Riaperture – Il campo di battaglia delle librerie
“Riaprire le librerie” is the new “State a casa”?
È bastato un titolo di “la Repubblica” on-line per scatenare l’apprensione e la rabbia all’interno di tantissime chat e gruppi social dei lavoratori delle librerie.
Sì, perché ieri sera il giornale di piazza Indipendenza pubblicava un articolo dal titolo: ‘Governo, proroga delle restrizioni fino al 3 maggio. Le librerie tra le poche deroghe. Conte: “Non possiamo rischiare”‘ dedicato al dibattito sulla cosiddetta fase 2 dell’emergenza Covid-19.
Da quel momento le comunicazioni social tra i lavoratori del libro sono esplose, mentre la notizia iniziava a rimbalzare puntualmente anche su altri siti di informazione.
“Riaprite le librerie!”. Era il 26 marzo, erano passati pochi giorni dalla chiusura totale del 12 marzo, quando per primo ci aveva provato, timidamente, il sempre pessimo Matteo Renzi.
La parola d’ordine però era piaciuta e aveva trovato subito molte sponde disposte a rilanciarla.
Su “il Manifesto” dell’1 aprile appariva un appello dal titolo molto eloquente – “Riapriamo le librerie” – che si chiudeva con moltissime firme del mondo della sinistra intellettuale e politica (e che la destra si divertirebbe a definire radical-chic) tra cui Gianrico Carofiglio e Nichi Vendola. “Il Manifesto” evidentemente non vedeva la contraddizione tra il pubblicare un tale appello e l’ospitare quotidianamente articoli molto duri (e giusti) contro il mondo padronale, il cui unico obiettivo era, ed è, quello di riprendere a fare affari.
Già l’articolo in questione aveva fatto arricciare il naso (per usare un eufemismo) a molti lavoratori e lavoratrici.
In tutto ciò, nessuno si è mai sognato di interpellare coloro che le librerie dovrebbero riaprirle, ovvero libraie e librai!
Agli appelli si aggiungevano le prese di posizione disperate dell’AIE – Associazione Italiana Editori che pur non chiedendo esplicitamente una riapertura lamentava un crollo del 70% del fatturato e l’istituzione di un fondo di sostegno al mondo dell’editoria.
L’editoria, va detto, nonostante lo stato di crisi perenne che la attanaglia da quasi un decennio e nonostante un’ulteriore ipoteca messa dall’ingresso sul mercato del libro da un colosso con pochi scrupoli come Amazon, continua a essere il primo mercato culturale italiano. Un mercato però, dove i lavoratori e i loro diritti sembrano venire sempre dopo: stipendi bassi, precarietà, mondo della distribuzione caratterizzato da vergognosi episodi di sfruttamento come la vicenda Ceva ha dimostrato. Questi sono solo alcuni dei giganteschi problemi del settore.
Ieri, ecco la nuova bomba.
A caldo, in serata, Luca Pantarotto – collaboratore di NN Editore e Minima&Moralia – scriveva un post che ci sentiamo di riprendere per intero:
“Questa cosa che la più grande urgenza del paese tutt’a un tratto sembra diventata la riapertura delle librerie – un paese che non dà al settore editoriale il benché minimo sostegno economico, che imbastisce campagne di promozione della lettura servendosi di una retorica romantica tardo-ottocentesca tanto zuccherosa che solo a guardarle ti viene il diabete, in cui il 96% dei titoli pubblicati non raggiunge le 1.000 copie vendute (ripeto: il 96% dei titoli pubblicati in Italia vende meno di 1.000 copie), in cui non c’è nessuna forma di tutela economica per una buona metà delle figure professionali della filiera, in cui si parla delle librerie usando metafore patetiche come “farmacie dell’anime”, in cui scrittori ed editori si permettono di firmare articoli e petizioni pensati per rimandare al lavoro un intero settore di persone che non ci si è mai sognati nemmeno una volta di interpellare per sentire il loro parere, in cui si pensa di proporre la riapertura delle librerie come occasione per rilanciare la lettura in un momento in cui comunque nessuno ci entrerebbe mai, in cui in definitiva l’intera faccenda è gestita da gente in totale fuga dalla realtà – questa cosa sarebbe quasi divertente, se non fosse imbarazzante”.
Il punto, a nostro parere, non è tanto la questione sicurezza, ma la questione politica.
Migliaia di lavoratori stanno continuando a lavorare da settimane in piena emergenza, primi tra tutti quelli dei supermercati, e sono pertanto stati messi in campo tutta una serie di accorgimenti per garantirne la sicurezza. La riapertura delle librerie, da questo punto di vista, non cambierebbe moltissimo.
Il problema, dicevamo, è politico. L’eventuale riapertura delle librerie a metà aprile creerebbe inevitabilmente un precedente, dando il via a un effetto catena di riaperture in una fase in cui, inutile nasconderselo, i morti e i contagiati non stanno calando (ieri i deceduti sono stati 610, che portano il totale ufficiale a 18.279). Va ricordato che la Cina ha fatto 76 giorni di lockdown totale, noi siamo a meno di un mese e con moltissime eccezioni.
Questo il centro della questione.
Una questione non da poco.
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