Genova 2001 non è finita: il punto sui processi
Sono ormai passati 12 anni dalle giornate genovesi del Luglio 2001.
Ed è passato un anno dalle sentenze definitive emesse dalla Cassazione nei confronti dei manifestanti accusati di devastazione e saccheggio e per ii poliziotti accusati dell’irruzione alla scuola Diaz e del successivo massacro di persone innocenti.
In questo anno altre cose sono successe.
E’ stata pronunciata la sentenza di Cassazione per le torture inflitte ai fermati portati alla Caserma di Bolzaneto e si è capito che tutti le violenze compiute dalla Forze dell’Ordine in quelli che vengono definiti i “fatti di strada” rimarranno sostanzialmente impunite.
L’unica eccezione è il procedimento relativo alla carica contro i pacifisti della Rete Lilliput ed al successivo pestaggio di Piazza Manin del pomeriggio del 20 Luglio 2001 da Parte del Reparto Mobile di Bologna che ha visto le condanne di 5 poliziotti per l’arresto illegale di 2 manifestanti spagnoli e le dichiarazioni false con cui l’arresto era stato motivato.
Anche il celebre episodio del ragazzo minorenne massacrato a calci a pochi passi dalla Questura di Genova nel pomeriggio del 21 Luglio da un drappello di poliziotti in borghese nel quale svolge parte attiva l’allora vice-capo della Digos di Genova Alessandro Perugini è di fatto finito nel nulla tra indulto e prescrizioni.
Ma vediamo più approfonditamente gli esiti dei vari processi, ricordando che l’omicidio di Carlo Giuliani in Piazza Alimonda è rimasto impunito:
PROCESSO AI MANIFESTANTI
All’alba del 4 Dicembre 2002, su mandato della magistratura genovese si svolge una grossa operazione di polizia in tutta Italia con provvedimenti di custodia cautelare in carcere per 9 dei 23 indagati. Le accuse sono di devastazione e saccheggio (reato che prevedono pene da 8 e 15 anni), incendio, fabbricazione, porto e detenzione di materiale esplosivo, porto e detenzione di arma impropria, resistenza e violenza a pubblico ufficiale.
Il processo inizia nel 2004 con un totale di 25 imputati.
I fatti contestati vanno dalle prime azioni in Piazza Paolo da Novi (concentramento del Network per i Diritti Globali) all’assalto al carcere di Marassi, dalla carica dei Carabinieri al corteo della Disobbedienza in Via Tolemaide ed i successivi scontri agli incidenti del pomeriggio del 21 Luglio in zona Foce.
Il 14 Dicembre 2007 24 manifestanti vengono condannati a 110 anni circa di reclusione per i fatti del Blocco Nero (così nella sentenza) e per quelli di Via Tolemaide. 10 vengono condannati devastazione e saccheggio, altri 13 per danneggiamento.
La sentenza di primo grado evidenzia l’illegittimità della carica del Battaglione Lombardia dei Carabinieri contro il corteo della Disobbedienza in Via Tolemaide nel pomeriggio del 20 Luglio. Il corteo era infatti autorizzato fino a Piaza Verdi e viene caricato immotivatamente dai CC 500 metri prima.
Questo elemento fa cadere una serie di reati contestati ai manifestanti che si erano scontrati in Tolemaide e nelle vie limitrofe.
Nella sentenza d’appello i 10 condannati accusati di devastazione e saccheggio vengono condannati a pene ancora più dure rispetto alle condanne di primo grado per un totale di 98 anni e 9 mesi di carcere. Condanne inusitate se si considera che nessun danno è stato arrecato a persone fisiche, ma solo ad oggetti. In Italia molte sentenze per omicidio hanno visto pene minori.
Nel Luglio del 2012 la Corte di Casazione ha riconosciuto i manifestanti colpevoli del reato di devastazione e saccheggio. In particolare ha confermato in toto due condanne, Ines Morasca (6 anni e 6 mesi) e Alberto Funaro (10 anni). Altre tre condanne sono state ricalibrate, ma di fatto confermate: Francesco “Jimmy” Puglisi (14 anni), Marina Cugnaschi (12 anni e tre mesi), Vincenzo Vecchi (13 anni e tre mesi). Altre cinque posizioni sono state rinviate ad un nuovo processo d’appello.
Nei giorni successivi è iniziata la detenzione di Alberto e Marina. Vincenzo e Jimmy si sono resi irreperibili. Purtroppo, nel Giugno del 2013, Jimmy è stato arrestato a Barcellona, in Spagna, ed incarcerato nella sezione di massima sicurezza del carcere della città spagnola insieme ai prigionieri dell’ETA ed agli islamici. Sarebbe notizia di settimana scorsa l’avvenuta estradizione di Jimmy in Italia.
PROCESSO PER IL MASSACRO DELLA SCUOLA DIAZ
Nella notte tra il 21 ed il 22 Luglio 2001 centinaia di poliziotti guidati dal famigerato VII Nucleo del Reparto Mobile di Roma comandato da Vincenzo Canterini e dal suo vice Michelangelo Fournier facevano irruzione nella scuola Diaz (e simultaneamente nel media-center di fronte) che fungeva da dormitorio per manifestanti gestito dal Genova Social Forum.
L’irruzione portò al fermo di 93 attivisti di cui 61 feriti, dei quali 3 in prognosi riservata ed uno in coma. Tutti furono inizialmente accusati di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio. In un’allucinante conferenza stampa tenutasi il giorno successivo in Questura a Genova furono mostrate alla stampa le prove che avrebbero dovuto dimostrare che la Diaz altro non era se non il quartier generale del Black Bloc. Si trattava di varie armi improprie e, come prova regina furono mostrate due bottiglie molotov . La squallida montatura poliziesca sosteneva inoltre che i 61 feriti avevano “ferite pregresse” non causate dal blitz poliziesco.
Il castello di bugie iniziò ben presto a sgretolarsi distrutto da testimonianze e filmati.
Si scoprì che le armi erano state sottratte ad un cantiere di ristrutturazione presente nella scuola.
Si scoprì che le molotov erano state trovate in Corso Italia e portate dentro la Diaz dai poliziotti come falsa prova.
Si scoprì che i poliziotti si erano resi responsabili nei corridoi della scuola di un massacro di dimensioni cilene contro gente innocente e, cosa ancor più importante, indifesa. Lo stesso vice-comandante del Reparto Mobile di Roma Michelangelo Fournier definirà il pestaggio una “macelleria messicana”.
La cautissima sentenza di primo grado del 2008 comminò tredici condanne, per un totale di 35 anni e sette mesi (108 gli anni chiesti dall’accusa), e pronunciò sedici sentenze di assoluzione. Le condanne colpivano solo figure minori.
Il processo di appello ribaltò la sentenza di primo grado emettendo un coraggioso dispositivo che condannava 25 imputati su 27. Tra i condannati tutte le più alte figure della Polizia italiana presenti sulla scena la notte del massacro.
Il 5 Luglio 2012 la Cassazione confermava in via definitiva le condanne. Convalidate quindi le condanne per i massimi dirigenti Francesco Gratteri (4 anni) capo del Dipartimento Centrale Anticrimine della Polizia e Giovanni Luperi (4 anni) vicedirettore Ucigos ai tempi del G8, all’epoca della condanna capo del Reparto Analisi dell’Aisi. Tra gli altri condannati: Gilberto Caldarozzi (3 anni e 8 mesi) e l’allora ras del reparto di Roma Vincenzo Canterini.
Prescritte le lesioni gravi contestati a nove capisquadra del VII Nucleo Mobile di Roma.
A differenza dei manifestanti che sconteranno lunghissime pene detentive, nessuno dei poliziotti condannati, tra indulti e prescrizioni, sconterà mai nulla.
Come a dire, citando le tante scritte su tanti muri di tante città italiane che: “Vale più una vetrina rotta che una vita spezzata”.
PROCESSO PER LE TORTURE DI BOLZANETO
“L’Italia è un Paese in cui si pratica la tortura, ma si fa finta che non sia così”.
Con una citazione di Lorenzo Guadagnucci, giornalista del Resto del Carlino, tra i massacrati della Diaz, si può aprire il paragrafo dedicato all’ultimo processo legato al G8 genovese giunto a conclusione.
La Caserma di Bolzaneto, utilizzata generalmente per ospitare il Reparto Mobile di Genova, nei giorni del G8 era stata adibita come centro di raccolta e smistamento dei fermati durante gli scontri.
In quei giorni, anche grazie ad una folle direttiva della Procura di Genova che deferiva la possibilità dei fermati di conferire coi propri avvocati, la caserma diverrà un vero e proprio girone dantesco con una serie di vessazioni e violenze inenarrabili messe in atto contro i fermati.
Tra queste ne elenchiamo solo qualcuna:
- l’obbligo di stare in piedi a mani alzate con la faccia contro il muro per ore ed ore senza la possibilità di andare in bagno
- il tradizionale “corridoio”, ancestrale strumento d’accoglienza dei fermati delle manifestazioni nelle caserme e questure italiane nel quale i fermati devono avanzare tra due file di agenti che li prendono a calci, pugni e manganellate
- botte nelle camere di sicurezza
- spray urticante spruzzato dentro le celle dove erano ammassati i manifestanti fermati
- piercing strappati
- utilizzo del manganello per minacce sessuali contro le donne in stato di fermo
- insulti sessuali, razzisti o politici
- ecc. ecc. ecc.
Grandi protagonisti delle sevizie di Bolzaneto erano gli agenti del GOM della Polizia Penitenziaria, tra cui il tristemente noto dottor Toccafondi.
Il processo di primo grado terminava con 15 condanne (variabili tra i 5 mesi e i 5 anni, per un totale di circa 24 anni) e trenta assoluzioni.
Come per la Diaz, la sentenza d’appello, molto più coraggiosa, emetteva 44 condanne.
La prescrizione salverà però la quasi totalità degli imputati da condanna certa.
14 Giugno 2013 la sentenza della Corte di Cassazione ha in parte confermato la sentenza di appello emettendo 7 condanne riducendo però i risarcimento dovuti in sede civile.
Amnesty International ha sottolineato l’importanza della sentenza, che riconosce che a Bolzaneto vi furono “gravi violazioni dei diritti umani”.
Da notare il fatto che, nonostante i fatti di Bolzaneto, nonostante i trattati e le convenzioni internazionali firmate dall’Italia, nel nostro paese il reato di tortura latita ancora clamorosamente dal codice penale.
LINK CONSIGLIATI:
- Devastazione e saccheggio, anatomia di un reato
- Il film Diaz
- http://www.supportolegale.org/
- http://www.processig8.org/
- Filmati sul G8 di Genova utilizzati nei processi
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