Trump e la pandemia mettono a rischio le presidenziali

Ma ci saranno davvero le elezioni americane il 3 novembre?

Si dovrebbe votare non solo per il Presidente ma anche per la Camera, un terzo del Senato e per vari governatori. È una legge del 1845 che lo stabilisce: si vota «il primo martedì che segue il primo lunedì di novembre», una bizzarra formula scelta dal Congresso di un paese agrario per non disturbare i raccolti estivi ed evitare gli spostamenti quando il freddo iniziava a mordere davvero.

Al contrario di quanto accade nel resto del mondo, quindi, si vota in un giorno lavorativo e solo una decina di stati hanno dichiarato festivo l’Election Day.

Anche in condizioni normali, negli Stati Uniti votare è meno facile che in Europa (per esempio, la registrazione sulle liste elettorali non è automatica) e quest’anno è arrivata la pandemia, che rende impossibili i raduni di massa preferiti da Trump ma pone anche pesanti restrizioni all’esercizio del suffragio.

Lo si è visto nelle scorse settimane in occasione delle primarie: code di centinaia di metri e attese di ore prima di poter accedere ai pochi seggi aperti. Molti stati permettono il voto per posta e alcuni il voto anticipato rispetto alla data prevista, aumentando la confusione nelle operazioni elettorali.

La vera incognita, però, è se un Presidente di minoranza, detestato dalla maggioranza degli americani ma sostenuto da una base di fedeli che nulla sembra scalfire, «permetterà» che si voti il 3 novembre. Trump sa benissimo che oggi Joe Biden gode di un vantaggio insormontabile nelle intenzioni di voto degli americani: i sondaggi variano ma in media registrano un 51% di elettori decisi a sostenerlo, contro un 37% di sostenitori del Presidente. Si tratta di un vantaggio interamente dovuto alla disastrosa incompetenza con cui Trump ha affrontato la pandemia Covid-19, che ieri registrava 75.000 casi in più rispetto a venerdì, portando il totale delle vittime a oltre 141.000.

Ma proprio la pandemia potrebbe fornire il pretesto per rinviare le elezioni, o fare in modo che votino meno americani possibile: l’unica speranza dei repubblicani è un’affluenza alle urne scarsa, in particolare negli stati chiave come Ohio, Pennsylvania, Florida. La data del voto è fissata per legge, quindi occorrerebbe una decisione del Congresso per modificarla ma non sarebbe la prima volta nella storia degli Stati Uniti che i presidenti si arrogano poteri che non hanno, in nome dell’emergenza, usando gli Executive Orders.

Tra i democratici, comincia a circolare il sospetto che l’inerzia della Casa Bianca e dei governatori repubblicani di fronte alle devastazioni portate dal Covid-19 sia il pretesto da usare in novembre per salvare una presidenza condannata. Se si votasse oggi, i democratici vincerebbero largamente: gli esperti attribuiscono a Biden da un minimo di 268 voti elettorali (sui 270 necessari per essere eletto) a un massimo di 332.

Come si sa, negli Stati Uniti l’elezione del Presidente è nelle mani di un collegio elettorale, un organo composto di pacchetti di delegati eletti dai cittadini stato per stato: una reliquia della costituzione del 1787 che oggi ha un effetto fortemente distorsivo sulla volontà popolare. Nelle elezioni presidenziali dell’ultimo mezzo secolo (12) ben 4 volte il margine dei consensi tra i due candidati è stato inferiore al 3%. Più di un’elezione su tre (nel 1960, 1976, 2000, 2004 e 2016) si è decisa sul filo di lana o addirittura è stata vinta dal candidato che aveva ottenuto meno voti popolari, come nel 2000 e nel 2016.

Queste distorsioni, come si sa, vanno a vantaggio degli stati rurali e dei repubblicani: non a caso sia George W. Bush nel 2000 che Donald Trump nel 2016 ottennero la maggioranza nel collegio elettorale pur avendo ottenuto meno voti dei loro avversari. Non è quindi inimmaginabile che un candidato disperato come Trump, sostenuto da un partito fascistoide come quello repubblicano, cerchi ogni mezzo per restare al potere, stavolta con l’aiuto del coronavirus anziché di quello di Putin.

A questo va aggiunto il fatto che i sondaggisti tendono a sottostimare la forza elettorale di Trump: anche nel 2016 non avevano veramente capito il suo appeal, in particolare negli stati tradizionalmente repubblicani: in 19 stati vinti da Trump la sua quota di voto popolare era stata sottovalutata di oltre il 5%. Questo significa che i polls tendono in generale a non stimare esattamente la forza della tradizionale affiliazione politica degli elettori e, in particolare, la determinazione di molti elettori conservatori a fermare i democratici ad ogni costo, magari al solo scopo di garantirsi una Corte Suprema amica: il giudice Ginsburg, 89 anni, è in condizioni di salute estremamente precarie e quindi la nomina di un suo sostituto potrebbe essere questione di pochi mesi.

di Fabrizio Tonello

da il Manifesto del 19 luglio 2020

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