Quota diecimila, ospedali in allarme

Ieri è stata superata la soglia di 10 mila nuovi casi positivi in 24 ore. Per l’esattezza, sono stati 10.010, rilevati grazie a 150 mila tamponi. Sono circa 1.200 in più del giorno precedente, mentre i test sono oltre dodicimila in meno. Il rapporto tra casi positivi e tamponi sale ancora e adesso tocca il 6,6%. Rispetto a giovedì si registrano 55 decessi, cioè 28 in meno. Ma questa è l’unica nota positiva della giornata: i pazienti in terapia intensiva aumentano di 52 unità e adesso i ricoverati gravi sono 638.

Con 2.419 casi la Lombardia si conferma la regione con la maggiore circolazione virale davanti alla Campania (1.261). Visto il boom di casi, il governatore lombardo Attilio Fontana propone di ridurre gli orari di bar e ristoranti e un massiccio ricorso alla didattica a distanza. Ma la regione con più pazienti in terapia intensiva (98) è il Lazio. Le strutture sanitarie iniziano a scricchiolare.

Allo “Spallanzani” di Roma d’ora in poi saranno accettati solo pazienti affetti da Covid, una decisione «necessaria per garantire la disponibilità dei posti letto per l’emergenza» secondo l’Unità di crisi della Regione. In Campania, i letti a disposizione dei pazienti Covid in terapia intensiva sono 110, di cui 67 già occupati, e la Campania ne ha assegnati altri 301 all’emergenza. Per far spazio ai pazienti, in tutta la regione saranno sospesi i ricoveri medici e chirurgici ad eccezione di quelli urgenti e quelli oncologici.

È il segnale che la saturazione è già stata raggiunta. Le terapie intensive, infatti, sono normalmente piene per l’80% a causa delle altre emergenze sanitarie e lo spazio utile per assorbire l’urto del coronavirus scarseggia.

Che le terapie intensive fossero un nodo critico della risposta alla pandemia era cosa nota. Il ritardo fa arrabbiare il commissario straordinario Arcuri: «In questi mesi alle Regioni abbiamo inviato 3.059 ventilatori polmonari per le terapie intensive, 1.429 per le subintensive» spiega. «Prima del Covid le terapie intensive erano 5.179 e ora ne risultano attive 6.628 ma, in base ai dispositivi forniti, dovevamo averne altre 1.600 che sono già nelle disponibilità delle singole regioni ma non sono ancora attive. Chiederei alle regioni di attivarle».

Per aumentare il numero di posti letto non basta comprare nuovi macchinari: servono medici e infermieri specializzati. Le assunzioni, però, sono andate a rilento e ora manca il personale necessario ad aumentare la disponibilità di posti letto. Lo dimostrano i dati contenuti nel rapporto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma sull’uso delle risorse sanitarie coordinato da Americo Cicchetti. «Prima dell’emergenza sanitaria il rapporto in Italia tra anestesisti e rianimatori e posti letto di terapia intensiva era di 2,5» spiega il rapporto.

«Se consideriamo la risposta strutturale delle regioni, ovvero l’acquisizione di personale tramite bandi per posizioni a tempo indeterminato e determinato, e l’incremento di posti letto previsto dal dl n. 34 (il “decreto Rilancio”, ndr) il rapporto scende a 1.6». In altre parole, c’è posto per un maggior numero di pazienti ma non ci sono i medici per assisterli.

Leggendo i dati del rapporto, si scopre che i sette mesi trascorsi dall’inizio della pandemia non sono stati sufficienti per irrobustire gli organici, nonostante i fondi fossero stati messi a disposizione dal governo. In Lombardia, sono stati banditi 700 nuovi posti per medici, ma finora sono state fatte solo 32 assunzioni. In Sicilia, sui 700 bandi aperti se ne sono reclutati solo 17. Nel Lazio, ancora nessuno dei 362 bandi ha portato in reparto nuovi medici.

Non basta nemmeno il personale dedicato al tracciamento dei contatti. Nel decreto rilancio, il governo aveva indicato una soglia minima : un “tracciatore” ogni diecimila abitanti era il numero necessario per circoscrivere i focolai. Le regioni in generale hanno fatto il loro lavoro. Oggi, secondo il ministero della salute e l’Iss, questo rapporto è pari a 1,5 ogni diecimila abitanti. Nel complesso, i tracciatori sul territorio sono 9.241. Eppure non bastano per i numeri di questi giorni, tenendo conto che per ogni caso positivo occorre contattare altre 15-20 persone per l’isolamento e il tampone.

Risultato: a settembre i casi identificati attraverso il contact tracing erano il 36% del totale mentre oggi sono solo il 28%. Scarso aiuto è arrivato dalla app Immuni, sviluppata proprio per alleggerire il lavoro del tracciamento. Negli ultimi 15 giorni l’hanno installata ben due milioni di persone. Ma la percentuale di italiani che la porta con sé non arriva al 15%.

di Andrea Capocci 

da il Manifesto del 17 ottobre 2020

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