«Propaganda terroristica». Erdogan condanna YaBasta! ÊdîBese

La Turchia accusa Yabasta!ÊdîBese di appoggiare il terrorismo: accuse ridicole per noi, perché non riconosciamo come terrorista chi da anni sta lottando su diversi livelli contro la tirannia di Erdogan e il nazionalismo sempre più crescenti in Turchia.

Ci giunge oggi notizia che il nostro agire fisico ed intellettuale viene condannato, in quanto propaganda “terroristica”. Ebbene sì, un’associazione che si batte per i diritti di tutte e tutti, contro le ingiustizie del capitalismo e dell’estrattivismo, contro l’apartheid e contro la guerra, viene accusata di sponsorizzare il terrorismo.

Succede nei primi mesi del 2019, quando una corte di Ankara, più precisamente la Corte Penale di Ankara presieduta dal giudice Fatih Yilmaz, decide, su indagine del Comando Generale della Gendarmeria Turca / Divisione per i Crimini Terroristici, di procedere con l’Associazione YaBasta! ÊdîBese!.

«Conformemente ad un’inchiesta condotta dal Ministero della Repubblica, gli utilizzatori di alcuni social media che figurano all’interno del documento di notifica redatto dal Comando Generale della Gendarmeria, legati agli account social media che si trovano negli indirizzi elettronici ivi riportati hanno condotto propaganda a favore di organizzazioni terroristiche PKK/KCK/PYD-YPG, con condivisioni esplicitamente spregiative rivolte agli organi e alle istituzioni della Nazione Turca e dello Stato Repubblicano di Turchia».

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Ancora una volta l’informazione e la denuncia fanno paura, per questo Erdogan, per mano della Corte Penale di Ankara, ordina il black out di Yabasta!ÊdîBese.

Della resistenza curda, dell’opposizione al governo turco non si deve parlare: è ormai un tabù, penalmente perseguibile. Così ci troviamo a ribadire che come collettivo internazionalista non abbiamo mai avuto paura della conseguenze delle nostre azioni. Coscienti della portata delle nostre idee e delle nostre pratiche, abbiamo sempre cercato di rendere migliori il vivere sociale, privato e collettivo, facendo nostre le pratiche che le compagne e i compagni da tutto il mondo ci hanno insegnato, nell’esplorazione critica del mondo.

Abbiamo imparato che per fare dell’internazionalismo la propria bandiera, non si può prescindere dall’antifascismo, dall’antisessismo e dall’antirazzismo; ci hanno insegnato le azioni di autogestione che tutti i giorni pratichiamo nei nostri territori; ci hanno insegnato cos’è il vero conflitto anticapitalista e ambientalista, abbiamo appreso nuove pratiche di solidarietà internazionale, di lotta al terrorismo. Tutti ambiti che noi abbiamo provato a rendere e rendiamo azioni quotidiane, prendendo appunto spunto dalle lotte che spaziano dalla Selva Lacandona, alle pianure della Patagonia, alle colline della Palestina, fino al deserto del Kurdistan.

Queste le parole tradotte dalla sentenza, a cui viene aggiunto un elenco di profili di social network di altre reti solidali, dove compare più volte il nome della nostra associazione. Le motivazioni dell’accusa ci paiono alquanto grottesche, oltre al fatto che c’è una lista nera di persone – tra cui alcuni attivisti e alcune attiviste di YaBasta! ÊdîBese! – a cui, ormai da anni, è vietato l’ingresso in Turchia per motivi politici.

«Considerando i principi di salvaguardia dell’ordine pubblico e al fine di eludere la perpetuazione di atti criminali da parte degli individui che hanno fatto ricorso agli user-name sopra indicati, è stato indetto un dossier d’inchiesta domandando una sentenza favorevole alla rimozione delle condivisioni effettuate e al conseguente blocco e congelamento degli account nei social media, in accordo agli articoli 8/A e 9 della Legge n° 5651».

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La sentenza ci accusa sostanzialmente di essere criminali e perpetuatori di ideologie vicine al terrorismo, ma se la nostra colpa è quella di essere da ormai molti anni al fianco della causa del popolo curdo e di tutti gli altri popoli che abitano i territori del Grande Kurdistan, allora noi non possiamo fare altro che rivendicarlo con fierezza!

Essere al fianco dei popoli del Kurdistan, negli ultimi anni, ha significato per noi e per tutte le persone che compongono la nostra comunità politica e sociale, un enorme pregio. È semplice e lineare dal nostro punto di vista: chi combatte e ha combattuto ideologicamente e militarmente il terrorismo jihadista che tanto dolore ha prodotto in Medio Oriente e nel mondo in generale, avrà sempre il nostro sostegno, di qualunque tipo esso sia.

Essere al fianco delle compagne e dei compagni curdi, negli ultimi anni, ha significato respirare libertà, autodeterminazione, autonomia. E anche sicurezza, riconoscendo loro il ruolo di garanti del nostro quieto vivere nel mondo occidentale capitalista.

Quello che vogliamo ribadire alla polizia, ai magistrati e politici turchi, e al Presidente Erdogan in primis, è che possono censurarci quanto vogliono ed oscurare i nostri profili social ed il nostro sito con accuse insulse e costruite ad arte, ma non smetteremo mai di dare il nostro supporto a chi ogni giorno si adopera per costruire una società più giusta, quella basata sul confederalismo democratico in questo caso.

Vogliamo dire a tutti coloro che pensano di silenziarci che noi non abbiamo paura di una sentenza, di un singolo foglio di carta, perché ci abbiamo sempre messo la faccia nelle azioni e nelle iniziative che abbiamo promosso. Non avremo mai paura di coloro che negano i diritti, che usano la guerra e le relazioni internazionali come spauracchio verso i più deboli.

Noi cammineremo sempre a testa alta, a fianco di chi lotta contro i tiranni, per la libertà dei popoli e contro il neoliberismo, come ci è stato insegnato e come insegneremo.

Fino alla vittoria!

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