Sequestro Patrick Zaky: la comunità studentesca riempie le piazze di Bologna

A Bologna dopo il flash mob di due giorni fa e il presidio di ieri sera organizzato dagli studenti, in molti nella comunità accademica stanno cercando di fare pressione affinchè l’Università spinga il Ministero degli Interni a richiamare in patria gli ambasciatori italiani in Egitto, chiudere i rapporti con il governo e chiedere la liberazione dello studente Patrick George Zaky, studente egiziano di 27 anni, da settembre iscritto ad un master in studi di genere e delle donne all’Università di Bologna.

 

Giusto tre settimane fa il premier Conte trattava con Al Sisi della matassa libica proprio nel giorno dell’undicesimo rinnovo dello stato d’emergenza per altri tre mesi. Garantendo censura e ampi poteri agli apparati poliziesche.
Patrick Zaky è un attivista per i diritti umani e ricercatore per l’ong Egyptian initiative for personal rights (Eipr).
Si occupa dei diritti della minoranza cristiana, della comunità Lgbtqi e di libertà di espressione. Ha trattato spesso il tema dei prigionieri politici e ha sostenuto la campagna per la verità e giustizia per Giulio Regeni.
La notte tra il 6 e il 7 febbraio, appena giunto al Cairo per trascorrere alcuni giorni con la famiglia, è stato sequestrato in aereoporto dai servizi di Sicurezza di Stato, trattenuto per 24 ore senza alcun contatto e torturato. Nel pomeriggio gli è stata convalidata la custodia cautelare per 15 giorni, attualmente in corso. L’accusa è di aver diffuso false notizie che possono disturbare la pace sociale; aver convocato proteste con l’obiettivo di denigrare l’autorità e disturbare pace e sicurezza; aver promosso il rovesciamento del regime; aver promosso terrorismo e violenza. Le stesse accuse usate costantemente dal regime di Al Sisi per reprimere l’opposizione.
L’Egitto è in una situazione disastrosa, il 60% della popolazione è in povertà e il regime sta saccheggiando il paese usando il pugno di ferro. A settembre la rabbia popolare ha nuovamente riempito le piazze e la polizia ha arrestato 300 persone in una sola settimane e successivamente più di 3.000.

Il governo sta costruendo una diga in Etiopia che annuncia una prossima crisi idrica. Ha venduto terreni a vari principi sauditi e le isole Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita, isole mantenute con gli accordi di Camp David del 1973
dopo la guerra con Israele. Il tutto scaricando le colpe sulle rivolte del 2011. Inoltre con la scusa di 200 miliziani dell’isis ha mandato contingenti militari nel Sinai e ha cacciato gli abitanti di Rafah, lasciando sfollata la popolazione. Questo per mettere l’area a disposizione del piano di Trump che intende deportare i palestinesi dalla Cisgiordania al Sinai e espandere i confini dello stato sionista. Quindi è ben comprensibile perché Trump lo definisca il suo “dittatore preferito”.
L’ONG Egyptian initiative for personal right (Eipr) denuncia che da settembre 2019 molti membri del suo staff sono sottoposti a costanti fermi e interrogatori che sembrano mirare ad intimidire chiunque sia attivo politicamente in qualunque modo. In Egitto sono ancora imprigionati molti esponenti delle rivolte del 2011, ma ora la repressione inizia a colpire anche i familiari degli attivisti in esilio. E come hanno fatto recentemente notare i genitori di Giulio Regeni alla commissione parlamentare d’inchiesta, i funzionari dei servizi egiziani sono molto attivi.

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