Francia – Carcere e Stato d’Urgenza si scontrano sulla pelle dei detenuti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dalla Francia un articolo sulle agitazioni dei secondini francesi e sulle pesanti conseguenze sui detenuti.

Giovedì 11 Gennaio, nel carcere di Vendin-le-Veil (Pas de Calais), un detenuto armato di forbici e di un coltello aggredisce i 3 sorveglianti penitenziari che lo stavano accompagnando ad effettuare una telefonata.

La nota di colore immediata di questa storia, che si svolge tutta su suolo francese, è che il detenuto è uno particolare: Christian Ganczarski è di nazionalità tedesca, detenuto in Francia in relazione alla supposta partecipazione all’attentato terroristico di Djerba del 2002. Secondo i presenti si sarebbe lanciato addosso ai sorveglianti al noto grido “Allah Akhbar” (vale la pena di riportare la descrizione del gesto fatta da un rappresentante del sindacato Ufap: “Il est sorti comme un fou en criant ‘Allahou akbar’”, letteralmente, “E’ uscito urlando come un matto Allahou akbar”).
Christian Ganczarski attendeva il 24 Gennaio la liberazione dal carcere di massima sicurezza di Vendin-le-Veil, in seguito alla quale avrebbe dovuto essere estradato negli Stati Uniti per essere sentito nel corso di un’inchiesta relativa agli attentati dell’11 Settembre 2001. Secondo diverse fonti sarebbe stato questo l’elemento scatenante: l’aggressione sarebbe stata messa in atto allo scopo di evitare l’estradizione.

La vicenda è rilevante perché è piuttosto fumosa: alcuni secondini avrebbero ascoltato una telefonata del detenuto nella quale in qualche modo preannunciava le proprie intenzioni alla moglie, informazione che però non avrebbero avuto il tempo di verbalizzare, della quale pertanto non resta traccia scritta; ciò nonostante, il soggetto viene messo in isolamento e vengono adottate misure di sicurezza ulteriori nei suoi confronti. Il lunedì precedente all’aggressione queste misure sarebbero state alleggerite, elemento che secondo diversi rappresentanti sindacali avrebbe permesso il verificarsi dell’aggressione.

Com’è, come non è, la Ministra della Giustizia Nicole Belloubet decide di recarsi sul posto martedì 16 Gennaio.
Le principali sigle sindacali (Ufap e CGT Pénitentiaire) chiamano ad un blocco simbolico di circa 20 minuti in tutti gli istituti di pena della nazione per il venerdì, cui rispondono parecchie realtà.
Nella giornata di domenica i sindacati maggioritari dichiarano un blocco totale delle attività per il lunedì successivo, 15 Gennaio, a partire dalle ore 6.00 del mattino, da portare avanti in tutti i centri penitenziari. 
Anzi, a voler essere precisi e a lasciare lo spazio che meritano alle note di colore, Grégory Strzempek, responsabile locale dell’Ufap-Unsa, chiede proprio ai suoi colleghi da tutto il paese di partecipare ad un’azione volta a “bloccare l’arrivo” della Ministra alla prigione di Vendin-le-Veil: i toni impiegati sono rilevanti e rivelatori, visto che qui si stanno parlando la Ministra della Giustizia ed appartenenti alle forze dell’ordine.

La direzione dell’amministrazione penitenziaria fa sapere lunedì, a metà giornata, che due terzi dei 188 istituti detentivi francesi hanno preso parte alla protesta [A questo indirizzo si trova anche una timeline della giornata, ricca di fotografie e di episodi minori ma non per questo meno interessanti]. Verso le 18.00 viene ribadito che la protesta continuerà anche l’indomani.
Di fatto le proteste continuano per tutta la settimana, e sempre più penitenziari vi prendono parte, mentre continuano gli incontri tra sindacati e Ministero della Giustizia.

Nel concreto, gli agenti della penitenziaria attuano il blocco degli ingressi agli istituti di pena, valido per i lavoratori ma anche per le famiglie in visita, vengono sospese le attività interne (restano garantite solo la distribuzione dei pasti e quella dei medicinali) e si verifica qualche pittoresco rogo di barricate esterne ai cancelli, giusto per chiarire il messaggio anche agli agenti della Gendamerie (ed ai loro lacrimogeni) inviati dal Governo a presidiare la situazione. [Scontri tra CRS e manifestanti fuori dalla prigione di Fleury Merogis].

Cosa chiedono?

Tre gli assi fondamentali delle richieste avanzate dal personale penitenziario: più sicurezza, più impiego, una trasformazione del sistema di indennizzo e delle responsabilità dei direttori degli istituti di pena.
Sicurezza: gestione speciale e strutture separate per i detenuti “radicalizzati” e per quelli considerati pericolosi per il personale, soppressione dell’articolo 57 della legge penitenziaria che regolamenta le perquisizioni in cella, equipaggiamenti di ultima generazione (taser obbligatori, giubbotti antiproiettile, manette moderne), partecipazione indispensabile del personale alla presa di decisioni sulle azioni da intraprendere nei confronti dei detenuti, obbligo di ammanettamento permanente dei detenuti considerati pericolosi..
Impiego: aumento del personale, obbligo di squadre composte da almeno due soggetti, o tre nel caso di azioni di movimento detenuti, fine degli straordinari infiniti..
Indennizzo e responsabilità dei direttori: vengono richiesti benefit maggiori per il lavoro notturno o festivo nonché la tredicesima mensilità, nonché l’introduzione di una responsabilità diretta penale ed amministrativa dei direttori d’istituto in materia di decisioni concernenti la sicurezza del personale.

Il comunicato di rivendicazioni dell’Ufap-Unsa si chiude con un appello a continuare la mobilitazione anche mercoledì 23 Gennaio a partire dalle ore 6.00 “con le stesse modalità: “BLOCCO TOTALE DELL’ISTITUZIONE“.

Quindi?

Quindi niente più attività, come si diceva, ma anche niente più apertura delle celle, niente più uscite, niente più cortile, niente più visite di parenti e amici, niente più incontri familiari, niente più pacchi né spesine, niente più. Niente più che la chiusura delle celle a doppia mandata 24 ore al giorno, in celle di 9m2 dove si vive in tre, in istituti che sono famosi nel mondo (nel poco mondo che se ne interessa) per le condizioni inumane di trattamento (Fresnes e Les Baumettes di Marsiglia tra le altre), niente più servizio medico. Eh sì, perché alla fine se cibo e medicinali dovevano essere garantiti, nel concreto non è così.

France3 riporta le parole di un detenuto di Anneoullin che spiega come abbiano ricevuto cibo avariato e siano rimasti senza pane, visto che quest’ultimo deve essere consegnato dall’esterno, e ribadisce che la pressione fisica e psicologica, a più di dieci giorni dall’inizio del blocco totale, sia insostenibile per i detenuti: “Anche in questa che è una prigione tranquilla sento battere alle porte, urlare alle finestre. Psicologicamente è intollerabile, in questo senso lo sciopero dei sorveglianti scatenerà della violenza”.
Aggiunge che a parere suo questa pratica del blocco totale delle attività è contraria all’idea di reinserimento sociale che dovrebbe stare alla base del concetto moderno di detenzione del condannato, e che le conseguenze sui detenuti “spinti allo stremo” potranno solo peggiorare la situazione anche per i sorveglianti. Interessante è anche il fatto che rilevi il problema del basso grado di formazione del personale, diciottenni al primo impego in certi casi: è lampante che un dato come questo non possa che generare mostri.

A Nantes, ad Havre, a Riom, la situazione è la stessa: chi sta pagando di più, ancora una volta, sono i detenuti e le loro famiglie: famiglie che hanno percorso anche 650km per vedersi rifiutare la visita familiare, incontri con gli avvocati sospesi ad libitum, detenuti il cui trasferimento medico è impedito perché nessuno è lì per trasferirli, con conseguenze di una gravità intuibile.
La sezione francese dell’OIP (Osservatorio Internazionale sulle Prigioni) denuncia questa situazione insostenibile e, in modo simile a quanto espresso da diversi detenuti, dichiara che “queste azioni […] non possono che aumentare la sofferenza intramuraria e, con questa, il rischio del perpetrarsi delle violenze che il personale aveva intenzione di denunciare” [“ces actions – inédites dans la plupart des prisons bloquées – ne peuvent qu’augmenter la souffrance intramuros et avec, les risques de violences que les personnels entendent pourtant dénoncer”].

I detenuti cominciano a rispondere, a Rennes venerdì pomeriggio in 76 hanno ritardato il rientro dalla breve passeggiata all’aria che gli era stata garantita, dando luogo ad una protesta pacifica nel cortile.

Due giorni fa un collettivo di detenuti di Fleury Mérogis ha pubblicato un comunicato molto interessante che racchiude non solo il racconto del peggioramento delle condizioni quotidiane di detenzione ma anche un appello a tutte quelle soggettività che si sono mobilitate contro le riforme della legge sul lavoro nel 2016 e che quotidianamente si oppongono alla “massiva precarizzazione delle vite” che porta troppi a scegliere tra “miseria e prigione”.

I colloqui tra sindacati ed istituzioni continuano, mentre le celle restano chiuse, e le persone continuano a camminare in cerchio, in tre, per 9 metri quadri.

Mrt Ticcks

 

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