Lotta contro l’apartheid in Sudafrica – Addio Desmond Tutu

È morto all’età di 90 anni l’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu, uno dei leader della lotta contro l’apartheid in Sudafrica.
Uomo carismatico, grande oratore sia nelle piazze che in chiesa, Desmond Mpilu Tutu emerge come figura di primo piano a partire dalla rivolta a Soweto, nel 1976, degli studenti neri che protestavano contro la politica segregazionista del National Party, il partito dei bianchi nazionalisti che a quell’epoca era al governo del paese. Tutt’oggi non si conosce la stima degli studenti e delle studentesse universitarie che persero la vita negli scontri con i razzisti bianchi armati e la Polizia, l’agenzia stampa Routers parlò di 500 persone uccise e 1.000 persone ferite.
Tutu denunciò apertamente gli eccessi di violenza della Polizia e dell’esercito nel tempo in cui la repressione del governo contro la ribellione dei neri si era fatta più spietata, con centinaia di morti per le strade, nelle Università e nei luoghi di lavoro dove cresceva il seme della protesta contro le ingiustizie razziali.

Insignito del Premio Nobel per la pace nell’ottobre 1984, levò la sua voce per chiedere alla comunità internazionale di imporre sanzioni e di boicottare il regime dell’apartheid. E 10 anni dopo aver ottenuto il Premio Nobel, Tutu parteciperà all’inizio di una nuova era, con le prime elezioni democratiche in Sud Africa del 1994.

La relazione di Desmond Tutu con Mandela era profonda. È stato lui a presentare Mandela alla folla alla Grand Parade di Cape Town nel febbraio 1990, durante la prima apparizione pubblica del leader dell’African National Congress (Anc) dopo il suo rilascio a seguito di 27 lunghi anni in prigione.
Quattro anni dopo, toccherà all’arcivescovo benedire Mandela alla sua inaugurazione come primo presidente democraticamente eletto del paese.

L’anno seguente, Desmond Tutu è chiamato dal Presidente Nelson Mandela a presiedere la Commissione Verità e Riconciliazione, dal 1996 al 1998. Fondamentale il suo contributo per la riuscita di questo esperimento che sarà di ispirazione per altre nazioni che hanno voluto fare i conti con un passato di violenza e oppressione.
Della commissione, istituita per ascoltare le testimonianze delle vittime dell’apartheid e dei loro familiari e accogliere le confessioni dei loro carnefici in cambio in alcuni casi di amnistia, l’arcivescovo dirà: «La preoccupazione centrale non è la retribuzione o la punizione, ma nello spirito dell’ubuntu*, la guarigione delle violazioni e il ripristino della relazione interrotta tra vittime e aguzzini».

La sua voce forte e schietta ha infastidito sia il governo dell’apartheid sia l’African National Congress post-Mandela, che lui stesso accusa apertamente di non voler affrontare la corruzione e di non impegnarsi per alleviare la povertà che affligge ancora la maggioranza della popolazione. Il prelato era diventato una voce talmente critica nei confronti dell’ANC e dei leader del partito – come l’ex Presidente Jacob Zuma – e lo scontro divenne così duro che nel 2013l’ANC lo escluse (inizialmente) dal programma per i funerali di Stato di Nelson Mandela.
Una decisione successivamente rivista a seguito dell’ondata di indignazione e proteste popolari, le stesse che poi anni dopo hanno travolto tutto il paese chiedendo – per la prima volta nella storia dell’Africa post-apartheid – l’arresto del Presidente Zuma accusato di corruzione, propaganda razzista e malagestione della pandemia.

L’ideale di una società multirazziale in cui tutte le comunità vivevano insieme senza rancore o discriminazione – da cui venne coniato l’ormai famoso termine ‘Rainbow Nation’, è ciò per cui Tutu come Mandela e altri hanno lottato cercando di lasciare un’eredità.

Tutu era l’ultimo dei tre Nobel per la pace, assieme a Mandela e De Klerk, che avevano guidato e dato un volto allo smantellamento dall’apartheid – e quello che aveva incarnato di più il legame tra la lotta alla segregazione e l’affermazione senza compromessi della democrazia e dei diritti umani.
Dopo gli scandali dell’era-Zuma, l’attuale presidente Ramaphosa – figura vicina a Nelson Mandela, con un passato da sindacalista che ha ricoperto la carica di vicepresidente di Zuma dal 2014 – sta provando ad invertire la rotta ma non è detto che riesca entro il 2022 quando l’ANC si riunirà per il prossimo Congresso del partito. Mentre il governo sudafricano naviga verso acque agitate, la morte di Desmond Tutu rende il futuro ancora più incerto.

*Ideologia UBUNTU. “Una persona è una persona attraverso le altre persone”. Un invito a realizzare la propria umanità attraverso il rapporto con il prossimo e una regola di vita, basata sulla compassione e il rispetto dell’altro. Una ‘Rainbow nation’ per cui un’intera generazione di sudafricani ha lottato e che, ancora oggi, sta resistendo ai giochi di potere.

Nassi LaRage

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