Palestina_Il punto
Iniziamo con qualche numero e temporalmente lo facciamo a partire dall’inizio di quella che i media hanno denominato “Terza Intifada”, quindi, dal primo Ottobre ad oggi: 87 sono i palestinesi uccisi dalle forze di sicurezza di Tel Aviv e 12 i cittadini israeliani uccisi da palestinesi.
Hanan Ashrawi, una delle poche donne che contano nell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) spiega così le ragioni della ripresa: “Non è un problema di violenza, ma della deliberata escalation provocata da Israele con gli attacchi a Gerusalemme Est e alla Moschea di Al-Aqsa, che ha fatto salire la tensione oltre la linea di sopportazione. E il fatto che la gente, soprattutto i più giovani, non intravedono nessun orizzonte politico”.
Questa Terza Intifada ha visto coinvolte tutte le città palestinesi, da Gerusalemme a Ramallah, passando per Betlemme e Hebron, arrivando infine a toccare Gaza.
I soldati di Tel Aviv sono impegnati anche sul “fronte demolizioni” con l’obiettivo di abbattere tutte le abitazioni delle famiglie dei palestinesi autori di attacchi nei confronti di cittadini israeliani, considerati una misura deterrente per evitare attentati contro “civili” (i coloni della Cisgiordania).
Netanyahu, dopo una serie di uscite poco felici, per non dire drammatiche sulle questioni interne di queste settimane, dopo le varie prese di posizione in politica internazionale, tra cui addirittura la volontà di ottenere il Golan, richiesta fatta durante il meeting per discutere della crisi siriana, Netanyahu dicevamo, alla Francia offesa e ferita dagli attentati dell’Isis di venerdì sera, offre sostegno e cooperazione per la sicurezza.
Su un punto in particolare insiste Netanyahu: Hollande, e i leader europei tutti, non devono fare distinzioni «fra tipi diversi di terrorismo», dunque non devono separare l’Intifada palestinese dal jihadismo globale.
A questa affermazione è seguita quella di Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp che dice “Quelle parole pronunciate da Netanyahu sono volte a creare un clima per giustificare il terrorismo di Stato che Israele pratica contro il popolo palestinese. La realtà è che Israele è una potenza occupante e gli Israeliani che si trovano nei Territori occupati sono soldati o coloni che si insediano nella nostra terra…Netanyahu sa bene che in nessun posto il popolo sotto occupazione è ritenuto responsabile per la sicurezza degli occupanti»
Il problema è che Netanyahu, rispetto ad Ariel Sharon, può facilmente contare su una Europa più razzista e islamofoba e poco disponibile a sostenere i diritti dei popoli oppressi, specialmente se arabi e musulmani, tanto che l ‘unica voce che in Europa si è levata contro l’assioma Intifada-jihadismo è stata quella della ministra degli esteri svedese Margot Wallstrom secondo cui “gli attentati di Parigi vanno collegati all’insieme di frustrazioni maturate in Medio Oriente, non ultime quelle palestinesi”.
A nulla infatti sono serviti gli interventi delle associazioni internazionali legate al tema dei diritti umani, a nulla gli appelli del mondo della cultura, della ricerca e dell’università di tutto il mondo per porre fine allo stillicidio di vite palestinesi e per ridurre il campo della violenza israeliana.
Amnesty International ha denunciato quasi quotidianamente le azioni e la condotta dell’esercito israeliano e in più occasioni ha chiesto indagini sulle esecuzioni in loco di presunti attentatori palestinesi e più volte ha denunciato l’arresto illegittimo di bambini palestinesi da parte dell’esercito israeliano.
Il movimento del BDS, boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele e ispirata dal movimento contro l’apartheid in Sudafrica, in tutto il mondo sta portando avanti campagne importanti a sostegno della causa palestinese e ha animato le manifestazioni nei campus universitari americani , irritando il governo israeliano che in tutti i modi sta tentando di mettergli i bastoni fra le ruote e apertamente arriva ad accusarli di antisemitismo.
Ma il dato è che le varie pressioni internazionali su Israele, tra cui la nuova norma europea sull’etichettatura dei prodotti che arrivano dalle colonie, si scontrano con un contesto internazionale in cui Israele in Medioriente ha un ruolo da sempre e oggi più che mai.
Il rapporto con Obama, caratterizzato da un alta tensione, dopo gli ultimi incontri internazionali ha visto vincere il pragmatismo tra i due, alla luce delle instabilità nella regione, con l’attivismo russo da una parte e il rafforzamento dell’ISIS dall’altra, e con, alle porte il rinnovo dell’accordo decennale per gli aiuti finanziari e militari che gli Stati Uniti garantiscono a Gerusalemme e che è uno dei punti chiave per garantire la sicurezza di Israele. L’ accordo è in scadenza nel 2017 ed è chiaro che andrà rinnovato senza penalizzazioni per Israele.
In questo quadro, è di ieri la notizia che Israele ha chiuso a Betlemme per “motivi di sicurezza” due fabbriche palestinesi, con il risultato che 150 operai hanno perso il lavoro; di oggi il via libera di Netanyahu alla costruzione di altre 400 abitazioni nella colonia di Ramat Shlomo nella provincia di Gerusalemme e infine, di qualche giorno fa, la notizia di una nuova barriera, questa volta sotterranea che circonderà la Striscia di Gaza, già assediata in superficie, in cielo e in mare.
Già, perchè così, Israele aggiunge un altro elemento al suo isolamento fisico dal resto della regione: a Nord il confine con il Libano è sigillato, così come lo è quello con la Siria nelle Alture del Golan. Con l’Egitto la barriera di filo spinato alta 5 metri corre da Eilat a Rafah, mentre all’interno del territorio centinaia di chilometri di muri separano i Territori palestinesi occupati da Tel Aviv.
All’ultimo atto del governo di Nethannyau, la messa al bando del Movimento Islamico “Raed Salah” e la conseguente chiusura per mano della polizia di 17 sedi ed uffici, la confisca di computer e file, la chiusura dei conti bancari, i palestinesi d’Israele hanno risposto proclamando per giovedì uno sciopero generale.
Tra i Palestinesi in queste settimane si sono levate voci differenti.
Tra queste quella del capo del movimento islamico palestinese, Ismail Haniyeh, che durante una preghiera del venerdì ha parlato di Intifada riferendosi alle violenze nei Territori occupati palestinesi e a Gerusalemme e additandola come “unica strada per la liberazione”.
Si è fatta sentire forte dal carcere la voce di Marwan Bourghouti, di Fatah, che in una lunga lettera esprime la sua vicinanza ai giovani che animano la rivolta di queste settimane e aggiunge anche in riferimento alle relazioni tra i due paesi “alcuni hanno pensato che la ragione per cui un accordo di pace non si potesse raggiungere fosse la mancata volontà del presidente Arafat o l’incapacità del presidente Abbas, ma entrambi erano pronti e in grado di firmare un trattato di pace. Il problema vero è che Israele ha scelto l’occupazione sulla pace, ed ha usato i negoziati come una cortina fumogena per avanzare il progetto coloniale. Ogni governo in tutto il mondo conosce questo semplice fatto e tuttavia molti pretendono che tornare a ricette fallite del passato possa farci ottenere libertà e pace […] Non possono esserci negoziati senza il chiaro impegno di Israele di ritirarsi completamente dal territorio palestinese occupato nel 1967, compresa Gerusalemme Est; della fine definitiva a tutte le politiche coloniali; del riconoscimento dei diritti inalienabili dei Palestinesi, tra i quali il diritto all’autodeterminazione e al ritorno; e del rilascio di tutti i prigionieri palestinesi. Non possiamo coesistere con l’occupazione, e non ci arrenderemo ad essa.”
Abu Mazen, Primo Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese intervenendo all’ Onu ha dichiarato che “Israele ci lascia senza scelta” poiché “viola costantemente gli accordi” e “si rifiuta di rispettarli”: quindi, ha aggiunto, non si sente più vincolato al trattato di Oslo e in queste settimane più volte ha chiesto al governo di Netanyahu “di fermarsi, prima che sia troppo tardi, di colpire i luoghi sacri dell’Islam e della cristianità a Gerusalemme“ (il riferimento va in particolare alla moschea di Al- Aqsa dove la polizia israeliana ha fatto irruzione a Luglio dopo il lancio di pietre da parte di alcuni palestinesi).
Il dato vero è che i giovani palestinesi sono scesi nelle piazze tutti e tutte senza chiedere il permesso ad alcuno, esprimendo negli scontri il desiderio assoluto di libertà e diritti, di rompere con un’esistenza quotidiana mutilata nella sua sostanza piu profonda.
Il dato vero è che nessun politico, nessun partito, può dire di poterli rappresentare, perchè da anni, di fatto, li hanno lasciati soli.
Oslo aveva vinto dividendo il popolo palestinese, forse, in questa Terza Intifada, i giovani si stanno ritrovando.
Tag:
abu mazen israele olp Palestina terza intifada