Evaso Zakaria Zubeidi, la primula rossa della seconda Intifada

Non sono evasi calandosi giù con le lenzuola annodate ma la fuga dal carcere israeliano di massima sicurezza di Gilboa, messa in atto domenica notte da sei prigionieri politici palestinesi, tutti di Jenin, è stata ugualmente cinematografica. Per mesi, sfuggendo ai controlli delle guardie carcerarie, hanno scavato un tunnel sotterraneo dalla loro cella, la numero 5 nella sezione 2, fino all’esterno della prigione. E come in un film sono riemersi distanti dal muro esterno trovando ad attenderli, con ogni probabilità, uno o più complici. Ieri sera erano ancora liberi nonostante la gigantesca caccia all’uomo avviata dalle autorità israeliane, con dozzine di posti di blocco allestiti ovunque, in Israele come in Cisgiordania. In particolare, intorno alla vicina città di Jenin e lungo il confine con la Giordania. Mobilitati, oltre alla polizia, anche l’esercito e lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno. «Non si può tralasciare la possibilità che possano compiere un attentato. Da quando sono scappati è passato molto tempo e potrebbero essere in qualsiasi posto del territorio nazionale», ha detto ai giornalisti, provando a nascondere l’imbarazzo per l’accaduto, Avi Bitton, un comandante della polizia. Mentre l’ufficiale parlava, a Jenin, in vari centri della Cisgiordania, a Gaza e sui social, i palestinesi celebravano l’evasione, compresi diversi dirigenti del partito Fatah di Abu Mazen. Hamas e Jihad da Gaza hanno parlato di «azione coraggiosa ed eroica» ed elogiato i fuggitivi. La presidenza dell’Anp e il governo Shttayyeh invece non hanno commentato l’accaduto.

Zakaria Zubeidi nel 2004 portato in trionfo dai suoi compagni (foto Ap)

Non è la prima evasione di palestinesi da un carcere israeliano ma è la più clamorosa di questi ultimi anni. Per un paese che fa della sicurezza e della forza militare il suo totem e che vanta tecnologie di sorveglianza e controllo tra le più avanzate al mondo, la fuga dal carcere di Gilboa è un duro colpo a una immagine consolidata di efficienza. Invece i giornali e le stesse autorità hanno rivelato ieri che in quella prigione la sicurezza non era poi così «massima» e che i direttori che si sono succeduti in questi anni non hanno saputo risolvere i problemi più evidenti. Diversi i punti deboli e i sei palestinesi hanno saputo approfittarne. Ma ad accrescere in queste ore rabbia e imbarazzo in Israele è anche un nome. Tra gli evasi, cinque sono militanti del Jihad islami. Il sesto è Zakaria Zubeidi, l’ex comandante delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (Fatah) a Jenin, una delle figure più note – «famigerate» per Israele – della seconda Intifada palestinese (2000-2005) e personaggio singolare per storia politica e vicende personali.

Zubeidi, 45 anni, era stato uno dei piccoli attori del teatro aperto nel campo profughi di Jenin della regista ebrea israeliana Arna Mar, e appare di sfuggita in quel capolavoro che è il documentario «I bambini di Arna» girato da Juliano Mar, il figlio di Arna, assassinato a Jenin nel 2011 in circostanze mai chiarite. Bambini diventati giovani combattenti, «terroristi» per Israele, all’inizio della seconda Intifada. Di Zudeidi si parlò molto in quegli anni. Israele lo accusa di aver partecipato a un attacco armato palestinese in cui furono uccisi sei attivisti del partito Likud. Per i palestinesi invece è stato per anni una «Primula Rossa», capace di sfuggire più volte alla cattura e ad omicidi mirati che però sono costati la vita alla madre e al fratello. Fece parlare di sé fra il 2002 e il 2004 per la relazione che, in latitanza, ebbe con Tali Fahima, una giovane ebrea israeliana di destra convertita al pacifismo e alla sinistra che si innamorò di lui durante una visita al campo profughi di Jenin. Fahima, che si proclamava «uno scudo umano», fu condannata a tre anni di carcere per aver aiutato a decifrare, per conto delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, una fotografia aerea scattata dalle forze armate israeliane e perduta da un soldato, nella quale erano segnalate le abitazioni di alcuni palestinesi ricercati, permettendo così a questi ultimi di sfuggire all’arresto. Lei spiegò di averlo fatto per impedire che quelle persone venissero uccise vista la politica di Israele di eliminare fisicamente gli attivisti palestinesi. «Non mi pento di niente, rifarei di nuovo quello che ho fatto, ne valeva la pena», disse la giovane donna quando uscì dal carcere.

Zubeidi dopo il 2005 ebbe una stagione della sua vita «non armata». Rinunciò al mitra approfittando di un accordo raggiunto da Abu Mazen con le autorità israeliane per i combattenti dell’Intifada e decise di dedicarsi al teatro. Fondò con Juliano Mar e altri il nuovo Teatro della Libertà a Jenin, erede in una certa misura, del teatro di Arna che frequentava da bambino. I giornalisti lo incontravano e intervistavano con facilità nelle strade del campo profughi di Jenin che nel frattempo era stato ricostruito (fu distrutto per metà dalle ruspe militari nel 2002). Ma forti dissapori con Fatah e l’Anp lo portarono ancora sulla strada della militanza armata. Infine, qualche tempo fa l’arresto da parte delle autorità israeliane.

Ora comincia un nuovo capitolo della sua esistenza di «eroe» per i palestinesi e di «terrorista» per Israele. L’ultimo prevedono alcuni. Pochi palestinesi credono che Zubeidi e gli altri evasi riusciranno a sfuggire alla cattura, forse all’uccisione, da parte delle forze armate israeliane intenzionate a rimediare in qualsiasi modo alla figuraccia fatta domenica notte.

di Michele Giorgio

da il Manifesto del 7 settembre 2021

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