COIMA muove sulla scacchiera del mercato immobiliare milanese. E gioca pesante

“COIMA compra il Pavillon Unicredit per 45 milioni” (Repubblica, 22 Maggio 2018)

“COIMA acquista l’area Valtellina dall’ex-Scalo Farini a Milano” (Il Sole 24 Ore, 24 Luglio 2018)

“COIMA acquista le aree in Via Melchiorre Gioia” (Urbanfile.org, 19 Luglio 2018)

“COIMA Res acquista complesso Tocqueville” (Repubblica, 27 Luglio 2018)

Se si trattasse di una guerra, la si potrebbe paragonare al Blitzkrieg tedesco capace di mettere in ginocchio la Francia in un mese nella primavera del 1940, ma stiamo parlando di questioni immobiliari e quindi il paragone bellico è forse eccessivo, anche se in fondo non del tutto sbagliato, se consideriamo come oggetto dell’attacco lo spazio pubblico urbano.
In ogni caso, resta il fatto che la serie di acquisizioni messa in campo da COIMA negli ultimi mesi è senza dubbio impressionante.

Ma cos’è, o meglio, chi è COIMA?
Sul suo sobrio ed essenziale sito web, è la stessa società a spiegarlo: “E’ leader in Italia nell’investimento, sviluppo e gestione di patrimoni immobiliari per conto di investitori istituzionali internazionali e domestici”.
COIMA, fondata dalla famiglia Catella, nasce nel 1974.
Nel 2007 nasce COIMA Sgr specializzata nella gestione di fondi d’investimento.
Nel 2015, ultima arrivata, prende forma COIMA Res.

Di fatto, COIMA e il suo amministratore, Manfredi Catella, sono il motore che, da oltre un decennio, si è fatta promotore del gigantesco progetto di riqualificazione della città di Milano che ha coinvolto Isola, Porta Nuova e Garibaldi.

Un colossale progetto immobiliare che ha totalmente cambiato il volto, ma anche e soprattutto la destinazione d’uso – vale a dire la sostanza – di una fetta consistente della metropoli.

Ricostruiamo per sommi capi la vicenda. Nel 2003, la Regione Lombardia approva l’Accordo di programma relativo al PII (Programma Integrato di Intervento) Garibaldi-Repubblica, attraverso il quale viene concessa l’edificazione di 230.238 mq di suolo urbano. Contemporaneamente, il Consiglio Comunale delibera un rinnovo di un’esistente convenzione con l’impresa del gruppo Ligresti, altro colosso immobiliare italiano, apparentemente sorvolando sul fatto che tale convenzione, stipulata nel 1989, fosse già stata dichiarata nulla nel 2000 dal Consiglio di Stato per motivi di corruzione. Tale documento consente l’edificazione di 300.000 mq a destinazione uffici, servizi commerciali e parcheggi.
Nello stesso anno, entra a far parte dei giochi anche la texana Hines, che spartisce i capitali del progetto con il gruppo Ligresti. Hines si muove in maniera strategica, lontano dai riflettori, acquisendo poco a poco diversi terreni, ottenuti a seguito di accordi con sette piccoli proprietari privati e giungendo infine a controllare l’86% dei diritti edificatori privati nell’ambito del progetto Garibaldi-Isola. E qui si chiude il cerchio, anzi il triangolo, dal momento che in Italia il gruppo Hines è presente dal 1999 come Hines Italia Srl, creata proprio insieme alla COIMA, ed è già responsabile di progetti come Bergognone 53 (25.400 mq) e Eginardo Renovation (18.000 mq) prima di prendere in mano quello di Garibaldi-Repubblica e della ex-stazione Varesine. Quest’ultima area, confinante con Garibaldi-Repubblica, andrà ad aggiungere un ulteriore tassello al progetto in questione grazie a una puntuale modifica del Piano Regolatore.
La somma di tutte queste componenti porta a un’operazione complessiva senza precedenti a Milano, che supera il milione di metri cubi. Il fatto che le tre aree interessate fossero tra loro confinanti avrebbe fatto apparire logica una pianificazione urbanistica unitaria che interessasse l’intera area, tenendo conto delle reciproche interazioni. Tuttavia, probabilmente, questa visione non sembrava sufficientemente logica per la Ragion Economica. Così, il Comune inizia ad approvare una serie di piani urbanistici indipendenti e indifferenti non solo l’uno dall’altro, ma soprattutto all’impatto ambientale e sociale devastante che avrebbero provocato sul tessuto urbano.
I vari progetti vengono affidati a grandi studi di architettura, tra cui i newyorkesi Pei-Cobb & Partners ai quali viene affidato il design del nuovo Palazzo della Regione Lombardia e l’archistar César Pelli che realizzerà il planivolumetrico del piano Garibaldi-Repubblica. Cuore del progetto, secondo quanto dichiarato dal Comune, avrebbe dovuto essere il grande parco di 100.000 mq – i Giardini di Porta Nuova – attorno al quale sarebbero dovute sorgere la Città della Moda, del Design e della Comunicazione, nonché il Polo Istituzionale.
Manco a dirlo, questo fantomatico cuore verde appare ancora piuttosto cagionevole, mentre il cosiddetto Centro Direzionale, con i sui palazzi totemici, incombe su di lui in tutta la sua capitalistica possanza. Originariamente, infatti, il progetto del parco (per il quale l’investimento totale è stato di 14 milioni di euro) sarebbe dovuto essere ultimato entro l’estate 2017, quando ne è invece stato inaugurato soltanto il primo terzo.

Emergono così le contraddizioni di un progetto che di fatto si inserisce di gran carriera in un processo di sottrazione e successiva brandizzazione dello spazio pubblico che ha visto in Expo 2015 uno dei suoi massimi picchi seppur con tutte le pecche e i fallimenti progettuali che lo hanno caratterizzato, e di cui COIMA sembra essere uno dei principali attori in gioco.
Se infatti quello di Expo 2015 altro non è apparso che un render, peraltro piuttosto grottesco, di un evento ancora virtuale che pretendeva di favorire lo sviluppo e l’adeguamento di Milano al livello delle maggiori metropoli, se non mondiali, perlomeno europee, ma che al momento altro non ha fatto se non aumentare la situazione di debito, precarietà e sacrificio di beni comuni a favore della cementificazione di massa, bisogna ricordare che i processi di ridisegno dello skyline della città, di gentrificazione e messa a consumo di interi quartieri urbani (i cosiddetti “quartieri a tema” ideati da Stefano Boeri), di deprivazione di spazio pubblico erano già avviati da tempo.

I movimenti hanno iniziato a conoscere Catella ai tempi dell’occupazione di Volturno 33, l’ex-Federazione milanese del PCI occupata tra l’Aprile e il Luglio 2007 e ora trasformata in un prestigioso edificio di residenza privata mutuando il nome dell’occupazione di undici anni fa…
All’epoca i lavori a Porta Nuova erano iniziati da appena due anni e il quartiere Isola non aveva ancora vissuto la sua fase finale di trasformazione che lo avrebbe quasi completamente gentrificato.
Lentamente, ma inesorabilmente, era in corso lo svuotamento della zona dalle varie occupazioni che l’avevano caratterizzata: Garigliano, MetropoliX, Reload, Pergola…
Rimanevano la Stecca, ormai svuotata e, appunto Volturno 33.
Già all’epoca, Catella si era fatto notare per iperattivismo e una notevole capacità dialettica.
A più di dieci anni di distanza si può dire che gli occupanti ci avevano visto giusto…

Navigando sul sito di COIMA e scorrendo l’elenco delle proprietà da essa gestite il senso di impressione (e smarrimento) aumenta.
Si va dal Bosco Verticale a, come abbiamo visto, pressoché l’intera zona di Porta Nuova (dall’area delle ex-Varesine a tutto lo snodo attorno a piazza Gae Aulenti), dalla nuova Fondazione Feltrinelli di Via Pasubio progettata da Herzog e de Meuron ad altri stabili di valore in giro per la città come per esempio l’ex BNL di Piazza San Fedele.

Insomma, l’attuale quadro fa pensare che l’intenzione sia mettere le mani su buona parte della  città, e noi restiamo a guardare, spesso gioendo inconsapevolmente di operazioni di privatizzazione di suolo pubblico spacciate per riqualificazione e soffrendo peraltro un’immensa lacuna di progettisti che propongano un’alternativa progettuale reale e attuabile alla gentrificazione di massa, mentre i luoghi della socialità ci vengono sottratti uno a uno, per poi esserci restituiti perfettamente riconfezionati e pronti per essere fruiti secondo le regole del gioco capitalista.

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