Siria: in fuga dal massacro

Secondo le stime dell’UNHCR (Agenzia ONU per i rifugiati), il flusso dei profughi che dalla Siria cercano rifugio e protezione nei limitrofi paesi di Libano, Giordania e Turchia potrebbe assumere in breve tempo dimensioni spaventose.

I primi gruppi di sfollati, terrorizzati e in fuga dalla violenza che da più di un anno sta devastando il paese (si vedano articoli precedenti sulla Siria su questa rubrica, o il sito sirialibano.com), hanno incominciato a spostarsi già dalla scorsa estate: si trattava pero’ di piccoli gruppi, date le difficoltà del viaggio e i rischi connessi all’attraversamento delle frontiere, anch’esse teatro di violenze e scontri a fuoco.

La situazione siriana tuttavia, definitivamente precipitata negli ultimi mesi, e l’apparente situazione di “stallo” politico del paese dovuto anche all’immobilismo delle istituzioni internazionali (Lega Araba in primis), hanno portato alla fuga un crescente numero di persone, soprattutto famiglie con bambini al seguito.

Attualmente, UNHCR parla di 40.000 profughi tra Libano, Turchia, Giordania ed Egitto: la cifra é probabilmente molto più alta perché, fin da subito, le stime numeriche e l’organizzazione degli aiuti sono stati non poco difficili, per differenti motivi.

Il primo é la difficoltà a censire la popolazione sfollata: essendo in fuga da una vera e propria persecuzione infatti, e spesso conoscendo, o avendo assistito a crimini di guerra o potenzialmente conosciuto membri delle fazioni armate (da entrambe le parti), i rifugiati hanno da subito avuto paura a farsi riconoscere e registrare nelle liste (indispensabili per ricevere aiuti umanitari) dell’UNHCR o delle altre agenzie. A questo proposito é anche necessario sapere che il mukhabarat siriano (servizi segreti) é sempre stato puntualmente presente nei paesi limitrofi (soprattutto in Libano) e che dunque, le persone in fuga dalla violenza non si sentono per nulla sicure.

I numeri parlano da soli: a fronte di una stima di circa 80.000 profughi nella sola Giordania (cifre date dalle autorità locali a fine marzo), solo 5.000 si sarebbero fatti registrare dall’ONU.

La seconda grande difficoltà, in parte derivante dalla prima, é la collaborazione degli stati ospitanti.

La situazione siriana sta avendo e avrà una forte influenza sugli equilibri regionali, essendo Assad un potente alleato di Iran e di Hezbollah, ed essendo la popolazione in fuga dalla Siria prevalentemente sunnita.

Paesi come il Libano, la cui zona frontaliera vicina alla Siria é controllata dagli sciiti di Hezbollah, si trovano ora sul territorio una popolazione che non solo non é “tradizionalmente” politicamente una loro alleata, ma la cui presenza comporta un inasprimento dell’opinione pubblica internazionale nei confronti del regime di Assad, amico di lunga data dei loro politici.

Le conseguenza di queste dinamiche, varie e di differente composizione (politico-religiosa, politico internazionale e di equilibri interni di paesi già estremamente instabili) é imprevedibile, dai nostri occhi occidentali profondamente limitati nella comprensione di situazioni cosi’ complesse e delicate.

Quello che é certo é che il “macchinone” umanitario si sta, finalmente, muovendo: sono in atto distribuzioni, allestimenti di case e rifugi, censimenti (per quanto possibili), mobilitazione di risorse, di associazioni e di materiali, per portare sollievo ad una popolazione terrorizzata e dal futuro quantomeno incerto.

Anche se forse non é il momento, ci si potrebbe chiedere che ruolo avranno le agenzie umanitarie (sempre portatrici di interessi stranieri, siano occidentali o di altri paesi arabi) nello sviluppo di questo complesso e composito puzzle di elementi: come stanno reagendo Hezbollah, il governo giordano e l’instabile governo egiziano a questa nuova, potenziale ingerenza politica portata dagli aiuti umanitari?

E soprattutto, riusciranno le agenzie umanitarie dove finora tutti i loro governi hanno clamorosamente fallito, e cioé garantire la protezione di tutte queste persone, almeno fuori dalla Siria?

Ci si potrebbe anche chiedere come verrà gestito il flusso dei profughi in relazione a quanto accadrà in Siria: se dovesse accendersi una miccia di scontro interno tra fazioni politico-religioso, che fine farebbero tutti quei profughi, forse impossibilitati a tornare?

E’ davvero presto per chiedersi tutte queste cose: le forze sono per ora solo concentrate nel tentativo di seguire l’evoluzione di una situazione tanto delicata quanto in rapido, e improvviso, continuo cambiamento.

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