Campo di Moria – Quel fuoco che avrebbe potuto essere spento tempo fa
Ne avevano tutti abbastanza, non era certo un segreto. E proprio per questo una catastrofe era evitabilissima.
Moria raso al suolo, bruciato per l’80%, con nuovi incendi che continuavano a divampare a 24 ore dal primo.
Sarebbe bello reagire con sorpresa, come se quanto accaduto non ce lo si sarebbe potuto aspettare, ma il solo lecito sconcerto è quello diretto verso le azioni del governo greco e dell’Unione Europea stessa, che ancora non muovono un dito per salvaguardare la vita di centinaia di migliaia di persone.
Politiche migratorie che da anni mettono alla prova la vita di esseri umani e con ogni pretesto possibile ripropongono il messaggio che le vite di alcuni, che spesso fuggono dalla guerra, da regimi oppressivi o abusi intollerabili, hanno meno valore delle nostre.
Circa 13.000, l’altra notte, le persone che hanno perso anche quell’unico pezzo di legno che avevano sopra la testa, che non sanno più dove dormiranno, quando mangeranno. Il 40% di loro sono bambini e ragazzi, anche non accompagnati.
Per molti potrebbe essere difficile arrivare a capire il perché di questo incendio. Ma è scontato che basti un secondo perché le tensioni si esasperino in un posto dove l’acqua potabile non scorre, il distanziamento sociale è impraticabile, la propria salute è in pericolo in ogni momento, la sicurezza non è più un concetto noto.
Le condizioni disumane in cui queste persone hanno vissuto per cinque anni, e in cui ancora vivono, a Lesbo come a Samos, Leros, Chios e Kos, hanno portato a tutto questo.
Questi campi avrebbero dovuto essere evacuati molto tempo fa. E le responsabilità dell’incendio, come della nascita del focolaio all’interno di Moria, e del continuo tormento che queste persone vivono quotidianamente vanno attribuite a chi è dietro a tutto questo, a chi orchestra, scrive e mette in pratica queste politiche, compresi tutti i paesi che non hanno abbracciato lo schema di relocation e il famoso burden sharing che avrebbe permesso a molte persone di trovare un porto sicuro.
Quindi amici e non, vi chiedo, dovunque siate, Milano o sparsi per il mondo, scendete in piazza, manifestate, organizzatevi ed aiutate queste persone a far sentire la loro voce in ogni modo possibile, urlate più forte, a noi non costa niente.
Se invece ne avete anche disponibilità, fate una donazione ad HelpRefugees, che supporta le organizzazioni a Lesbo in questo momento e non solo, o a Movement On The Ground che è attivo sul campo.
Gaia Boneschi
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