Italia e Argentina: oggi e dieci anni fa, due crisi a confronto
Davanti al dramma della Grecia, guardando al presente dell’Italia, quasi nessuno osa parlare della crisi con la C maiuscola: quella dell’Argentina del 2001.
Ho voluto parlarne con Hugo, 32 anni, argentino di Quilmes (provincia di Buenos Aires), e Valeria, 30 anni, milanese, tornata proprio quest’anno dal paese sudamericano nel quale ha trascorso più di due anni.
Quali sono le vostre impressioni, visioni o ricordi delle crisi?
Hugo: “Ricordo che nel 1999, dopo la politica di Menem (caratterizzata dall’equiparazione del peso e del dollaro, da privatizzazioni e vendita delle risorse pubbliche a compagnie straniere), il paese era in ginocchio.
Hanno cominciato ad aumentare i prezzi dei prodotti di base (cibo, trasporti, ecc) e hanno iniziato a licenziare parecchia gente nelle ditte. All’epoca avevo circa vent’anni e lavoravo in una fabbrica siderurgica: avevo il terrore che licenziassero anche me, cosa che poi è successa nel dicembre 2000. Non ho più trovato lavoro e allora sono tornato a studiare. Oltre a questo, nella vita quotidiana l’aumento dei prezzi ha colpito i consumi di tutti portando forti limitazioni anche negli aspetti più comuni e semplici. Io per esempio ho iniziato ad usare la bici per andare ovunque e se proprio dovevo andare molto lontano, prendevo il treno ma non mi potevo più permettere di pagare il biglietto. Le uscite con gli amici (per dare l’esempio di quello che succedeva a un ventenne) si limitavano a trovarsi nella casa di qualcuno e fare la colletta per una birra: insomma, di andare in un luogo pubblico, seppur economico, a spendere non se ne parlava. D’altro canto però una cosa positiva che mi ricordo di quell’epoca, nonostante la crisi, è che si trovavano anche un sacco di spettacoli gratis per la strada: c’era comunque un fermento che portava a metter su spettacoli e concerti per offrire uno svago alla gente. Quando hanno imposto il cosiddetto corralito (recinto, limite), imponendo una cifra massima, molto bassa, di prelievo di contanti giornaliero dalle banche, la gente ha iniziato a voler ritirare tutti i propri soldi, per paura di vederseli bloccare: ad un certo punto le banche hanno chiuso le porte, causando una protesta dilagante molto forte.”
Valeria: “Sono andata via dall’Italia quando c’era Berlusconi; ho assistito in questi anni al fatto che l’Italia fosse diventata la barzelletta di tutta la comunità internazionale. Sono tornata e, tuttavia, vedo un interesse dell’Europa verso il mio paese che mi sembra più che altro dettato dalla “paura” di essere danneggiato da situazioni critiche come quelle della Grecia, che da un reale interesse verso le popolazioni della comunità. Questo é una grande delusione. Inoltre mi sembra che il nuovo governo, benché meno sfacciatamente ridicolo di quello precedente, sia piu’ preoccupati del giudizio e delle azioni dei poteri forti (UE) che dal reale interesse verso la popolazione. Non mi piace affatto questo clima “competitivo” che riguarda i declassamenti e i giudizi delle borse, né condivido le scelte del governo italiano che, invece che investire sui giovani e sul lavoro, ha dato priorità all’ennesima riforma delle pensioni e agli investimenti in spese militari.
Ritornando in Italia non posso fare a meno di rendermi conto che anche la mentalità di buona parte della popolazione favorisce e ha favorito questa situazione: in altri paesi come l’Argentina le persone vivono nella vita di tutti i giorni una apertura mentale e una vitalità molto lontana dai discorsi che ora sento fare anche da alcuni personaggi di sinistra, che dimostrano chiusura e rigidità tipiche della destra degli anni 40, e che secondo me ha collaborato a piene mani nel portarci alla situazione che stiamo vivendo.”
Come vi siete sentiti/vi sentite rispetto alle decisioni e alle reazioni dei vostri governi nei confronti della crisi?
Hugo:”La situazione sociale si é rapidamente deteriorata: dilagavano disperazione (per la disoccupazione e l’impossibilità di acquistare anche beni di prima necessità), ma anche voglia di sopravvivere (inizio’ il trueque, cioè il baratto, scambio di beni e servizi tra la gente): mia madre ad esempio faceva cappelli e sciarpe in lana e li scambiava con generi alimentari. Tutti comunque provavano rabbia, paura e frustrazione per il fatto di dover lavorare tanto e spesso con stipendi insufficienti e una totale insicurezza. Riguardo alle misure economiche, il popolo era contrario al pagamento del debito, che era stato creato dalle imprese private e dai militari ma che di fatto gravava sulla gente: purtroppo pero’ il Fondo Monetario ne imponeva il pagamento con misure drammatiche per i cittadini.
La gente era disperata: oltre a perdere il posto e non trovarne uno nuovo, ci si ritrovava senza poter accedere ai soldi messi da parte nelle banche alle quali si aveva dato la fiducia affinché li custodissero. Un sacco di gente è morta di infarto per questo in quel periodo. In dicembre (quando è scoppiata la crisi) da noi è estate: la gente stava per le strade sotto il sole cocente a fare la coda e sveniva dal caldo fuori dalle banche, tirava uova e grida alla polizia posta a difendere le banche stesse. Ci si riuniva per strada, si protestava facendo più baccano possibile con slogan, cacerolazo, occupazione di fabbriche. Gente davvero di tutte le età si riversava nelle strade, chiedendo la restituzione dei propri risparmi e che lo Stato si prendesse la responsabilità della situazione. Il Governo in cambio ha dato il via alla repressione, la polizia (a cavallo e non) caricava la gente per le strade senza distinguere giovani e vecchi, donne e uomini, ragazzini e madres o abuelas de Plaza de Mayo. Il picco c’è stato il 19 e 20 di dicembre 2001, giorni in cui la gente senza nessuna coordinazione ma spontaneamente si è ritrovata massicciamente in Plaza de Mayo e per le strade circostanti, esigendo che tutti i politici se ne andassero (il coro principale era ‘que se vayan todos, que no quede ni uno solo!’). Anche in questo caso il Governo ha mandato la polizia perché reprimesse l’agitazione, solo in quei due giorni sono state ammazzate trentotto persone in tutto il Paese, di cui undici solo a Buenos Aires . Lo stesso 20 dicembre 2001 De La Rua ha poi fatto un comunicato in cui comunicava di rinunciare al suo ruolo di Presidente e si è ritrovato a doversene andare in elicottero dalla Casa Rosada perché intorno c’era il caos più totale.”
Valeria: “Rispetto a questo governo in Italia mi sento scissa e in bilico, perché ci sono aspetti e scelte che non condivido per niente ed altre che invece ritengo importanti. La spesa in armi, i provvedimenti sulle pensioni e il possibilissimo attacco all’articolo 18, per esempio, fanno sì che non mi riconosca nelle scelte che si stanno prendendo nel nostro paese e che me le faccia considerare semplicemente lo specchio di un asservimento del nostro governo alle leggi di un sistema che sta franando. Penso che in questi settori si scelgano misure che non guardano in un’altra direzione e che tentino di trovare coraggiosamente una nuova via. Allo stesso tempo, però, sono contenta che questo governo non sia fatto di politici, visto che ritengo ormai che la classe politica che abbiamo sia corrotta (mentalmente e non) a 360°. Condivido il fatto che si stia impostando una lotta all’evasione, uno dei principali problemi di casa nostra, che spero si traduca in una vera rieducazione della popolazione. E sono contenta del no alla candidatura di Roma per le olimpiadi 2020 e infinitamente orgogliosa finalmente dell’Ici alla Chiesa (sperando che venga portato avanti). Quindi mi sento spaesata, perché da un lato non condivido affatto i provvedimenti che si stanno prendendo, dall’altro vedo comportamenti politici – e conseguenti scelte – che da che io ricordi non sono stati adottati da nessun’altra parte politica e che sono importanti.”
Quali soni stati/potrebbero essere, secondo voi, le vie di uscita da queste situazioni?
Hugo:”Dopo essersi succeduti cinque presidenti in soli dieci giorni, la gente ha smesso di credere nello Stato, di avere anche un briciolo di fiducia nel governo e ha iniziato a formare gruppi di autogestione: è stato il periodo delle occupazioni delle fabbriche da parte dei licenziati, delle asambleas barriales (assemblee di quartiere) per organizzarsi in gruppi di assistenza, aiuto reciproco, baratto, contenimento sociale e simili. Si é assistito a un gran incremento di piccoli gruppi politici che si autonominano movimenti (movimiento barrios de pie, movimiento independiente de jubilados y pensionados, movimiento 19 y 20 de diciembre, ecc) e che hanno risposto al malcontento della gente, raggruppando a livello barriale (di quartiere) le persone che non si riconoscevano più nella politica ufficiale. La cosa interessante è che alle riunioni di questi movimenti partecipavano anche coloro che prima non s’interessavano minimamente di politica, ma che la crisi ha portato, invece, alla mobilitazione.
A livello politico istituzionale è stato soprattutto dall’elezione di Nestor Kirchner (ottobre 2003) che sono stati fatti passi più concreti: un sacco di manovre per ridurre le spese, per esempio rinegoziando il debito estero (dopo aver smesso di pagarlo per un breve periodo). Allo stesso tempo il governo ha stimolato l’industria abbassando le tasse alle imprese e premiando le ditte che non licenziavano i dipendenti, insomma, sono state fatte scelte anche per ridare ossigeno alla produzione interna di modo che il meccanismo nazionale ripartisse. Quindi si è puntato sull’industria locale (posti di lavoro) e di conseguenza la gente, ritrovandosi di nuovo con possibilità di lavoro e guadagno, è tornata anche a comprare i prodotti dell’industria locale e di conseguenza il movimento interno di impresa/lavoro/prodotto/acquisto è ricominciato a girare pian pianino. (Questo anche grazie alla ‘cinghia tirata’ che ha permesso al governo Kirchner di usare la riserva economica interna per sanare almeno il debito con il FMI e anche grazie agli aiuti del Venezuela).
In questo modo lo Stato ha investito sulla sua propria industria in svariati settori e si é risanato. Quindi la somma tra tenacia della gente e nuove scelte politiche concrete e dai risultati netti hanno portato a rimettere in moto la macchina Paese.”
Valeria: “Di pancia ritorno sul concetto di scelte coraggiose al di là di quelle che sono imposizioni dall’alto. Idealmente non si dovrebbe cedere alle imposizioni dettate da altri e trovare una nostra via alla crescita. E’ difficile per me prensare a delle soluzioni concrete. Per quanto riguarda noi singoli individui, esserci, essere presenti, pretendere ed essere coerenti con noi stessi. Qualche settimana fa, quando ho iniziato a metter giù qualche idea per rispondere alle tue domande, ho letto un articolo (Venerdì di Repubblica del 27 gennaio scorso, pagg. 46-50, autore Riccardo Staglianò) che credo ti possa interessare, a dieci anni dall’ultima crisi argentina: un argentino dice al giornalista “Noi avevamo il Fondo Monetario Internazionale, voi Francia e Germania. Non fate lo stesso errore, decidete voi che tango ballare. E soprattutto, tagliate qualsiasi cosa ma non gli stipendi alla gente se volete che l’economia riparta…” e poi Staglianò aggiunge “Perché sopravvivere al default è possibile. Ma evitarlo è ancora meglio”. Straordinario non ti pare?”
Come vedete il periodo di post crisi nei vostri paesi (presente dell’Argentina e futuro dell’Italia)?
Valeria: “ L’ Argentina adesso è un gran bel posto dove stare. Lungi dalla perfezione, la realtà argentina è ancora e anche fatta di problemi ben radicati e difficili da estirpare, ma la crisi economica è passata, ce l’hanno fatta. Però se parli con qualsiasi argentino ti dirà anche che la prossima è dietro l’angolo, che il sistema economico non è stabile. L’inflazione è ancora a livelli estremi per esempio: solo da quando sono arrivata io (ottobre 2008) alla prima metà del 2011 i prezzi sono pressoché raddoppiati. Si può pagare tutto – e dico tutto – a rate: anche se vai a fare la spesa in un grande supermercato e paghi con la carta, ti chiederanno se vuoi pagare tutto d’un colpo o in quante quote. La corruzione, uno dei fattori che hanno portato più volte il Paese alla bancarotta, è ancora a livelli altissimi.
Credo che pero’ sia un bel posto in cui vivere. Come accennavo già prima, per la vitalità e le possibilità, nonostante tutto (tenendo in conto ovviamente le differenze sociali e tra le diverse zone di un paese vastissimo e con grandi disuguaglianze interne). Mi colpisce come l’arte in tutte le sue forme sia di casa, tra i giovani, senza essere unicamente nelle mani di una elite come spesso da noi. Sono diffusissime le arti circensi: persone che hanno una signora professione (vedi Hugo, radiologo) che si dedicano anche a trapezio, acrobazie e cabaret. E non come un passatempo o uno svago, o per lo meno, non solo, ma si impegnano con la stessa serietà e intensità in entrambi i campi. Da noi è rara la stessa cosa, diciamo, per un medico o un avvocato. Sto inevitabilmente generalizzando, ma capisci cosa voglio dire? Qui da noi (sempre e bruttamente “primo mondo” dico, non solo in Italia) inspiegabilmente siamo giunti ad una situazione fatta appunto di schemi a maglie strette e chiuse in cui il pensiero comune prevede che un individuo è la sua professione.
C’è poi una forte consapevolezza politica e una grande partecipazione a vari livelli e una maggior fiducia e rispetto dei giovani, che non vengono screditati e ritenuti non credibili come succede purtroppo in Italia.
A livello politico, trovo che l’attuale governo argentino della Kirchner abbia un’impostazione abbastanza populista e sia in parte responsabile di alcuni problemi che, nonostante i miglioramenti rispetto al passato, continuano ad affliggere la società (repressione dei nativi, desaparecidos), e dei quali si disinterssa.”
Hugo: “L’ Argentina ora sta molto meglio, si sta riprendendo dalla batosta e sta crescendo, è in una fase evolutiva e di grandi cambiamenti. Nonostante l’inflazione, oggi si trova lavoro e lo si può mantenere, generalmente si può accedere ad un credito. Nonostante una fase di miglioramento, il Governo mente molto e nasconde un sacco di dati al pubblico (nazionale e internazionale) in ambito economico. Di conseguenza non c’é ancora fiducia. Di norma la gente va avanti investendo, creando, facendo, magari con un pizzico di piedi di piombo in più ma si va avanti. Siamo un popolo che dimentica facilmente, cosa che normalmente è un fatto decisamente negativo, ma in quest’ambito risulta essere un bene, altrimenti ci saremmo già paralizzati da un pezzo. La crisi ci ha comunque lasciato questa sensazione di attesa della prossima crisi, la prossima fregatura. Insomma, generalmente si continua a crederci, ad andare avanti, ma aspettandosi anche il prossimo colpo, che non sorprenderebbe più di tanto. Le imprese internazionali hanno ricominciato ad investire in Argentina, creando posti di lavoro, ma comunque sia in generale il sistema economico non è per niente stabile.
Nonostante questo per fortuna la gente non si paralizza nella paura di quello che potrebbe succedere ma al contrario contribuisce, generando un clima molto vitale e attivo, la gente in generale partecipa molto.”
Valeria: “Per quanto riguarda l’Italia, negli ultimi anni ho letto e sentito dire spesso che ‘se va avanti così rischiamo di fare la fine dell’Argentina’ ma anche ‘se non fossimo nella Comunità europea rischieremmo di finire o saremmo già finiti come l’Argentina’. Ho sempre considerato ipocrita questo pensiero, ma in qualche modo ci credevo anch’io: magari avremmo potuto arrivare quasi in fondo al baratro, a livello economico, ma di default vero e proprio come in Argentina non se ne sarebbe potuto parlare, proprio grazie a quella mitica botte di ferro della UE.
Però ora guardo la Grecia e penso che non è vero niente, che la Comunità europea, come già accennavo prima, è un’illusione finita male, è un sistema che funziona ancora secondo la legge del più forte. E’ un uso improprio della parola comunità. La Grecia è rimasta in piedi finché la cosa serviva alla Germania, che si è presa il tempo di liquidare i suoi bond greci per poi sentenziare il default dell’Ellade, che l’ha ricattata con la Francia offrendo aiuto a patto che comprasse armamenti per cifre folli.
Sembra un gioco da tavola, un Monopoli in cui un gruppetto gioca d’azzardo, muove i soldi di tutti come se fossero i fagiolini sulla tombola di Natale e poi quando si mette male improvvisamente il Monopoli non è più un gioco, si trasforma nella vita reale ma a scapito della gente comune, e non dei giocatori…..
Quindi che dire? Credevo non fosse davvero possibile qualcosa di simile in Europa, ma guardando in faccia la realtà tutto è possibile.”
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