Ribellione e conflitti: la specificità napoletana

fiume in piena!!!!!!!!!

 L’autunno ancora in corso ha messo in luce diverse lotte che nel panorama lugubre della crisi provano a costruire un orizzonte              diverso, fatto di diritti, dignità e democrazia. Da nord a sud, da est a ovest le lotte sociali hanno provato a battere il proprio ritmo, avverse a qualsiasi forma di accettazione dell’austerità e delle sue verità dogmatiche.

 Abbiamo deciso come Milano In Movimento di addentrarci nella complessa situazione napoletana, che durante l’autunno ha   saputo mettere in mostra un ventaglio di lotte radicali e radicate, per approfondire insieme le sfumature di percorsi che hanno il sapore vero di battaglie costruite con passione e dedizione nel coniugare gli elementi del conflitto e del consenso.

 Lo faremo conversando con Eleonora De Majo, attivista napoletana dello spazio Mezzocannone Occupato, impegnata in questi anni nelle lotte sociali del suo territorio e non solo, dai saperi ai migranti passando per il grande tema del biocidio.

1) Ciao Eleonora, partiamo da una domanda che appare quasi scontata: in questo autunno tutti abbiamo seguito in maniera appassionata la lotta di un popolo che non vuole arrendersi ad un destino nefasto per la propria terra, un destino che non si vuole fatto di morte, disperazione e devastazione ambientale. Raccontaci un po’ la genealogia di questo percorso contro il biocidio, come nasce, si sviluppa e le difficoltà che ha potuto incontrare.

Per rispondere efficacemente partirei da una prima considerazione: “biocidio” è un neologismo, oggi divenuto main stream, inventato ed introdotto proprio da una coalizione informale di comitati che si battevano da anni contro l’apertura di discariche ed inceneritori in Campania, nonché contro lo sversamento di rifiuti illegali e tossici. Coniare un termine collettivamente ( e fuggire le banalizzazioni dei giornalisti che spesso al sud arrivano con il piglio etnografico) significa costruire automaticamente un punto di vista popolare su una vicenda sulla quale non solo i più importanti media del paese, ma anche tanta politica partitica hanno provato  e stanno provando a speculare. Ecco perché noi tendiamo a ribadire sempre che la stessa definizione di “terra dei fuochi” è in parte insufficiente ed in parte fuorviante, perché sposta l’attenzione su uno solo dei molteplici fenomeni di avvelenamento delle nostre zone, quello più esplicitamente criminale, obliando quella che è invece la genealogia del rapporto tra la holding camorra, il business dei rifiuti, lo Stato, l’uso dei poteri emergenziali e le mille forme di shockterapy che hanno elaborato e sperimentato in Campania negli ultimi venti anni.

Cosa è successo quest’autunno? Un’interrelazione tra una serie di drammatiche concause, che ha permesso la scrittura di una narrazione collettiva per una macro-area metropolitana e rurale che si estende dalla provincia di Caserta fino alla città di Napoli. La proposta di apertura di un nuovo inceneritore a Giugliano, uno dei comuni con il più alto tasso di incremento di malattie tumorali, uno dei comuni maggiormente mortificato proprio dalla gestione “legale” de ciclo dei rifiuti. La risposta immediata del territorio e dei comuni circostanti. Cortei in provincia che hanno da subito contato una partecipazione inedita: decine di miglia di persone anche in città tristemente note alla cronaca come Casal di Principe. E’ stato da subito evidente che qualcosa era scattato nelle teste delle centinaia di migliaia di abitanti del casertano e del napoletano. Questo qualcosa ha un sapore orribile e non sempre si trasforma in voglia di riscatto e di risposta politica: è la diffusione drammatica della morte per cancro, un fenomeno che ormai non risparmia nessuna famiglia e che ha cominciato a mietere un numero impressionante di vittime  anche tra i bambini.

Le madri di questi bambini hanno cominciato a scendere in corteo con le immagini dei figli scomparsi, chiedendo con determinazione che fosse fatta giustizia per quelle morti non casuali.

I comitati attivi da anni su quei territori e che si erano impegnati contro vicende singole eppure drammatiche si sono trovati così investiti in una battaglia complessiva: tutti quei siti contro cui avevano strenuamente lottato e che poi erano stati aperti impunemente, insieme con il grande business dello smaltimento dei rifiuti industriali, avevano negli anni provocato un’epidemia: il biocidio appunto.

2) Il “fiume in piena” del 16 Novembre, da grande corteo annunciato, ha letteralmente travolto le più rosee aspettative. Un vera marea umana ha solcato il territorio di Napoli dimostrando che il percorso iniziato ormai da anni è riuscito a costruire qualcosa di solido e coinvolgente. La domanda è: adesso, come proseguire nel percorso intrapreso per renderlo ancora più forte e incisivo?  Come affrontare il nodo di un decreto sulla cosiddetta “terra dei fuochi” che dimostra una volta di più l’insufficienza e la sordità delle istituzioni?

Il 16 novembre ci ha sorpresi nei numeri ma non nella qualità. Attraversando quotidianamente le strade della città e della provincia avevamo il sentore che quella era diventata la data comune per manifestare insofferenza e rabbia verso una situazione giunta ad un punto di non ritorno . Sapevamo anche che la forza del 16 risiede in un lavoro quotidiano che i comitati hanno fatto paese dopo paese,  quartiere per quartiere, strada per strada. Basti pensare che il Comitato Fuochi, attivo nel basso casertano, ha portato a Napoli 100 pullman. Questo non è un movimento metropolitano. La sua capillarità è la sua forza ed insieme la sua debolezza. Oggi crediamo che bisogna proseguire questo cammino valorizzando innanzitutto questo radicamento territoriale, assolutamente inedito nei grandi movimenti degli ultimi anni. Azioni congiunte, momenti comuni che mandano gli stessi messaggi da aree disparate, sono alcune delle tattiche che pensiamo di mettere in campo nei prossimi mesi.

Tuttavia una cosa è chiara: dal 16 Novembre è venuta fuori una piattaforma rivendicativa precisa alla cui scrittura hanno contribuito tutti i comitati territoriali. Per noi né il governo né le istituzioni locali hanno credibilità su questi temi se non partono da quei 10 punti, ineludibili.

Qualunque apertura a chi riteniamo responsabile della tragedia che stiamo vivendo è un errore imperdonabile perché bypassa la volontà della moltitudine che ha costruito il 16 novembre. Il decreto è insufficiente nel merito ma è soprattutto insufficiente perché non ha preso in considerazione quelle istanze, ampliando ancora di più la faglia  tra cittadini e cittadine ed istituzioni. Sappiamo evidentemente che quei punti sono inaccettabili per il Governo e per la Regione perché minano gli interessi del business legale dei rifiuti, non accontentandosi solo di punire i colpevoli degli incendi.

3) Possiamo dire che esista una relazione diretta fra lo straripante movimento contro il biocidio e il protagonismo autunnale avuto da Napoli nel panorama delle lotte?

Possiamo sicuramente dire che i movimenti napoletani oggi non possono non fare i conti con quanto accaduto il 16 Novembre e non possono sottrarsi dalle stesse contraddizioni a cui è esposto un movimento così composito. Il che non vuol dire trovare connessioni forzate, ma dimostrare che tra la crisi sociale e la crisi ambientale dei nostri territori c’è una connessione evidente, quella che mostra come sia esistita una sistematica volontà di trasformare la terza città di Italia in una big social dump .

4) Opporsi alla distruzione di un territorio e di chi lo vive vuol dire parlare il linguaggio dei diritti, battersi per una dignità sociale che non conosca esclusioni di nessun tipo. Sul territorio di Napoli sono da tempo attivi percorsi che guardano alla situazione drammatica in cui versano i migranti, percorsi che attraverso una quotidianità fatta di lotta, relazioni, sport e socialità provano a disegnare nuove prospettive di vita e di integrazione. Dall’Afro-Napoli United allo spazio occupato di recente, raccontaci un po’ l’essenza e lo spirito di queste esperienze.

Premetto che a Napoli i movimenti antirazzisti hanno  sempre fatto una gran fatica a mettere in piedi un intervento strutturato sul tema dei diritti dei migranti. Le motivazioni sono tante e complesse e riguardano soprattutto il tessuto sociale e produttivo informale nel quale i clandestini vengono inseriti al momento dell’arrivo e che li allontana dai flussi della città.  A partire da quest’anno noi abbiamo intrapreso due percorsi, legati e tuttavia distinti: la scuola di italiano Nablus che ha sede a Mezzocannone occupato e la squadra anti-razzista Afro-Napoli United.  I due percorsi si incrociano innanzitutto nell’intento: quello di fornire servizi e spazi di socialità a chi è escluso dai circuiti formali dello Stato di diritto perché clandestino. L’Afro-Napoli nello specifico è l’occasione per veicolare, attraverso il calcio, i contenuti vivi e reali dell’anti-razzismo e dello sport popolare. Una scommessa che per ora da’ ottimi risultati.

Sulla scorta di questo entusiasmo e delle discussioni attorno al “diritto alla città” che hanno  animato in questi mesi gli spazi occupati di “nuova generazione” , abbiamo deciso di prendere parte al ciclo di occupazioni da cui è investita una delle due gallerie storiche della città, la Galleria Principe, i cui locali storici erano prevedibilmente stati lasciati all’incuria e all’abbandono. Abbiamo deciso di portare in quel percorso, accanto a chi apre spazi di esposizione artistica e agli studenti,  la voce di chi è senza diritti, escluso dalla cittadinanza, convinti che il terreno metropolitano debba essere proprio il teatro di questa tensione costante. Così è nato S.U.D. , lo spazio urbano dei diritti.

5) Parliamo ora di un altro tema importante, quello dei saperi e della formazione, quello che riguarda una dimensione fatta di giovani stretti fra l’incudine di una formazione dequalificata, sempre più elitaria e condizionata dalle logiche del mercato, e il martello della precarietà lavorativa come condizione diffusa. Come è stato ripartire dopo la fine del grande movimento che si è opposto alla riforma Gelmini, come vi siete mossi per costruire modelli alternativi all’università riformata?

Ci siamo mossi soprattutto utilizzando massicciamente le pratiche dell’autogestione e dell’occupazione, mostrando ai vertici dell’università controriformata che anche nei palazzi istituzionali, sotto la finestra del Rettorato, era possibile occupare l’abbandono. Così due anni fa è nato Dada (il Dipartimento autogestito delle alternative). Un laboratorio di auto-formazione che, proprio in questi giorni, sta ripartendo con un manifesto di interni e un gruppo misto di studenti ricercatori e dottorandi, pronti a innervare l’università di esperimenti di sapere vivo.

L’esperienza di Dada ha imparato e mutuato tanto dai laboratori di auto-formazione sparsi per l’Italia, ma si è contestualmente ritagliata uno spazio proprio che le permettesse di occuparsi di temi legati alla complessità del territorio che abitiamo. Per citare solo una di queste occasioni mi viene da pensare ad un’iniziativa che organizzammo durante l’ultima faida di camorra, più di un anno fa. L’iniziativa si chiamava appunto “Camorra?” e provava a metter insieme punti di vista distanti che nell’Accademia non avrebbero mai avuto cittadinanza. Mettemmo attorno allo stesso tavolo i parenti delle così dette “vittime innocenti” e di quelle invece considerate ” colpevoli”, docenti di diritto privato, esponenti delle associazioni e dei movimenti anti-camorra attivi sui territori della area-nord. Ne venne fuori un dibattito senza tabù e proficuo, dal quale sono nati progetti e collaborazioni che ancora oggi ci permettono di prendere efficacemente parola su temi assai complicati.

6) Proprio in relazione al tema dell’università e dei saperi, nelle ultime settimane studenti, dottorandi, ricercatori e professori hanno messo in luce una sensibile volontà di continuare a opporsi al processo di smantellamento dell’università pubblica che, riforma dopo riforma, prosegue nel nostro paese. Aiutaci a capire meglio cosa stia accadendo, i passaggi recenti e quali sviluppi si prospettino.

Sta accadendo semplicemente che si sta ponendo, finalmente pubblicamente, un tema che i movimenti studenteschi impongono all’agenda dal 2008. I criteri aziendalistici del merito, oltre ad essere sbagliati perché portatori di una dequalificazione profonda del sapere, mortificano irrimediabilmente gli Atenei del sud, costringendoli alla bancarotta, alla chiusura, o alla “razionalizzazione” costante. La Ministra Carrozza, iscrivendosi pienamente nel solco tracciato da Gelmini e Profumo ha esplicitato questa volontà con un decreto sulle assunzioni che favoriva incredibilmente il suo Ateneo di provenienza e che di fatto impediva a tutti gli Atenei del Sud di poterne usufruire.

Al seguito di questo ennesimo atto criminoso nei confronti dell’Università i rettori del sud hanno convocato un  vertice, a cui era stata invitata anche la Ministra. Il vertice avrebbe dovuto tenersi a Napoli ed invece, per chiare ragioni di “ordine pubblico” è stato spostato a Roma.

Questa questione, così viva e grave ci ha dato occasione di riaprire il dibattito nell’università attorno al destino dell’università stessa. Abbiamo convocato tre assemblee durante la giornata del vertice e, in particolare quella del polo umanistico della Federico II, ha mostrato un’inedita partecipazione.

Sappiamo tuttavia che una delle conseguenze delle controriforme degli ultimi anni è proprio quella di averci consegnato atenei desertici, in cui anche le relazioni sociali sono impedite dalla tempistica e dalla modalità di assimilazione del sapere universitario.  La politica resta spesso a ridosso delle aule ma non riesce ad entrare, ecco perché la partecipazione alle assemblee ci ha lasciati così sorpresi. Siamo cauti però nel parlare di movimento studentesco. Proveremo a presidiare i luoghi della formazione, quelli in cui tanti di noi studiano e da cui altri di noi vengono. Proveremo a seguire l’esempio dei comitati di lotta territoriali, che non si sono mai avviliti, neppure davanti alle più evidenti difficoltà di contagio.

 

 

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