Pio Albergo Trivulzio, tensione tra la commissione e i parenti delle vittime

«I nostri anziani non sono cittadini terminali». Come dare torto ad Alessandro Azzoni, presidente dell’Associazione Felicita che raduna i parenti delle vittime del Pio Albergo Trivulzio, che al termine di una giornata di delusioni risponde così a Vittorio Demicheli. Quest’ultimo, infatti, presidente della Commissione sul Pat, durante la presentazione dei dati, ha detto che «la malattia ha solo accelerato di qualche mese il decesso dei più fragili».

Una dichiarazione scioccante per deresponsabilizzare Ats e i vertici di Regione Lombardia. «Il Pio Albergo Trivulzio non è stato in grado di tutelare i suoi pazienti», continua Azzoni. Alla luce della relazione della Commissione, che avrebbe dovuto far luce sulla gestione, «prendiamo atto che nessuna delle testimonianze rese dai parenti delle vittime è stata tenuta in considerazione». La commissione, voluta dalla direzione generale del Welfare lombardo, come prevedibile, ha fornito risposte assolutorie. O forse sarebbe più corretto dire autoassolutorie: a fare chiarezza su quanto accaduto nella casa di cura, infatti, è stata proprio un’équipe presieduta dal direttore sanitario di Ats, Demicheli. Quella stessa Ats cui spettava vigilare sul rispetto dei protocolli sanitari e nella quale la Procura di Milano ha disposto diversi sequestri. Colpa dell’assenteismo, ha spiegato il capo della commissione. «Ma se davvero al Pat c’era un assenteismo del 65%, significa che ci mentivano quando ci dicevano che la situazione era sotto controllo», aggiunge Azzoni.

Ai parenti, infatti, è stato tenuto nascosto il grado di complessità della situazione e le criticità nella gestione, soprattutto dopo l’ormai nota delibera regionale dell’8 marzo. Nella relazione si legge che al 21 febbraio «solo il 9% dei lavoratori era assente per contagio da Covid». Dunque, restavano in servizio 265 operatori. Solo il 21% di questi è stato sottoposto al tampone, esame dal quale ne è uscito positivo il 16%. Il rapporto della Commissione, trasmesso anche alla Procura che aveva già aperto un’indagine per omicidio ed epidemia colposi, ha toccato anche il problema del trasferimento dei malati: «Già a fine febbraio il Pat metteva in isolamento alcuni casi con sintomatologia simil-influenzale che, col senno di poi, riconosciamo probabilmente essere stati casi di coronavirus», ha spiegato Demicheli, cercando di far passare per errore di valutazione clinica quella che invece fu, secondo altri, una «decisione criminale».

Secondo Felicita, «la correttezza delle procedure per strutture come il Trivulzio avrebbero potuto fare la differenza» nella sicurezza di pazienti e dipendenti. Invece si è scelto di minacciare, e in alcuni casi di licenziare, quei dipendenti che avevano usato la mascherina. Il primo ed eclatante caso è del 23 febbraio, ma si scoprirà solo settimane dopo: un’operatrice sanitaria viene licenziata per aver indossato una mascherina «perché avevo tosse e raffreddore».

La donna, che non è ancora uscita allo scoperto, si è detta disponibile a testimoniare davanti ai giudici, se sarà necessario. In tutta questa vicenda non ci vede chiaro nemmeno l’Unione Sindacale di Base della Lombardia che definisce la relazione «una verità monca» nella quale «si ha la netta sensazione che manchi un passaggio in grado di correlare in modo logico cause ed effetti». L’Usb, che annuncia una protesta sotto il Pirellone per il prossimo 22 luglio, aggiunge che «colpisce che l’accento sia posto sul personale, accusato di “assenteismo”, quasi a voler dare in pasto all’opinione pubblica un colpevole facilmente individuabile». Azzoni ringrazia per la solidarietà e precisa: «Parteciperemo sempre alle iniziative in favore della verità. Perché le vittime meritano giustizia, non giustizialismo».

di Francesca Del Vecchio

da il Manifesto del 10 luglio 2020

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