«Modello lombardo» che non funziona, non si cambia
Con oltre 4.000 nuovi contagi nelle ultime 24 ore, la Lombardia sembra l’epicentro anche della terza ondata epidemica paventata dagli esperti. D’altronde, nel modello sanitario lombardo in un anno di pandemia è cambiato ben poco, al massimo qualche dirigente: al posto del «particolarmente stanco» ex-assessore Giulio Gallera oggi c’è Letizia Moratti.
Al vertice tecnico dell’assessorato, i direttori generali sono stati addirittura tre: dopo l’ex-poliziotto Luigi Cajazzo e il ciellino Marco Trivelli, Moratti ha imposto il dg bocconiano Giovanni Pavesi. Infine è tornato Guido Bertolaso, indimenticato ideatore dell’ospedale alla Fiera di Milano. L’ossatura della sanità lombarda però è rimasta quella disegnata nella legge regionale n. 23 da Roberto Maroni nel 2015, rivelatasi fallimentare durante la pandemia. La legge Maroni non ha superato la verifica del governo ed è scaduta in agosto, obbligando la regione Lombardia a una nuova riforma.
Di fronte all’immobilismo della regione, il Ministro Speranza a metà dicembre ha fissato il termine ultimo per l’approvazione della riforma sanitaria nella prima decade di aprile. In allegato alla sua lettera, una durissima relazione tecnica dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) che ha elencato tutte le falle del «modello lombardo» e ha raccomandato un rilancio della sanità pubblica nei confronti di quella privata. Nemmeno dopo la lettera di Speranza si è mosso granché. A oggi non c’è nemmeno una bozza di legge su cui discutere, nonostante sia trascorso più della metà del tempo a disposizione.
Letizia Moratti ha dimostrato di non avere fretta e ha sostanzialmente ignorato la scadenza: «ho preso qualche tempo in più per rivedere la Legge 23, anche ascoltando i diversi stakeholder». Le audizioni in assemblea regionale sono iniziate mercoledì 24 con la commissione di saggi nominata otto mesi fa da Fontana per elaborare le nuove linee guida sanitarie.
A riferire, il patologo ed ex-Rettore della Statale Gianluca Vago, non esattamente «super partes». Nel 2018, il presidente Fontana lo aveva nominato come suo consulente per «i progetti e le riforme strategiche». Vago era stato proposto come candidato della destra alle prossime elezioni comunali di Milano e, soprattutto, come Assessore al welfare per il post-Gallera, incarico sfumato in favore di Moratti. Difficile chiedere proprio a lui un’inversione di marcia in campo sanitario.
La relazione del medico, infatti, è apparsa assai moderata: nessuna critica allo squilibrio tra sanità pubblica e privata, che ha impoverito la medicina territoriale e la prevenzione a vantaggio dei più redditizi ospedali privati. «I principi fondanti della legge regionale 23 rimangono validi» è stata la conclusione di Vago, che ha dovuto però ammettere la necessità di potenziare «la filiera della presa in carico, con particolare attenzione alle esigenze di prossimità e di cura domiciliare».
Basterebbe un piccolo ritocco, dunque, e tanti salute alla profonda revisione della sanità raccomandata dal ministero e dall’Agenas. Non tutti i saggi hanno condiviso la relazione. Uno dei sei, il direttore dell’istituto «Mario Negri» Giuseppe Remuzzi, si è dissociato. Vago si è limitato a citare la posizione non allineata di Remuzzi in un paio di «slide» in cui si raccomandava di restituire importanza ai distretti sanitari, di puntare sulle Case della Salute per la prevenzione primaria sul modello emiliano e di limitare fortemente il ruolo della sanità privata, a cui ricorrere «solo quando e dove la sanità pubblica è carente».
Sono i temi che Remuzzi aveva già affrontato nel 2018 in un saggio dal titolo eloquente, «La salute (non) è in vendita» (ed. Laterza). L’operazione di insabbiamento di un possibile modello alternativo della sanità lombarda non è riuscita. Di fronte a un’opzione così radicalmente diversa dallo status quo, e con l’epidemia che suona un nuovo campanello d’allarme, i consiglieri del PD hanno chiesto di audire anche Remuzzi.
di Andrea Capocci
da il Manifesto del 26 febbraio 2021
Tag:
audizioni coronavirus covid covid19 disastro fontana malagestione moratti profitti profitto riforma maroni sanità lombarda sanità privata sanità pubblica