Dialoghi con Segi: viaggio nel movimento basco

282742A novembre due compagni baschi sono passati in Italia per raccontare del processo a carico dell’organizzazione giovanile Segi. MilanoInMovimento li ha incontrati per una chiacchierata: buona lettura.

D. Vi chiedo prima di tutto di inquadrare storicamente la lotta del movimento indipendentista Basco, le origini delle attuali formazioni politiche, le diversità di culture politiche all’interno del nazionalismo Basco e l’avvicendarsi di alleanze strategiche.

R. Bisogna partire dalla fine del XIX secolo quando è stato fondato il PNV, il partito nazionalista vasco.

Partito che nasce in seno a una lotta già esistente del popolo vasco per riprendere in mano i Fueros, leggi speciali vigenti nel territorio di Euskal Herria e che lo stesso stato spagnolo voleva levare.  All’interno di questa lotta il nazionalismo basco riprende vigore.

La prima organizzazione nazionalista basca, il PNV, è stata fondata da Sabino Arrana ed aveva una ispirazione conservatrice. Basta ricordare che fu proprio il PNV a fondare la democrazia cristiana europea.

Per spiegare il nostro nazionalismo bisogna anche ricordare che verso la fine del XIX secolo ci fu una forte industrializzazione nella regione di Biskaja che ha portato con sé la crescita della classe operaia e la diffusione di idee marxiste, anche all’interno del movimento nazionalista.

Proprio la presa di coscienza di classe si è profondamente intrecciata con le rivendicazioni tradizionalmente nazionalistiche confrontandosi in maniera dialettica con esse.

In questo contesto storico si è verificata una prima scissione all’interno dei partiti egemoni, nel 1930, all’interno del PNV con la nascita di Accion Nacionalista Vasca, e poi dal Partito Comunista con la formazione di EPEKA.

Queste due formazioni si ritroveranno a contrastare il regime franchista con l’inizio della guerra civile. Con l’esito della guerra, la vittoria di Franco, moltissimi militanti sono dovuti espatriare.

Nel 1959, sempre sotto il regime di Franco, si verifica un’altra scissione all’interno del gruppo giovanile del PNV. Alcuni studenti, da lì fuoriusciti, unendosi a un altro gruppo, EKIN, fondano l’organizzazione Euskadi Ta Askatasuna.

Nel contesto internazionale dei primi anni sessanta ETA accoglie le istanze dei movimenti di liberazione di Cuba e Algeria, per esempio, marcando sempre di più un carattere rivoluzionario e di sinistra.

Ma è nel 1968, con la quinta assemblea di ETA, che si ufficializza l’unione dell’ispirazione marxista e le rivendicazioni nazionalistiche. Una metafora che rende bene l’idea del sostrato culturale e politico di ETA è quella di una medaglia con due facce: socialismo e indipendenza. Come una medaglia non può avere una sola faccia, la stessa lotta rappresenta le due rivendicazioni. Che sono unite e indivisibili.

Questa fase fondativa dell‘izquierda abertzale apre lo spettro delle rivendicazioni all’internazionalismo, al femminismo, all’antifascismo, all’antimachismo, all’ecologismo.

Per i militanti baschi, quindi, non è pensabile intendere il nazionalismo senza una di queste caratteristiche.

Per questo uno dei passaggi fondamentali della definizione dell’identità basca è il considerare basco tutto quello che vive all’interno di Euskal Herria, che parli l’euskera e rispetti la cultura di questi territori. Tanto per sgombrare il campo da possibili equivoci rispetto all’identità etnica basca: non importa da dove vieni, che cultura e religione tu abbia. Se tu vivi, lavori qui e se ti sforzi di capire la lingua, anche se non la riesci a parlare ma mostri rispetto, tu sei basco.

Tanto per intenderci questo è un elemento che differenzia il PNV dalla sinistra abertzale, si preferisce utilizzare il termine Abertzale al posto di nazionalista perché è un termine che in italiano si potrebbe tradurre con patriota, ma che politicamente rimanda a un termine più immediato come Partigiano.

D- Ci sono rapporti con le altre componenti nazionaliste? Anche a livello istituzionale? Esistono o sono previste alleanze strategiche in vista di un obiettivo comune?

R. è una domanda un po’ complicata alla quale bisogna rispondere bene. Quindi la articoleremo in tre fasi diverse:

1) cominciamo con lo spiegare il perché, storicamente, si sono creati i quattro blocchi differenti di rappresentanza istituzionale in EH;

2) la seconda come è nata la nuova coalizione di sinistra a cui stiamo partecipando;

3) per ultimo analizzeremo il tipo di rapporto che intercorre con le altre componenti politiche a livello istituzionale a partire dall’esperienza di Guipuzkoa, la provincia dove si trovaDonostia/San Sebastian, che è amministrata dalla sinistra abertzale.

Per cominciare bisogna dire che a livello istituzionale esistono quattro blocchi storici: la sinistra spagnola rappresentata da Izquierda Unida e dal PSOE, la destra nazionalista spagnola del PPE e dall’UPD (unione del popolo e della democrazia in Spagna) e dall’UPN (union del pueblo de la Navarra). Stiamo parlando di Egoalde, la parte di EH che si trova in Spagna. Il blocco di destra nazionalista che si trova in Egoalde è rappresentato da Guieroabaie dal PNV, partito egemonico nei paesi baschi spagnoli. E poi il blocco dell’Izquierda Abertzale che gira attorno a Euskal Herria Bildu, una coalizione a cui stiamo partecipando, che è la seconda forza egemonica nei Paesi Baschi del sud. Bisogna sempre considerare che queste forze operano da dieci anni dall’illegalizzazione di Batasuna. Di cui adesso ha raccolto le redini Sortu.

La stessa coalizione lavora a Madrid con un altro nome: Amaiur.

Questi quattro blocchi vengono identificati con quattro partiti.

A partire dagli anni ottanta, vale a  dire dalla cosiddetta transizione democratica, l’Izquierda Abertzale viene identificata in tutto e per tutto con Batasuna. Il centrosinistra con il Psoe,  il centro e la destra franchista con il PP. E la destra nazionalista basca, rappresentante della borghesia locale, si concentra nel PNV.

Dagli anni ottanta questi quattro blocchi, queste quattro formazioni politiche attraversano trasformazioni e mutamenti interni molto importanti.

Sinteticamente andiamo ad illustrare le trasformazioni di questi quattro blocchi:

tanto per cominciare il caso più curioso è quello di Euskadiko Ezquerra. Questo partito viene fondato da una sezione di ETA-PM(politico-militare), ovvero una scissione di ETA-M(militare). Fonda i suoi principi su Socialismo e Indipendenza. A partire dagli anni ottanta rinuncia alle rivendicazioni indipendentiste e rivoluzionarie per avvicinarsi al PSOE, all’interno del quale tuttora esiste, rappresentando la componente “baschista”. Per capirci ancora adesso la diramazione del PSOE nei paesi baschi riporta la denominazione di PSEH-EE (partito socialista di Euskal Herria – Euskadiko Ezkuerra).

Sempre negli anni ottanta all’interno del PNV avviene una scissione di sinistra: EA (eusko Arkatasuna – unione basca).Questa formazione dopo un po’ di anni di attività solitaria, nella quale contestualmente avviene una fuoriuscita degli elementi più conservatori, decide di entrare nella coalizione dell’Izquierda Abertzale.

Per quanto riguarda l’Izquierda Abertzale dagli anni ottanta ha funzionato da collettore per tutte le componenti sociali e politiche della società civile basca trovando la sintesi in Herri Batasuna: Unità Popolare. La cui rappresentanza istituzionale è Batasuna e che nel corso degli anni ha espulso la componente più di destra che si è aggregata in una formazione dal nome di Aralar Partito che ha avuto una parabola un po’ solitaria e minoritaria, dichiarandosi contro la violenza di ETA e via discorrendo, ma che ultimamente si è riavvicinato alla sinistra abertzale.

Bisogna tenere presente che Herri Batasuna nasce nel 1979, questa scissione avviene nel 2000.

Izquierda Unida, nata da una scissione del PCE (partito comunista), nei Paesi Baschi si divide in tre fazioni, una delle quali, Alternativa, pur nella esigua rappresentanza è entrata nella coalizione della sinistra patriottica. In seguito alla scissione la maggior parte della base “spagnolista” è entrata nel PSOE.

Il PSEH ha subito un’altra scissione in Euskal Herria con la nascita di UPD (unione popolo e democrazia) che però diventa un partito politico a livello nazionale connotato da un’agenda politica piuttosto conservatrice e reazionaria.

L’ultimo dei blocchi è quello della destra spagnola: il PPE. Il quale si è dimostrato un blocco abbastanza durevole nel tempo e che non ha subito nessuna scissione né ha dato vita ad assembramenti elettorali o coalizioni.

Ovviamente bisogna tener presente che il Paese Basco, oltre alla divisione tra Francia e Spagna, in territorio spagnolo è ulteriormente diviso e riconosciuto nella sua autonomia solo per le provincie del GAV (Guipuzkoa, Alava e Bizkaja) senza la Navarra.

Tutte le formazioni politiche, quindi, decentralizzano il proprio lavoro politico a livello regionale.

Fatto questo quadro ora cerchiamo di spiegare che tipo di alleanze a livello tattico e strategico sono state messe in atto dalla sinistra Abertzale.

Per cominciare bisogna tener presente che il processo iniziato nel 2009/10 è frutto di una lotta durata cinquanta anni, che ha attraversato diverse fasi e diversi livelli di negoziazione e partecipazione democratica con l’obiettivo di arrivare a una risoluzione del conflitto.

A cavallo di questi due anni c’è un evidente cambio di strategia che si fonda su tre punti fondamentali:

il primo punto è l’aggregazione di tutte le forze politiche e sociali attorno a un programma comune. A questo si riferiscono le coalizioni. L’obiettivo primario è riuscire a rubare l’egemonia al PNV.

Per questo non basta una somma dei partiti istituzionali ma occorre costituire un vero e proprio blocco popolare, allargare la base sociale avvicinando più gente possibile alle istanze della sinistra Abertzale.

Un altro punto fondamentale è l’”internazionalizzazione” del conflitto e della sua risoluzione, ovviamente passando per la condivisione del nostro progetto politico: Indipendenza e Socialismo.

Quindi le alleanze non vanno intese solamente a livello tattico ma come un lavoro profondo con tutti i popoli per un cambiamento radicale in tutto il mondo.

E quindi quando parliamo di liberazione non parliamo solo del popolo basco ma di tutti i popoli oppressi dal capitalismo, dall’imperialismo e dal patriarcato.

In questo senso la rappresentanza istituzionale è solo un mezzo di lotta politica e non si esaurisce nelle istituzioni. Sappiamo bene che le istituzioni politiche del nostro paese sono parte di un meccanismo di oppressione che ha la propria base nel capitalismo. Ciononostante abbiamo deciso di starci comunque dentro per sfruttare tutte le opportunità che mette a disposizione.

Per questo motivo non si può intendere la nostra lotta a livello istituzionale divisa dalla lotta popolare. Sono parte della stessa lotta.

Ora affrontiamo la questione della presenza in alcune istituzioni e in altre no.

Dove non governa, la sinistra abertzale funziona da megafono dei movimenti popolari d’opposizione. E ne porta le istanze che altrimenti rimarrebbero escluse da qualsiasi rappresentanza.

Quando per esempio c’è uno sciopero generale i rappresentanti ne portano le rivendicazioni dentro i palazzi di governo. Oppure quando ci sono battaglie per l’allargamento dei diritti loro se ne fanno carico. È di questi giorni, per esempio, la redazione di una “carta dei diritti sociali” da presentare dentro il parlamento autonomo.

D. ci sono esempi di amministrazioni locali governate dalla sinistra Abertzale?

R. Per parlare di un’esperienza di governo della sinistra Abertzale porteremo il caso della provincia di Guipuzkoa. Alle ultime elezioni il blocco di sinistra ha avuto un risultato straordinario, arrivando a sfiorare la maggioranza assoluta di eletti al parlamento. Ne mancavano soltanto due.

E per governare necessariamente devono relazionarsi con altri partiti. Essendo una provincia i poteri sono limitati, poiché il grosso dei poteri è al governo del GAV o a Madrid.

Ad esempio in Guipuzkoa c’è un problema molto serio per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti. I partiti spagnoli, PSOE e PPE, volevano fare un inceneritore e la popolazione locale si è rivoltata contro questo progetto, analogamente a quanto successo in Campania. Una volta vinte le elezioni la prima cosa che il blocco di sinistra ha fatto è stata fermare immediatamente il progetto dell’inceneritore. Il problema dello smaltimento però rimaneva. Facendo tesoro dell’esperienza e del lavoro dei movimenti ecologisti è stato avviata un’attività di raccolta dei rifiuti differenziata e porta a porta. Il PPE e il PSOE hanno fortemente ostacolato questo tipo di attività, visti gli evidenti interessi attorno alla costruzione dell’inceneritore. Questo ha generato uno scontro molto duro tra i movimenti popolari e la destra.

Un altro esempio interessante riguarda un confronto molto acceso tra la sinistra Abertzale e la destra sugli accordi sul mondo del lavoro e della scuola.

Il governo centrale di Madrid ha messo in atto una riforma del lavoro che mirava ad annullare i precedenti accordi gestiti a livello territoriale ponendo un unico accordo nazionale. I lavoratori di Euskal Herria si sono visti così cancellare dall’oggi al domani dei diritti conquistati dopo aspre lotte a partire dagli anni ottanta.

Un altro esempio riguarda tutta una serie di provvedimenti mirati a ricostruire un welfare locale o di assistenza sociale alle fasce di popolazione in difficoltà: anziani, disoccupati e giovani.

Anche su questo la destra mette i bastoni tra le ruote e la sinistra deve arrivare a dei compromessi volta per volta con il PSOE o altri.

Per fare altri esempi possiamo parlare di quelle città e comuni governati dalla sinistra.

Al di fuori della Guipuzkoa ci sono paesi dove i partiti spagnoli, di destra e sinistra, pur di non far governare la sinistra Abertzale si sono alleati tra di loro nonostante le loro profonde diversità.

In un paese, Tolosa (non in Francia), la banca basca Kutxa voleva eseguire lo sgombero di una casa dove abitava una famiglia. La mobilitazione popolare e l’intervento dei nostri rappresentanti è riuscito a scongiurarlo.

Sempre nello stesso comune c’è una mobilitazione molto forte per la riconversione a servizio pubblico di un ospedale privato. Anche in questo caso i rappresentanti della sinistra si fanno portavoce di tutte le pressioni per ottenere questo obiettivo.

Questo un po’ per far capire cosa intendiamo per rappresentanza istituzionale: nient’altro che un lavoro organico con i movimenti popolari.

Stiamo parlando comunque della Guipuzkoa che è governata dall’Izquierda Abertzale, quindi una sorta di “isola felice”. Nel resto delle provincie le mobilitazioni popolari stanno cercando di creare le stesse condizioni mettendo in atto una seria opposizione sociale.

In un altro comune Euskal Herria Bildu ha proposto un regime di tassazione progressivo per far si che chi ha di più paghi di più. E in questo caso il partito socialista ha appoggiato questa mozione.

Ovviamente questo non arriva dal nulla ma nasce precisamente dalla storia di questo territorio che è molto industrializzato e quindi con una lunga storia di lotta di classe, vista anche la  presenza di molti operai provenienti da fuori, una lotta operaia non con una prospettiva nazionale. Euskal Herria Bildu non ha fatto altro che interpretare questo tipo di sensibilità per cui molta gente vi si è identificata.

Ora, l’industrializzazione nel corso degli anni ha fatto in modo che lo stato centrale favorisse la migrazione interna verso i paesi baschi anche con un’ottica di “de-baschizzare” i territori.  Adesso i processi di delocalizzazione hanno profondamente indebolito il tessuto industriale. E anche la destra basca prova a cavalcare le contraddizioni che questo genera in senso populista.

D. Parliamo ora più dall’interno del movimento di pratiche, culture e linguaggi della politica. Ad esempio, il sessismo e il machismo come lo avete affrontato?

R. Per cominciare bisogna dire che un movimento femminista organizzato nei paesi baschi nasce negli anni settanta. Come spesso è successo nei movimenti rivoluzionari le istanze femministe e anti-patriarcali hanno faticato a essere riconosciute per lungo tempo. Solamente negli ultimi anni sono emerse con tutta la forza.

La sinistra abertzale si è sempre caratterizzata, almeno dagli anni ottanta, in senso femminista. Ma ciò non ha comportato fin dall’inizio un reale approfondimento di ciò che questo significava.

Per fare degli esempi partiamo da come le organizzazioni giovanili nel corso degli anni hanno lavorato su questi temi Jarrai, Haika e Segi si sono sempre considerate organizzazioni femministe però senza mai interrogarsi su che tipo di femminismo portare avanti. Questo è dovuto principalmente alla precarietà generata dalla repressione che ha tarpato un po’ le ali a una vera discussione interna. Mentre sulla nuova organizzazione Hernai c’è un discorso molto più avanzato, poiché nel processo costituente le istanze femministe sono entrate in maniera molto profonda. Facilitate dalla presenza di un’organizzazione femminista attiva già da molto tempo all’interno del movimento indipendentista: Bilgune feminista.

Il femminismo è diventato un obiettivo strategico per Ernai, accanto e non dopo l’indipendenza e il socialismo. Quindi l’organizzazione ha elaborato un progetto, scritto in un quaderno che uscirà a giorni, di azione politica per tutti i militanti specifico su questi temi.

Il quaderno parte esattamente dalla definizione di genere e sesso, come li intendiamo noi e come li intende il sistema capitalista e patriarcale. Va quindi a mettere in discussione l’imposizione di un modello di genere e sesso sovradeterminato dalla società patriarcale.

Noi sosteniamo che il genere e il sesso sono stati inventati per conservare le relazioni di potere e oppressione funzionali al sistema patriarcale e capitalista.

Questo quaderno però non è da intendersi come esclusivo per l’organizzazione giovanile, ma come contributo generale per la lotta popolare, da socializzare e condividere.

D. Una cosa che si può osservare dall’Italia è che questa cultura antisessita e antimachista, nel movimento basco, sembra patrimonio comune. Sembra acquisita e “interiorizzata”. Cosa che, invece, qui in Italia ancora fatica a farsi spazio in spazi ancora intrisi di linguaggi e culture machiste.

R. in realtà, ovviamente, non è del tutto così. Sembrava che fosse scontato che il movimento femminista avesse i propri spazi di agibilità e autonomia e invece ci troviamo ancora a doverne dibattere.

D. Parliamo ora delle ragioni che vi hanno portato in giro per l’Italia: denunciare l’ennesima stretta repressiva del governo spagnolo con il processo a carico della vostra organizzazione giovanile. Vogliamo riassumere gli ultimi avvenimenti?

R. Stiamo parlando di una organizzazione giovanile illegalizzata dal 24 novembre 2009 con accuse di banda armata e terrorismo a seguito di una retata che ha portato all’arresto di quarantadue compagni. Trentaquattro di questi sono stati portati in carcere immediatamente, altri otto sono stati arrestati dopo e fatti rientrare nello stesso procedimento.

La cosa singolare è che trentasei sono stati arrestati all’interno dello stato spagnolo mentre gli altri all’estero, tre dei quali in Italia.

Tutti i detenuti in Spagna hanno subito tortura. Le prove a loro carico, che saranno usate al processo, sono state estorte proprio con la tortura.

Questo è avvenuto durante i cinque giorni di fermo preventivo dove i militanti sono stati portati nei commissariati senza possibilità di contatti con l’esterno, nemmeno con gli avvocati. E con la tortura sono riusciti a far firmare carte che contenevano accuse ed autoaccuse che sono per l’appunto utilizzate al processo.

Quelli arrestati all’estero, dopo un breve periodo di detenzione nei rispettivi paesi sono stati estradati in Spagna, con la collaborazione di Francia e Italia.

Dei quarantadue arrestati, quarantuno hanno passato in carcere dagli otto mesi ai due anni come detenzione preventiva. Sono usciti solamente a seguito del pagamento di una cauzione che nel complesso ammontava a settecentomila euro. Il che non attenua le misure restrittive, visto che tutti hanno il divieto di espatrio o devono andare a firmare. Solo dopo un permesso speciale della Audienca Nacional siamo riusciti a venire in Italia.

Abbiamo ben presto capito che l’intero impianto accusatorio si basava su due tipi di prove: le dichiarazioni estorte sotto tortura e la partecipazione a riunioni, manifestazioni, attacchinaggi. Vale a dire a una normale attività politica condotta alla luce del sole e, per le manifestazioni per esempio, regolarmente autorizzate dalle autorità.

Quindi quello che stiamo cercando di fare, oltre a dimostrare che tutto ciò è riconducibile a una normale attività di impegno politico, è denunciare gli ignobili atti di tortura.

Quattro compagni coinvolti nel processo hanno deciso di rendersi irreperibili, quindi su di loro pende un mandato di cattura.

Bisogna anche far notare che tutto questo procedimento ha dei costi enormi sulla comunità, in termini di spese legali o anche per gli spostamenti, visto che il processo si svolge a Madrid e non nel Paese Basco.

Per far fronte a queste spese abbiamo già cominciato a organizzare iniziative di autofinanziamento in tutto il Paese Basco. Ovviamente non si tratta solamente di raccogliere i soldi ma di socializzare la questione del processo, cercando di coinvolgere la popolazione in una solidarietà attiva. Tutto questo è stato unito in una campagna dal nome di “libre”, che ci ha portati ad esempio qui in Italia ma anche nel resto dell’Europa e della Spagna.

L’iniziativa di “libre” ha la volontà di sostanziare gli atteggiamenti solidali con la capacità di mettersi in gioco. Di rendersi attivi. Per dimostrare che gli arrestati non sono soli e sono i figli di tutti. Un esempio sono i “muri popolari”, dove centinaia di persone si interpongono in maniera non violenta tra gli arrestati e la polizia.

Per queste accuse di reato quanto rischiate?

Dai sei ai dodici anni.

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