c’è la volontà politica», ha scritto. L’allusione è ai 900 milioni di euro investiti dal governo per salvare la Banca Popolare di Bari o i 190 euro di aumento ai bancari contro i 35 euro netti garantiti agli insegnanti che devono recuperare oltre mille euro di potere d’acquisto perduto in anni di contratti bloccati. Parole scritte da Fioramonti in una lettera a Conte mentre il Ministro dell’Economia Gualtieri, già docente di storia alla Sapienza, alla vigilia di Natale prometteva in un’intervista di dedicare più attenzione all’istruzione nella prossima manovra.

Un impegno che dev’essere sembrato a Fioramonti troppo vago per rinviare le dimissioni già pronte. «Questo governo può fare ancora molto e bene per il paese se riuscirà a trovare il coraggio di cui abbiamo bisogno», ha scritto. Trovare coraggio in soli tre mesi è difficile. Ma anche in un anno e più. Se non c’è, il coraggio, non te lo puoi nemmeno dare. Dev’essere stato questo il ragionamento che ha spinto alla fine il ministro a dimettersi. E ad allungare un’ombra sul natale di un governo che fino ad oggi si è scornato sulle proposte più occasionali: dalla Plastic Tax alla Sugar Tax, tra l’altro proposta all’inizio proprio da Fioramonti. «Il 5 per cento della manovra», l’ha definito Gualtieri.

Di Fioramonti si ricorderanno una certa effervescenza nelle proposte più simboliche che di sostanza come il ripensamento dell’alternanza scuola-lavoro, poi confermata come condizioni di accesso alla maturità; posizioni contraddittorie come la critica ai test Invalsi e il via libera come se fossero un destino irrinunciabile; l’opposizione all’agenzia nazionale per la ricerca non tanto per la sua oscura utilità in un panorama già compromesso, quanto per le nomine politiche dei suoi vertici, approvati nella legge di bilancio. Oppositore e al governo, Fioramonti è rimasto da solo e da solo se ne è andato.

Il suo atto finale dimostra che non è stata ancora del tutto compresa l’emergenza creata dal disinvestimento del 20 per cento nella ricerca e nello sviluppo negli ultimi dieci anni.

Secondo l’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, la spesa è diminuita del 9 per cento tra il 2010 e il 2016 sia per la scuola che per l’università, mentre gli investimenti per l’università sono stati ridotti del 14 per cento dal 2008 al 2014. Il Consiglio nazionale universitario (Cun) ha, di recente, rilevato che i fondi concessi alla ricerca con il contagocce (469 milioni nell’ultimo biennio) sono stati devoluti a interventi occasionali – i dipartimenti “di eccellenza” e al reclutamento per ricercatori precari. Mentre il finanziamento strutturale diminuisce da molti anni. Dagli oltre 6,4 miliardi del 2014, già tagliati sei anni prima, ai circa 6,260 miliardi del 2019.

di Roberto Ciccarelli

da il Manifesto del 27 dicembre 2019


Per la scuola poche, deludenti novità.

«O tre miliardi alla Scuola o me ne vado», ha ripetuto per mesi il Ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. E adesso se ne è andato. A Bilancio 2020 appena approvato.

Tiriamo le somme. E c’è poco da stare allegri. Di aumento di stipendi se ne è parlato tanto, per esempio. Ma una cosa sono i fatti, un’altra le parole. E per il comparto scuola ci sono poche e deludenti novità: pochissime risorse e, soprattutto, nessuna traccia di quell’aumento di stipendio a tre cifre di cui si è parlato per otto mesi. L’aumento si ferma a circa 80 euro, più o meno la cifra dell’ultimo rinnovo. Il tavolo istituito presso la Presidenza del Consiglio sarà la sede per segnalare le risorse necessarie per il rinnovo del contratto, prestando attenzione a tutte quelle disponibili. Quali? Probabilmente quelle della Carta docente, il bonus da 500 euro che annualmente viene erogato per la formazione e l’aggiornamento dei docenti di ruolo delle scuole statali. L’idea piace ad alcuni sindacati, non ai docenti.

È invece già deciso nella Legge di Bilancio che il bonus merito entrerà a far parte del Fondo di istituto e sarà la contrattazione a stabilire come utilizzarlo. Insomma, la montagna ha partorito il classico topolino.

E il Ministro all’Istruzione Fioramonti? Già nei giorni scorsi le dimissioni sembravano certe subito dopo l’approvazione della legge di Bilancio: l’intervento nella conciliazione con i sindacati in mobilitazione e l’appello del M5S non hanno fatto cambiare idea al ministro, che a Natale diffonde un post atteso da tempo: «Con la formalizzazione a breve dell’incarico del nuovo direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per la Sicilia, Stefano Straniti, si potrà finalmente trovare una soluzione completa e condivisa per la vicenda della professoressa Rosa Maria Dell’Aria». E aggiunge: «Il mio personale auspicio è che al più presto si possa mettere la parola fine a questo caso molto spiacevole. La scuola deve essere un luogo di incontro e di crescita nel confronto dialettico e culturale. Sempre». È l’auspicio di tutti i docenti italiani.

Se Fioramonti si fosse dimesso quando il Pd e Confindustria gli imposero l’alternanza scuola/lavoro e le prove Invalsi, sarebbe stato un eroe. E ora? Chi sarà il nuovo Ministro dell’Istruzione? L’unico nome circolato nelle scorse settimane è quello di Nicola Morra, presidente Antimafia.

di Giuseppe Caliceti

da il Manifesto del 27 dicembre 2019

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *