Battaglie di identità a Piazza Taksim

di Giulia Casartelli. è una laureanda in Scienze Antropologiche ed Etnologiche presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Sta attualmente lavorando alla tesi riguardo il ruolo dell’industria culturale nella promozione di Istanbul come città globale, con particolare attenzione al mondo dell’arte contemporanea.

936618_10201143750307078_1139731945_nDedicare attenzione ai luoghi delle proteste che stanno scuotendo la Turchia ormai da più di un mese può aiutare a leggere in una nuova chiave l’agenda politica del vigente governo AKP, ormai in carica dal 2002. Gli spazi in questione: Taksim Meydanı, Gezi Parkı, Taksim Topçu Kışlası; un parco, una piazza e una caserma a Beyoğlu, uno dei trentanove distretti di cui si compone la città metropolitana di Istanbul.

Il distretto di Beyoğlu nacque con l’appellativo di Pera nel XIII secolo, ai tempi bizantini, come colonia commerciale veneziana poi passata sotto il controllo dei genovesi. Fu autonoma rispetto all’impero e si mantenne tale anche in seguito alla conquista ottomana del 29 maggio 1453. Soprattutto dall’inizio del XIX secolo le minoranze non musulmane dell’impero iniziarono a stabilirsi qui, al fianco dei Levantini: ben presto l’area si connotò come centro finanziario e d’intrattenimento, sede di banche, ambasciate, alberghi lussuosi, animata da una popolazione cosmopolita. Proprio le vie di Beyoğlu diventarono oggetto delle prime sperimentazioni urbanistiche d’ispirazione occidentale raccolte nell’Ebniye Nizam, il primo regolamento edilizio ottomano risalente al 17961. Anche in seguito alla fondazione della Repubblica di Turchia nel 1923, per quanto Istanbul rimanesse per i più simbolo della corrotta essenza ottomana -in contrapposizione ad Ankara, nuova capitale, moderna e secolare-, Pera rimase comunque simbolo di civiltà, modello illuminato a cui auspicare, emblema di uno stile di vita emancipato dai dettami della religione.

Taksim Topçu Kışlası è la caserma tanto menzionata nelle ultime settimane e che dovrebbe essere ricostruita a Gezi Parki secondo la volontà del primo ministro Erdoğan per ospitare un centro commerciale; l’edificio fu costruito nei primissimi anni del XIX secolo e dominò la zona dell’attuale piazza Taksim, al tempo conclusione della Grand Rue de Pera –oggi Istiklal Caddesi- fino all’avvento della Repubblica. Negli anni ‘20 del secolo scorso la caserma cadde in disuso e fu demolita, per rendere lo spazio della piazza più ampio e verde, secondo le indicazioni dell’urbanista Henri Prost, invitato in Turchia stabilmente da Atatürk nel 1936 con l’obiettivo di rendere moderne le città della Repubblica. Negli anni ‘60 nella piazza fu costruito l’Atatürk Kültür Merkezi (AKM), centro culturale e teatro d’opera, reclamato dall’intellighenzia di sinistra come icona del modernismo repubblicano, sicuramente tra gli edifici più iconici della città.

La volontà di ricostruire una caserma ottomana in questo punto della città può essere letta nella cornice di crescente interesse per il passato ottomano di Istanbul che il vigente governo ha dedicato dalla sua ascesa al potere, inizialmente in città nel 1994 -con l’elezione a sindaco di Erdoğan- e poi dal 2002 a livello nazionale2.

Piazza Taksim sin dalle elezioni del 1994 è stata al centro di ambiziosi progetti. Erdoğan propose la costruzione di una moschea e la demolizione dell’AKM da sostituirsi con un teatro d’opera in stile barocco: “Taksim è una regione cruciale per il turismo a Istanbul. Mentre si visita quest’area si deve avere la sensazione di essere in una città islamica. Facciamo gradualmente emergere il tessuto storico e culturale della nostra città; i turisti che visitano Istanbul capiranno che sono in una città popolata da musulmani”, così dichiarava il 30.03.1994 a Yeni Zemin, tre giorni dopo la sua elezione a sindaco. Iniziava la “riconquista di Istanbul”, concetto in voga nel movimento islamico, incline a considerare come “vera” storia di Istanbul quella iniziata con la conquista di Costantinopoli nel 1453 da parte di Mehmet II il Conquistatore. All’interno di questa stessa visione Istanbul è anche ritenuta perduta, allontanata dalla sua vera essenza per la sua esperienza di occidentalizzazione, di cui Beyoğlu è simbolo3.

Le elezioni municipali del 1994 videro la vittoria del Refah Partisi (dalle cui ceneri nacque successivamente l’AKP) nella grande municipalità di Istanbul –con Erdoğan- e nella maggior parte dei suoi distretti, incluso Beyoğlu, con enorme sorpresa della popolazione più laica. I voti provenivano in prevalenza da quelle zone marginali del distretto, abitate da immigrati dell’Anatolia e minoranze etniche che occupavano abusivamente abitazioni abbandonate o costruzioni illegali e a cui Refah aveva prestato particolare attenzione in campagna elettorale, professandosi unico partito non a favore del progetto neoliberista di “città globale”.

La vittoria su Beyoğlu è stata assai più simbolica che la vittoria nella città metropolitana: per il Refah Partisi, anche se Beyoğlu rappresentava la degenerazione cosmopolita, costituì un elemento cruciale della campagna elettorale: fu portato come esempio della tolleranza del modello di governo ottomano, basato sulla coesistenza pacifica e armoniosa di diversi stili di vita. Quindi Beyoğlu come simbolo della coesistenza di differenti gruppi sotto un tollerante governo islamico. Come Mehmet, così sarà Refah.

Proprio questa immagine di “ottomanesimo inclusivo” 4 è stata scelta anche successivamente come linea promozionale per includere Istanbul nelle mappa delle città globali, secondo il piano del governo centrale e cittadino; per quanto le promesse nella campagna elettorale fossero di altra natura, il desiderio di far riemergere Istanbul come città di grande influenza nella regione circostante in chiave neo ottomana fece sì che il progetto neoliberista di città globale venisse interiorizzato e perseguito nell’agenda AKP. Si cerca così di far rivivere l’atmosfera del tardo impero ottomano, periodo in cui la vicinanza con le potenze europee si era fatta maggiore e l’elite ottomana aveva avuto modo di interessarsi alla cultura europea. Un oriente approcciabile dunque, esotico ma non inquietante.

Cultura e turismo sono due dei settori forti dell’economia delle città globali. Il patrimonio culturale della città diventata una commodity da sfruttare. In una realtà come Istanbul con “più storie”, scegliere quale preservare diventa una questione politica. Non si tratta solo di un’operazione di marketing, ma anche di un’operazione di costruzione identitaria politica per la città. La decisione di ricostruire Taksim Topçu Kışlası può essere dunque interpretata nell’ambito della volontà di far rivivere uno dei tanti passati di Istanbul, quello ottomano. 

1 Murat Gül, The Emergence of Modern Istanbul: Transformation and Modernisation of a City. Tauris Academic Studies, 2009.

2 Ayfer Bartu, “Who owns the old quarters? Rewriting histories in a global era” in Ç. Keyder, Istanbul: Between the Global and the Local. Rowman and Littlefield, 1999.

3Tanil Bora, “Istanbul of the Conqueror. The “alternative global city”. Dreams of political Islam” in Ç. Keyder, Istanbul: Between the Global and the Local. Rowman and Littlefield, 1999.

4Çağlar Keyder, “Istanbul in the Twenty-First Century” in D. Göktürk, et al., Orienting Istanbul. Routledge, 2010. 

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