Non c’è dolcezza nella logica dell’esclusione

Riflessioni sullo sgombero dell’ex-Moi a Torino.

Nella mattinata del 30 luglio è stato completato lo sgombero di due palazzine del Moi di Torino, ex-villaggio olimpico costruito nel 2006 per il rilancio della città e puntualmente rimasto vuoto e abbandonato dopo il grande evento. Gli stabili erano occupati da 6 anni, unica opzione per centinaia di profughi in attesa di risposta per la loro richiesta di asilo. Le palazzine erano abitate da circa 420 persone, tutte con permesso di soggiorno, ma recentemente avevano sfiorato il migliaio di ospiti, con intere famiglie e molti minori.

La zona era militarizzata notte e giorno. Le manifestazioni dei migranti della fine del 2016 avevano risvegliato l’attenzione, le condizioni erano pessime e la maggior parte era in attesa di risposta rispetto alla richiesta di regolarizzazione o transito. Dopo l’attacco fascista con bombe carta del novembre 2016 la tensione si era alzata, ma il Comune non era in grado di proporre nient’altro, quindi l’unico segnale fu il dispiegamento di polizia nel quartiere.

Associazioni, onlus e attivisti hanno continuato il loro operato, ed è proprio Medici Senza Frontiere che oggi parla del rischio con queste operazioni di “ostacolare il processo di integrazione e di regolarizzazione. Soprattutto per le persone più fragili“. La regia l’ha avuta un protocollo d’intesa composto dalla Prefettura, Questura, Comune di Torino, Regione Piemonte, Diocesi di Torino e Compagnia di San Paolo. L’amministrazione ha parlato di sgombero dolce, come se si potesse definire con affetto una manovra repressiva.

Quasi tutti i migranti hanno lasciato gli stabili senza opporsi, ma c’è anche da considerare che una delle due palazzine era visibilmente a rischio di crollo. Lo sgombero rappresenta la conclusione di un percorso che da due anni ha nel mirino l’ex-Moi.

Sono stati attivati 180 percorsi di formazione e contratti di lavoro (che al giorno d’oggi sembra un dono del cielo le cui condizioni non vanno indagate). Ma per la maggioranza di quel migliaio di migranti senza dimora, nulla di concreto. Anche i centri adibiti dalla Protezione Civile ha adibito non saranno sufficienti per tutti.

La Sindaca Appendino cerca di scalare le vette della triste gara dell’ordine e del decoro proponendo il “modello Torino”, afferma che non si è trattato di uno sgombero ma di “una liberazione che mette al centro le persone”.

Vogliamo allora ricordare l’uomo che giusto il mese scorso è stato ucciso dalla prigionia delle politiche migratorie in corso in Italia. Più che mettere le persone al centro, queste vengono recluse nei centri, che siano della Protezione Civile, per chi ha il permesso di soggiorno o i CPR per chi no ha documenti, la logica rimane sempre la stessa, nascondere sotto il tappeto i soggetti scomodi.

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *