In Lombardia ha pesato il collasso della medicina del territorio
L’organizzazione della sanità lombarda, che in tempi ordinari la pone tra le migliori d’Europa, durante la pandemia si è trasformata nel suo punto debole. È il quadro che emerge dalla lettera aperta pubblicata da Giampiero Cassina, Bruno Pesenti, Amedeo Amadei, Susanna Cantoni e Eugenio Ariano, cinque ex-dirigenti dei Dipartimenti di prevenzione di Bergamo, Milano e Lodi.
Tra le cause del mancato controllo del focolaio lombardo, scrivono i firmatari della lettera, c’è «il collasso della medicina del territorio», cioè la rete di ambulatori pubblici e medici di base che rappresenta il primo punto di accesso dei cittadini al sistema sanitario. Nelle altre regioni, le aziende sanitarie gestiscono ospedali e medicina del territorio, coordinandone le azioni. In Lombardia, invece, ospedali e Agenzie di tutela della Salute sono state messe su un piano di competizione paritario». E con un «recente provvedimento di trasferimento alle Aziende ospedaliere della funzione di governo dei servizi di Medicina di base», si è deciso di accentrare negli ospedali anche questa funzione.
I sanitari puntano il dito contro un altro ribaltamento dei ruoli, che ha sottratto autonomia ai dipartimenti di prevenzione nell’azione di contenimento. I dipartimenti di prevenzione sono quelli a cui è affidato il compito di definire le strategie di contenimento e fermare le catene di contagio prima che dilaghino. La responsabilità della risposta sanitaria a un’epidemia dovrebbe essere soprattutto nelle loro mani. E invece, «il direttore generale (delle Asl, ndr) ha assunto nella vicenda pandemica un ruolo improprio anche di sostituzione delle funzioni del Dipartimento di prevenzione», scrivono. «Hanno parlato virologi specialisti di malattie infettive, epidemiologi e non solo. Non si sono sentiti i direttori dei Dipartimenti di prevenzione».
La catena di comando pensata per rispondere a un’epidemia così è saltata: «Sono mancate le più elementari modalità di gestione di una epidemia. Una volta le avremmo chiamate di polizia sanitaria» con un’espressione che risale al Lombardo-Veneto austriaco. «I sindaci, sentito il Dipartimento di Prevenzione, potevano assumere le ordinanze di competenza territoriale» chiudendo le Rsa, vietando gli assembramenti e isolando i casi. Invece, «con molto ritardo si è scaricata questa incombenza sui medici di medicina generale invitandoli a tenere in malattia i casi sospetti». Per non parlare dell’errore di convocare il 2 marzo, a focolaio già scoppiato, un centinaio di operatori dei dipartimenti di prevenzione in una riunione che si sarebbe potuta svolgere in teleconferenza. Da quell’appuntamento il contagio si è propagato proprio tra gli operatori più importanti decimando i servizi di prevenzione.
di Andrea Capocci
da il Manifesto del 29 aprile 2020
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