Bobby Sands 1981-2021
“Let the tyrants tremble before men who are capable of dying for their ideals, after 60 days of hunger strike!”
Fidel Castro
Ogni anno ricordiamo la morte di Bobby Sands avvenuta dopo sessantasei giorni di sciopero della fame rinchiuso nel carcere di Long Kesh. Quest’anno è il quarantesimo anniversario del martirio, e mai parola fu più pertinente visto il suo intrecciarsi con la storia e la cultura d’Irlanda, di Sands e degli altri nove prigionieri politici repubblicani irlandesi. E’ una vicenda che ha segnato uno spartiacque nella secolare lotta di liberazione irlandese dall’occupazione britannica. Le immagini del corpo morente di Sands, le orribili condizioni in cui era costretto insieme agli altri prigionieri repubblicani irlandesi, hanno tragicamente mostrato la “superiorità morale degli oppressi”: una citazione dello stesso Sands, che la usava per descrivere la lotta irlandese opposta all’ottusa prepotenza imperiale incarnata nel primo ministro Thatcher. La Lady di ferro, infatti, fino all’ultimo rifiutò di far sedere il prigioniero Sands, a quel punto parlamentare eletto nel suo scranno legittimo. E lo condannò definitivamente con parole cariche di disprezzo: “Bobby Sands è un criminale”.
Abbiamo brindato alla notizia della morte di Margaret Thatcher in foltissima compagnia, dai repubblicani irlandesi ai minatori in sciopero e alle altre vittime del suo fanatismo liberista e imperialista.
La vicenda dello sciopero della fame racconta una storia saldamente radicata nella lunghissima guerra di Liberazione irlandese. Esprime la determinazione politica nel conseguire un obiettivo ma conferma anche le capacità organizzative e militari del movimento repubblicano: Bobby Sands era Ufficiale di Comando della Provisional IRA dentro al carcere e gli altri nove detenuti tutti militanti di formazioni armate, IRA e INLA. Le decisioni anche più radicali non erano solo individuali ma frutto di una strategia politica ben precisa: costringere il governo britannico a riconoscere lo statuto di prigionieri politici che avrebbe significato ammettere di essere coinvolto in una vera e propria guerra. Persino il Vaticano intervenne per far desistere i prigionieri dai propri intenti e, nel corso dei colloqui, il prigioniero Sands fece arrivare al Papa la risposta alla sua richiesta di rispettare la sacralità della vita: “Non mi è difficile morire, perché morirò per i miei amici. E non vi è cosa più bella che morire per i propri amici”. Questo richiamo agli “amici”, alla comunità di cui fa parte, al radicamento in un territorio e in una storia che nutre l’amore per la libertà, ci permette di ricordare Sands, pur nella sua scelta estrema, non come un eroe isolato, ma come la figura che rappresenta un popolo intero e la sua lotta. Sentirsi parte di legami così forti oppone una difesa astratta della sacralità della vita alla lotta incarnata per un vita degna di essere vissuta, insieme. E in questo periodo di solitudine imposta, il richiamo all’appartenenza alla sempre più vasta comunità degli oppressi è un abbraccio di calore vitale per andare avanti.
Quindi il nostro omaggio va a tutti i prigionieri morti nello sciopero della fame:
Bobby Sands, 27 anni
Francis Hughes, 25 anni
Raymond McCreesh, 24 anni
Patsy O’Hara, 23 anni
Joe McDonnell, 29 anni
Martin Hurson, 24 anni
Kevin Lynch, 25 anni
Kieran Doherty, 25 anni
Thomas McElwee, 23 anni
Michael Devine, 27 anni
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