Sardine & movimento

20 anni fa in queste ore orgiasticamente il “Millennium bug” scaldava i sogni hacker mentre ancora negli occhi avevamo le immagini di Seattle e la nascita di fatto del “movimento dei movimenti”. “Impero” di Hardt e Negri stava per uscire, e il sogno di poter fermare la globalizzazione neoliberista era più di una possibilità.

20 anni dopo lo scenario mondiale è marcato dalla sconfitta storica e politica delle differenti “sinistre” di governo e dalle nuove insorgenze metropolitane, indigene, e femministe. Abbiamo visto studentesse e studenti imporre il tema dell’ambientalismo in tutto il mondo, e anche laddove l’insorgenza green porta solo il rispetto degli accordi della COP21 di Parigi come proposta mostra la distanza  del movimento dai governanti di ogni colore. Gli ultimi mesi hanno visto interessanti, nonché costituenti, ribellioni in Ecuador, Cile, Francia, Tunisia, Algeria, Sudan e India. Resistenze in forme differenti in tanti altri punti del calendario.

L’anomalia spesso rappresentata dall’Italia è confermata in questa fine 2019. Quando si pensava che solo la presenza di Friday For Future, e locali forme d’attivismo in difesa del territorio, fossero elemento di discontinuità sono comparse le Sardine. Per un mese le piazze d’Italia si sono riempite. Non si sono riempiti solo i grandi centri urbani, soprattutto hanno preso parole le piazze delle città medie, la vera forma organizzativa del nostro paese. Milano, Roma e Napoli, nella loro grande differenza, restano “altro” rispetto alla grande provincia.

Da nord a sud da est a ovest, le sardine hanno manifestato nel nome dell’antifascismo e del superamento dell’odio. Hanno portato una voce diversa dentro al discorso egemone che sull’asse Salvini–Meloni–destre radicali ha sdoganato i bassi istinti razzisti.

Di fatto un discorso conflittuale che però ha cercato di basarsi sulla negazione del conflitto e quindi della politica. La politica, che piaccia o meno, è conflitto. Scontro d’idee, prospettive, obiettivi, direzione. Non si può far politica difendendo lavoratori e lavoratrici e allo stesso tempo garantendo gli interessi del padrone. Non si può essere anti-razzisti facendo accordi con la Libia. E così via.

La “rivoluzione gentile” evocata dalla Sardine è stata tra le parole d’ordine del governo Pisapia a Milano, e comunque si leggano quei cinque anni di governo cittadino, tutto è stato tranne che pacifico e pacificato, basti pensare a sgomberi, trasformazioni urbane, accondiscendenza all’idea di città di Expo, oltre che all’accellerazione sulle politiche del decoro.

La politica è quindi conflitto, e le Sardine lo negano. Almeno per ora. Certo che se ci fermassimo a guardare un fenomeno sociale solo ed esclusivamente guardando al gruppo dirigente, ai quattro fondatori, faremmo un grande errore. Occorre anche essere chiari, sgombrando il campo, le Sardine nascono (e resteranno) dentro le compatibilità del sistema capitalista e in dialogo con una parte del PD bolognese. Le Sardine sono il risultato degli ultimi 20 anni di confusione culturale imposta dagli interessi del capitalismo e nata teorizzando il fallimento e superamento delle ideologie.

Ma il loro divenire ha sicuramente superato in quantità e qualità le maglie del PD, e ha invaso il campo del vuoto politico a sinistra. Il vuoto dei partiti e dei sindacati. E andando anche un po’ più in la i limiti lessicali, comunicativi, e d’analisi dei movimenti sociali. Le Sardine riempiono un vuoto, mettono in piazza una necessità d’esistenza. Il rifiuto dell’odio come collante a favore del dialogo. Le Sardine sono i quattro fondatori e le loro ramificazioni cittadine, ma le Sardine soprattutto sono le migliaia di persone che hanno riempito le piazze e a Roma hanno costretto Mattia Santori in piazza a chiedere l’abolizione dei decreti (ora leggi) Salvini e a confermare questa posizione con l’assemblea nazionale del giorno dopo a Spin Time.

Certamente la richiesta è assorbile dal PD, ma mostra come la dimensione assunta dal fenomeno sociale non sia del tutto controllabile. Quello spazio esiste, e in qualche modo è una boccata d’ossigeno per tutte e tutti, non perché penso che sia vero “che le piazze piene siano sempre bene” ma perché le piazze piene certamente sono un qualcosa che i partiti di oggi non sanno gestire e portano interessanti cortocircuiti.

In potenza il discorso delle Sardine potrebbe essere un grosso nemico dei movimenti sociali se la quota PD avesse la forza di imporre la demonizzazione del conflitto sociale e la normalizzazione della piccola politica di palazzo come unica forma di fare. Ma se questo non dovesse accadere quello resterebbe uno spazio di contraddizione enorme, dove i movimenti possono nuovamente tornare a parlare, discutere e proporre.

Oggi, d’altra parte come ieri, gli spazi attraversabili non sono pieni di “compagni e compagne” ma di cuori, cervelli e corpi. Sta alla pratica rivoluzionaria saperli scaldare, muovere e attivare. Sta alla stessa pratica non lasciare il campo al PD e gli altri attori al servizio del capitalismo. Gli spazi vanno occupati con intelligenza e perseveranza creando nuove soggettività, rompendo l’egemonia culturale e la normalizzazione del reale.

Andrea Cegna

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